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E' nato il PD a vocazione maggioritaria

Scritto da Dario Franceschini.

Dario FranceschiniIntervento di Dario Franceschini alla Leopolda5 (video).

Da quando faccio il Ministro della Cultura ho smesso di parlare delle cose quotidiane della politica, però vorrei fare una breve riflessione sulla giornata di sabato 25 ottobre. Leggendo i giornali, la giornata di sabato è stata rappresentata come quella in cui il PD si è spaccato in due pezzi, mentre io, invece, mi facevo una domanda rovesciata: ma non è che il filo sottile che tiene insieme la giornata ieri è che ieri è nato il PD?
Siamo finalmente diventati quello che dovevamo essere, quello che abbiamo faticosamente cercato di essere fin dall’inizio: un partito a vocazione maggioritaria, un partito che punta a diventare maggioranza nel Paese, un partito che ha più del 40% dei voti, lasciando definitivamente alle spalle la stagione dei partiti identitari, in cui dentro sono tutti d’accordo attorno ad una storia e attorno ad alcuni principi ma inesorabilmente condannati a coprire uno spazio marginale.

Quello che noi dobbiamo imparare a vivere, invece, è l’idea di un partito che discute di contenuti, che ha posizioni diverse ma che poi vengono ricondotte ad una logica di lealtà. Ma deve essere un partito che discute di cose e, se rileggiamo il dibattito di questi mesi, il fatto che finalmente nel PD non si discuta di chi sta con tizio o di chi sta con caio ma si discuta dell’articolo 18, della riforma del lavoro, finalmente vuol dire che c’è un dibattito sui contenuti.
Il passaggio importante e passaggio difficile è riuscire a ricondurre questo ad una logica di lealtà e di collaborazione, in un dibattito che alla fine sfocia in una posizione e non diventa quell’incrocio di rancori che troppo spesso ha segnato la nostra storia.
Io ricordo sempre come uno dei nostri mali, quello che ci ha attraversato tutti, è di mettere dei leader e poi lavorare per indebolirli. Un militante, in uno dei tanti incontri che ho fatto in quei nove mesi del 2009 (in cui, quando il partito sembrava perduto e destinato allo scioglimento, in un pomeriggio mi chiesero di fare il segretario del PD prima delle elezioni europee del 2009), mi venne a dire: “Guarda, il problema del PD sta tutto in un fatto: ci sono troppi leader che pensano che il sole sorga solo quando cantano loro”. È la rappresentazione migliore di quello che è successo in questi anni.
La discussione ci deve essere ma oggi abbiamo un leader che guida il governo, un leader che ci ha portato a realizzare finalmente la vocazione maggioritaria e quello dobbiamo difenderlo e, quindi, dobbiamo dire da qui, dalla Leopolda, che il Partito Democratico è anche il partito di chi era in piazza ma non può essere il partito solo di chi era in piazza perché quello che dobbiamo lasciarci definitivamente alle spalle è la vocazione minoritaria. Noi abbiamo bisogno di una vocazione maggioritaria e di essere maggioranza nel Paese e per fare questo dobbiamo lavorare come una squadra, in cui ognuno fa la propria parte.

Nella formazione del Governo, io ho chiesto di occuparmi di cultura perché ho sempre desiderato fare ciò che sto facendo ora, poi i percorsi politici mi hanno portato ad assumere altri ruoli. Ho sempre guardato al settore della cultura soffrendo per il modo in cui ha agito tutta la politica nazionale. C’è stato anche chi ha detto “con la cultura non si mangia” ma, complessivamente, la politica nazionale, a differenza dei sindaci, non ha mai capito l'importanza dell'investire sulla bellezza, investire in cultura, investire in turismo, investire sul nostro patrimonio, investire sul patrimonio straordinario di talenti, di creatività. Non è soltanto un modo di rispettare l’articolo 9 della Costituzione - noi siamo l’unico Paese che ha la tutela e la promozione della cultura nei principi fondamentali - ma è anche la carta più forte che abbiamo per vincere la sfida della competitività globale.
Noi siamo il quinto Paese in quanto a turismo internazionale ma siamo il primo in quanto a desiderio di viaggio, anche per i turisti nuovi, provenienti dai Paesi emergenti, quelli che prima della cultura mettono lo shopping, il cibo. Noi abbiamo l’eccellenza in tutti e tre i grandi ingredienti per attrarre il turismo: il cibo, il made in Italy, lo shopping e il patrimonio culturale. Investire in questo significa utilizzare una carta formidabile nella competizione globale in un mondo in cui tutti vogliono vestire italiano, vogliono mangiare italiano e vogliono venire almeno una volta nella loro vita a visitare il nostro Paese e, soprattutto, a fianco dell’investimento economico, c’è una cosa ancora più importante: dobbiamo rieducare alla cultura, dobbiamo rieducare dopo trent’anni di modello televisivo che ha costruito gerarchie sbagliate. Dobbiamo riabituare al patrimonio, alla bellezza, a leggere, ad andare al cinema. Siamo il Paese che ha il più grande patrimonio culturale e calano i lettori, calano quelli che vanno al cinema e calano quelli che visitano i musei. Per farlo occorre che abbiamo sempre in mente una cosa: nei momenti di crisi – lo sanno i sindaci – bisogna tagliare da qualche parte, è inevitabile, noi abbiamo fatto una scelta: non tagliamo la cultura. Adesso è arrivato il momento di investire sulla cultura perché quando si arriva in un momento difficile, l’istinto è sempre quello di intervenire lì.
Io credo che la risposta più bella l’abbia data un grande uomo di Stato, Winston Churchil che all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, quando i suoi generali andarono a proporgli di tagliare la cultura per finanziare lo sforzo bellico, li guardò e rispose con una domanda: “E allora per cosa combattiamo?”. Ecco, io credo che noi combattiamo per uscire dalla crisi ma investire in cultura è il modo migliore per riuscirci.

Video dell'intervento di Franceschini»

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