Tutti possono convivere in un partito del 40%
Intervista a Dario Franceschini di Francesco Bei - La Repubblica
Secondo segretario del Pd dopo Veltroni, Dario Franceschini ha smesso di parlare di politica da quando, otto mesi fa, ha accettato da Renzi l`incarico di ministro dei Beni Culturali. Rompe oggi il silenzio di fronte al rischio di una scissione della sinistra del partito proprio sul terreno più identitario, quello del lavoro.
Lei ha partecipato alla Leopolda, a San Giovanni c`era un altro pezzo del Pd. Due sinistre che ormai si guardano in cagnesco. È ancora possibile tenerle insieme?
«Il rischio di questa rappresentazione c`è, ma dobbiamo tutti capire che stiamo vivendo ormai un tempo diverso. Una stagione che ci impone due sfide nuove e parallele. Capire cosa comporta essere un grande partito del 40% e cosa vuole dire "leadership" oggi».
È l`inveramento della vocazione maggioritaria. Ma a molti non piace che questo avvenga a scapito dell`identità di sinistra...
«Abbiamo dato vita finalmente a un grande partito nazionale che non rappresenta soltanto la sinistra storica ma ha l`ambizione di parlare a tutta la società. Un grande partito di questo tipo non può essere un soggetto identitario in cui tutti sono d`accordo su tutto. Ieri in fondo è accaduto questo: una parte dei nostri elettori stava alla Leopolda e un`altra parte in piazza. Lo scontro politico è fisiologico in tutti i partiti davvero grandi, pensiamo al partito democratico americano».
In America i dem evitano di fischiare in piazza il nome di Obama. Non pensa che la divaricazione ormai sia anche antropologica?
«Non dimentichiamoci che a San Giovanni c`erano molti elettori ostili al Pd. E poi anche i nostri non è che recepiscono le novità tutti con la stessa velocità. Sull`articolo 18 non troppo tempo fa manifestavamo contro Berlusconi, serve uno sforzo ulteriore per chiarire, per spiegare i tempi nuovi e la necessità di certe scelte. Ma il rischio di una divaricazione, di una spaccatura c`è. Per questo è importante.che la maggioranza accetti al convivenza disposizioni diverse sotto le stesso tetto, ma è anche necessario che venga riconosciuta da tutti una regola fondamentale del nostro stare insieme: ci si confronta, ci si scontra, ma a un certo punto bisogna decidere. Non si può restare bloccati nel limbo. Il tema vero, e qui veniamo al secondo punto che citavo all`inizio, è capire la vera natura della leadership interpretata da Renzi».
Un leader di destra, accusala minoranza.È questa la sua natura?
«No, un leader di sinistra votato alle primarie dal 70 per cento dei nostri. Un segretario che però decide. Vede, fino a ieri i leader italiani sembravano avere un solo dovere: trovare la sintesi tra le posizioni differenti. Ma il più delle volte la mediazione andava a scapito del coraggio delle scelte. La novità di Matteo è che esercita la sua leadership decidendo, anche a costo di dividere. Chapeau».
Sull`articolo 18 lei condivide quanto sostenuto da Renzi?
«Assolutamente sì».
Franceschini renziano?
«È Matteo a dire che i renziani non esistono. E poi figuriamoci, mi ha sempre irritato anche la definizione di "franceschiniano". La verità è che, nel nostro campo, abbiamo sempre eletto un leader e lavorato dal giorno dopo per indebolirlo. Io invece sostengo Renzi con convinzione, questo sì».
Renzi afferma di non aver paura che a sinistra si crei qualcosa di diverso. Forse sarebbe persino opportuno, o no?
«No. Chi oggi soffre di più questo momento ha comunque un forte senso di appartenenza, perché ha percorso, come tutti noi, cammini difficili di chiusura di storie lunghe e gloriose per far nascere il Pd. E questo ci consentirà di evitare scissioni».
E il finanziere Serra? A sinistra ne hanno fatto un simbolo di quanto c`è di peggio nel Pd...
«Non condivido assolutamente le sue parole. Ma in un grande partito nazionale ci deve essere posto anche per lui».