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Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita

Scritto da Alfredo Bazoli.

Disegno di Legge "Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita" presentato in Senato da Alfredo Bazoli.

Dopo una lunga gestazione istruttoria nelle due Commissioni congiunte, nella scorsa legislatura la proposta di legge sulla morte volontaria medicalmente assistita veniva approvata in prima lettura dalla Camera dei deputati, per divenire poi il disegno di legge atto Senato n. 2553, che purtroppo ha visto il suo iter interrompersi a causa della brusca fine della legislatura.
Per noi appare fondamentale riproporre un testo equilibrato, che riguarda un tema delicatissimo e rilevante, che si muove tra la vita e la morte, e che tocca dunque inevitabilmente le coscienze di ciascuno di noi, senza distinzioni, lambendo sensibilità spesso diverse, variegate, a volte anche contrapposte, e che però sarebbe riduttivo, banale e anche fuorviante ridurre a una contrapposizione tra laici e cattolici, tra destra e sinistra: sono temi questi che attraversano la coscienza di tutti. Ci troviamo nel campo della bioetica, un campo in cui la legislazione fatica a trovare soluzioni ai problemi che la scienza e la tecnica ci pongono di fronte grazie alla loro straordinaria evoluzione.
Non è stata questa però, la prima volta che il Parlamento si è cimentato affrontando il tema del fine vita. Il Parlamento lo fece già nella XVII legislatura, con l'approvazione della legge n. 219 del 2017, che introdusse nel nostro ordinamento alcuni principi innovativi e anche chiarificatori dell'articolo 32 della nostra Costituzione, tra i quali il diritto al rifiuto delle cure e dell'accanimento terapeutico e la possibilità di accompagnamento alla morte anche attraverso la sedazione palliativa profonda, cioè attraverso il totale annullamento della coscienza e un sonno senza dolore fino al momento del decesso. Una legge che venne anch'essa osteggiata fortemente da alcuni ambienti della nostra società e che invece ad oggi è pressoché unanimemente considerata un'ottima legge, che consente dunque ai malati terminali di essere accompagnati alla morte naturale senza accanimenti e senza sofferenza. Tuttavia, la soluzione che diede il Parlamento con la legge n. 219 del 2017 è stata riconosciuta o considerata insufficiente dalla Corte costituzionale, che ricordiamo intervenne con un'ordinanza e poi una sentenza, nel 2018 e nel 2019, che, come è noto, sul tema della morte volontaria medicalmente assistita, con specifico riguardo alla fattispecie dell'aiuto al suicidio di cui all'articolo 580 del codice penale, è intervenuta in primo luogo con l'ordinanza n. 207 del 16 novembre 2018, con la quale la Corte ha escluso che l'incriminazione dell'aiuto al suicidio, ancorché non rafforzativo del proposito della vittima sia, di per sé, incompatibile con la Costituzione in quanto essa si giustifica in un'ottica di tutela del diritto alla vita, specie delle « persone più deboli e vulnerabili ». La Corte ha individuato tuttavia un'area di non conformità costituzionale della fattispecie, corrispondente ai casi in cui l'aspirante suicida « si identifichi in una persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli ». In tale evenienza, secondo la Corte, il divieto indiscriminato di aiuto al suicidio « finisce [...] per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., imponendogli in ultima analisi un'unica modalità per congedarsi dalla vita, senza che tale limitazione possa ritenersi preordinata alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile, con conseguente lesione del principio della dignità umana, oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive ». Con l'ordinanza citata la Corte ha disposto il rinvio del giudizio di costituzionalità dell'articolo 580 codice penale a data fissa (24 settembre 2019), per dare al legislatore la possibilità di intervenire con una apposita disciplina « che regoli la materia in conformità alle segnalate esigenze di tutela ». Trascorso il tempo indicato nell'ordinanza, la Corte ha ritenuto, « in assenza di ogni determinazione da parte del Parlamento », di non poter « ulteriormente esimersi dal pronunciare sul merito delle questioni, in guisa da rimuovere il vulnus costituzionale ». Con la sentenza n. 242 del 2019, la Corte ha quindi dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli articoli 2, 13 e 32, secondo comma, Costituzione, l'articolo 580 codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dalla legge n. 219 del 2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente.
In particolare, la Corte individua, in attesa dell'intervento del Parlamento, un punto di riferimento già presente nel sistema, nella disciplina racchiusa negli articoli 1 e 2 della legge n. 219 del 2017, tenuto conto del fatto che l'intervento del giudice delle leggi è circoscritto « in modo specifico ed esclusivo all'aiuto al suicidio prestato a favore di soggetti che già potrebbero alternativamente lasciarsi morire mediante la rinuncia a trattamenti sanitari necessari alla loro sopravvivenza, ai sensi dell'art. 1, comma 5, della legge ora citata: disposizione che, inserendosi nel più ampio tessuto delle previsioni del medesimo articolo, prefigura una “procedura medicalizzata” estensibile alle situazioni che qui vengono in rilievo».
La vicenda umana su cui la Corte è intervenuta è quella di Fabiano Antoniani, dj Fabo, che, per essere sottoposto al suicidio assistito, venne accompagnato in Svizzera da Marco Cappato, il quale poi, al rientro in Italia, si autodenunciò per il reato di aiuto al suicidio. Partì un procedimento penale, nell'ambito del quale venne sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'aiuto al suicidio, che portò alle ordinanze e poi alla sentenza della Corte costituzionale, che ha stabilito, sostanzialmente, che la sedazione palliativa profonda, cioè quella soluzione che trovò il Parlamento nel 2017 per accompagnare al decesso un malato terminale, in determinati casi, non è idonea a garantire una morte dignitosa e rispettosa del diritto all'autodeterminazione e dunque, in quei casi, non può ritenersi punibile il reato contemplato dall'articolo 580, cioè il reato di aiuto al suicidio della persona che lo abbia chiesto. Nel dichiarare incostituzionale il reato di aiuto al suicidio in quei determinati casi, la Corte ha concluso con queste parole: « Questa Corte non può fare a meno, peraltro, di ribadire con vigore l'auspicio che la materia formi oggetto di sollecita e compiuta disciplina da parte del legislatore, conformemente ai principi precedentemente enunciati ». Questo ha detto la Corte ed è esattamente questo l'obiettivo che proponiamo con il presente disegno di legge: per arrivare al testo che stiamo ripresentando abbiamo ritenuto necessario concentrarci sul perimetro segnato dai principi sanciti dalla Corte costituzionale, ritenendo che quello fosse il percorso più idoneo ed efficace per cercare di raggiungere il traguardo. Una scelta, quella di stare dentro questo perimetro, che ha un carattere indubbiamente politico. Intanto perché, ovviamente, è più facile muoversi su un terreno di necessità, come quello individuato dalla Corte, che ha invitato il Parlamento a intervenire; ma anche perché siamo fortemente persuasi che, su temi come questi, sia opportuno cercare la condivisione più larga possibile. E pensiamo che questa ricerca di condivisione, questo tentativo di trovare ciò che ci unisce, anziché ciò che ci divide anche su questi temi, sia opportuna anche in tempi di forte polarizzazione, in cui la ricerca della mediazione è quasi un esercizio spericolato. Noi pensiamo che questo sia il terreno sul quale dovremmo tutti cercare di muoverci, tutti, nell'interesse anzitutto dei destinatari di queste norme. Allora, cercando questo terreno di condivisione, si può provare a partire da alcuni principi, che la Corte richiama: il primo e più importante di questi principi, che la Corte ha riconosciuto e che discendono da questa idea della nostra Costituzione, è che la nostra democrazia, la nostra società, la nostra comunità civile, si fonda anzitutto sul diritto alla vita, come primo dei diritti inviolabili dell'uomo, un diritto da tutelare sempre, senza distinzione tra persone, senza classifiche sulla qualità della vita, anche e soprattutto quando le persone sono in difficoltà, quando soffrono, quando la condizione è difficile, più difficile e più fragile. Dalla tutela rigorosa di questo diritto alla vita discende dunque la necessità di aiutare, di curare chi soffre, di alleviare la sofferenza, di stare accanto a chi è in difficoltà; sempre ogni cura è possibile, sempre, soprattutto dove c'è una condizione di sofferenza. Ma, accanto a ciò, accanto a questo principio – credo che la condivisione di questo principio ci accomuni tutti – quando la cura è stata prestata, quando ogni possibile sforzo è stato fatto, quando qualunque dovere di solidarietà è stato adempiuto, allora vi è il dovere di non voltarsi dall'altra parte di fronte ad una sofferenza intollerabile, davanti ad una libera, ancorché sofferta, richiesta di essere aiutati a concludere dignitosamente la propria vita, sapendo – come dice la Corte – che la scienza medica e la tecnica ci mettono di fronte sempre di più la possibilità di tenere in vita persone in condizioni disperate, inimmaginabili solo fino a pochi anni fa. Non è un caso che tutti i Parlamenti europei si stiano cimentando con questi temi e che, laddove non ci arrivino i Parlamenti, sono le Corti costituzionali ad intervenire, come è capitato in Italia, ma come è capitato anche in Germania pochi mesi fa e in Austria poche settimane fa, con sentenze che hanno detto esattamente le stesse cose che ha detto la nostra. Condizioni rigorose quelle poste dalla Corte, che delimitano un perimetro di accesso alla richiesta di suicidio assistito da accertare in modo pieno, in modo esaustivo, nel modo più rigoroso possibile, perché, in forza di quei principi che ho richiamato, non sarebbe tollerabile che il suicidio finisse per essere in qualche modo normalizzato, per diventare cioè la forma normale per cessare la propria esistenza, rischiando, così, di esercitare una forma di pressione sociale su persone anziane, sole e malate. Non possiamo permetterci che, in un Paese che fatica a garantire a tutti le cure palliative e le terapie del dolore, il suicidio finisca per diventare l'unica possibilità, l'unica forma obbligata per evitare di soffrire o, addirittura, che il suicidio assistito rappresenti un alibi per non mettere a disposizione e approntare tutte le cure, in primis quelle palliative e le terapie del dolore; allo stesso tempo, non possiamo permetterci che la richiesta di aiuto al suicidio provenga da una persona in qualche modo condizionata da interessi confliggenti di terzi e non per effetto di una libera scelta. Dunque, condizioni da accertare con rigore quelle poste dalla Corte per richiedere l'aiuto al suicidio: la patologia, le sofferenze, i trattamenti di sostegno vitale e alcuni prerequisiti, ovvero la piena capacità di assumere decisioni libere e consapevoli e il pieno coinvolgimento nel percorso di cure palliative e di terapia del dolore. Abbiamo una sentenza della Corte costituzionale che ha già innovato profondamente il nostro ordinamento, che ci ha invitato a intervenire nell'interesse anzitutto delle persone più fragili, deboli, in difficoltà che non possono essere lasciate in balia dell'incertezza normativa. Il presente disegno di legge riproduce dunque, con limitatissime correzioni formali, il testo approvato dalla Camera in prima lettura il 10 marzo 2022, in seguito divenuto il disegno di legge atto Senato n. 2553, recante disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita, disciplinando la facoltà di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente ed autonomamente alla propria vita, in presenza di specifici presupposti e condizioni. A tal fine, il testo individua altresì i requisiti e la forma della richiesta, nonché le modalità con le quali può avvenire la morte volontaria medicalmente assistita. Si prevede inoltre l'esclusione della punibilità per il medico, il personale sanitario e amministrativo nonché per chiunque abbia agevolato il malato nell'esecuzione della procedura di morte volontaria medicalmente assistita cui si sia dato corso nel rispetto delle disposizioni di legge. Specifiche disposizioni concernono inoltre l'obiezione di coscienza del personale sanitario e l'istituzione dei Comitati per la valutazione clinica presso le aziende sanitarie territoriali. In particolare: in base all'articolo 1, il presente disegno di legge è volto a disciplinare la facoltà di colui che sia affetto da patologie irreversibili e con prognosi infausta, o da una condizione clinica irreversibile, di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente ed autonomamente alla propria vita, in presenza di specifiche condizioni, limiti e presupposti, nel rispetto dei principi della Costituzione, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Il disegno di legge, dunque, non disciplina la cosiddetta eutanasia attiva, nella quale è un terzo (generalmente un medico) a somministrare un farmaco che porta alla morte, ma, nel solco della giurisprudenza della Corte costituzionale, disciplina i presupposti e l'iter da seguire per consentire alla persona malata di attivare e condurre autonomamente a termine la procedura che porrà fine alla sua vita, escludendo responsabilità penali per coloro che aiutano e agevolano il malato in questo percorso. L'articolo 2 ha una funzione definitoria, qualificando come « morte volontaria medicalmente assistita » il decesso cagionato da un atto autonomo con il quale, in esito al percorso disciplinato dalla legge in commento, si pone fine alla propria vita in modo volontario, dignitoso e consapevole, con il supporto e sotto il controllo del Servizio sanitario nazionale, secondo le modalità previste agli articoli 4 e 5 (comma 1). Tale atto deve rappresentare il risultato di una volontà attuale, libera e consapevole di un soggetto pienamente capace di intendere e di volere. Vengono poi definiti i principi fondamentali ai quali deve conformarsi l'operato delle strutture del Servizio sanitario nazionale (comma 3), vale a dire: tutela della dignità e dell'autonomia della persona; tutela della qualità della vita fino al suo termine; adeguato sostegno sanitario, psicologico e socio-assistenziale alla persona malata e alla famiglia. L'articolo 3 disciplina le condizioni e i presupposti che consentono l'accesso alla morte medicalmente assistita. Partendo da quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella citata sentenza, la disposizione in esame chiarisce pertanto che la persona richiedente deve trovarsi nelle seguenti concomitanti condizioni: aver raggiunto la maggiore età al momento della richiesta; essere capace di intendere e di volere e di prendere decisioni libere, attuali e consapevoli; essere adeguatamente informata; avere esplicitamente rifiutato o volontariamente interrotto un percorso di cure palliative, intese ad alleviare il suo stato di sofferenza – ai fini del soddisfacimento della condizione in oggetto, la persona deve essere stata previamente coinvolta nella proposta del suddetto percorso –; essere affetta da una patologia attestata, dal medico curante o dal medico specialista che la ha in cura, come irreversibile e con prognosi infausta, oppure essere portatrice di una condizione clinica irreversibile, le quali cagionino sofferenze fisiche e psicologiche che il richiedente trovi assolutamente intollerabili; essere tenuta in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale, la cui interruzione provocherebbe il decesso del paziente. L'articolo 4 delinea, al comma 1, le caratteristiche della richiesta di morte volontaria medicalmente assistita, prevedendo che essa debba essere: attuale (a garanzia dell'attualità, il disegno di legge prevede che la richiesta possa essere revocata in qualsiasi momento, senza requisiti di forma e con ogni mezzo idoneo a palesarne la volontà); informata; consapevole; libera (i requisiti della libertà e della consapevolezza della decisione, oltre che del carattere informato della scelta, sono richiesti dalla Corte costituzionale nelle citate ordinanza n. 207 del 2018 e sentenza n. 242 del 2019); esplicita. In particolare, si prevede che la richiesta debba essere manifestata per iscritto, nelle forme dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Se le condizioni della persona non consentono il rispetto di queste forme, in base al comma 2 la richiesta può essere espressa e documentata con videoregistrazione o qualunque altro dispositivo idoneo che le consenta di comunicare e manifestare inequivocabilmente la propria volontà, alla presenza di due testimoni e di un pubblico ufficiale che attesti l'autenticità, la data e il luogo di espressione della volontà dell'interessato. Il comma 3 prevede che la richiesta possa essere indirizzata, « nel rispetto della relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico» (terminologia mutuata dall'articolo 1 della legge n. 219 del 2017), alternativamente al medico di medicina generale o al medico che ha in cura il paziente. In base al comma 4 (e con disposizione identica a quella prevista dall'articolo 1, comma 5, della legge n. 219 del 2017), ricevuta la richiesta, il medico: prospetta al paziente le conseguenze di quanto richiesto e le possibili alternative e, se il paziente è d'accordo, in questa fase possono essere coinvolti anche i familiari; promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica. L'articolo 5, conformemente a quanto rilevato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242 del 2019, dispone circa le condizioni che rendono legittimo l'aiuto al suicidio. Si ricorda che la suddetta sentenza afferma che « la verifica delle condizioni che rendono legittimo l'aiuto al suicidio deve restare peraltro affidata – in attesa della declinazione che potrà darne il legislatore – a strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale. A queste ultime spetterà altresì verificare le relative modalità di esecuzione, le quali dovranno essere evidentemente tali da evitare abusi in danno di persone vulnerabili, da garantire la dignità del paziente e da evitare al medesimo sofferenze ». In merito alle suddette condizioni e modalità, l'articolo 5, al comma 1, chiarisce che la persona richiedente ha la facoltà di indicare chi deve essere informato nell'ambito della sua rete familiare o amicale e chi può essere presente all'atto del decesso. I commi da 2 a 8 prevedono che: il medico che ha ricevuto dal paziente la richiesta di morte volontaria medicalmente assistita (formulata ai sensi dell'articolo 4) redige un rapporto dettagliato e documentato sulle condizioni cliniche e psicologiche del richiedente e sulle motivazioni che hanno determinato la richiesta e lo trasmette, senza ritardo, al Comitato per la valutazione clinica (di cui all'articolo 7) territorialmente competente e all'interessato. Per la stesura del rapporto e la valutazione clinica, il medico può avvalersi della collaborazione di medici specialisti. Nel rapporto il medico è tenuto a indicare qualsiasi informazione da lui rilevata da cui possa emergere che la richiesta di morte medicalmente assistita non sia libera, consapevole e informata. Il rapporto, corredato da copia della richiesta e della documentazione medica e clinica ad essa pertinente, deve precisare se la persona richiedente: è stata adeguatamente informata della propria condizione clinica e della prognosi; è stata adeguatamente informata dei trattamenti sanitari ancora attuabili e di tutte le possibili alternative terapeutiche; è a conoscenza del diritto di accedere alle cure palliative e specificare se è già in carico a tale rete di assistenza o se ha esplicitamente rifiutato tale percorso assistenziale; qualora il medico ritenga che manchino palesemente i presupposti e le condizioni di cui all'articolo 3, non trasmette la richiesta al Comitato per la valutazione clinica, motivando per iscritto la sua decisione al richiedente; il Comitato per la valutazione clinica, entro trenta giorni, esprime un parere motivato sull'esistenza dei presupposti e dei requisiti stabiliti dalla legge a supporto della richiesta di morte volontaria medicalmente assistita e lo trasmette al medico richiedente ed alla persona interessata. Ai fini dell'espressione del parere, il Comitato per la valutazione clinica può convocare il medico di riferimento o l'équipe sanitaria per un'audizione ed è tenuto a sentire il paziente, anche telematicamente o a mezzo di un proprio delegato, per accertare che la richiesta di morte medicalmente assistita sia stata informata, consapevole e libera; nel corso del periodo che intercorre tra l'invio della richiesta al Comitato per la valutazione clinica e la ricezione del parere di quest'ultimo da parte del medico richiedente, al paziente è assicurato un supporto medico e psicologico adeguato; in caso di parere favorevole del Comitato per la valutazione clinica, il medico richiedente lo trasmette tempestivamente, insieme a tutta la documentazione in suo possesso, alla direzione sanitaria dell'azienda sanitaria territoriale o alla direzione sanitaria dell'azienda sanitaria ospedaliera di riferimento, che dovrà attivare le verifiche necessarie a garantire che il decesso avvenga nel rispetto delle modalità di cui al comma 1, presso il domicilio del paziente o, laddove ciò non sia possibile, presso una struttura ospedaliera; tale procedura deve essere consentita anche alle persone prive di autonomia fisica, mediante l'adozione, nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, di strumenti, anche tecnologici, che consentano il compimento dell'atto autonomo secondo le disposizioni della legge. Inoltre, come specificato dal comma 10, il medico presente all'atto del decesso è in ogni caso tenuto previamente ad accertare, eventualmente avvalendosi della collaborazione di uno psicologo, che persista la volontà di morte volontaria medicalmente assistita e che permangano tutte le condizioni di cui all'articolo 3; nel caso in cui il medico non ritenga di trasmettere la richiesta al Comitato per la valutazione clinica o in caso di parere contrario del medesimo Comitato, resta ferma in ogni caso la possibilità per la persona che abbia richiesto la morte volontaria medicalmente assistita di ricorrere al giudice territorialmente competente, entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della summenzionata decisione motivata del medico o del parere contrario del Comitato. I commi 9 e 11 chiariscono che la richiesta, la documentazione ed il parere di cui sopra fanno parte integrante della cartella clinica o del fascicolo sanitario elettronico ove già attivato e che il decesso a seguito di morte volontaria medicalmente assistita è equiparato al decesso per cause naturali a tutti gli effetti di legge.
Il comma 1 dell'articolo 6 prevede che l'esercente la professione sanitaria non sia tenuto a prendere parte alle procedure per l'assistenza alla morte volontaria medicalmente assistita (come disciplinate dal provvedimento in commento) quando sollevi obiezione di coscienza con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell'obiettore deve essere comunicata, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del regolamento di cui all'articolo 7, al direttore dell'azienda sanitaria locale o dell'azienda ospedaliera, nel caso di personale dipendente.
Ai sensi del comma 2, l'obiezione può essere sempre revocata nonché essere proposta al di fuori dei termini indicati, ma in quest'ultimo caso la dichiarazione produce effetto solo dopo un mese dalla sua presentazione. Il comma 3 stabilisce che l'obiezione di coscienza esonera l'esercente la professione sanitaria dal compimento delle procedure e delle attività specificatamente dirette al suicidio e non dall'assistenza antecedente all'intervento. Ai sensi del comma 4, gli enti ospedalieri pubblici autorizzati sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dal provvedimento in esame, adottando tutte le misure, anche di natura organizzativa, che si rendano necessarie; la regione controlla e garantisce l'attuazione delle suddette procedure e misure.
L'articolo 7 introduce la figura dei Comitati per la valutazione clinica presso le aziende sanitarie territoriali; si demandano ad un regolamento del Ministro della salute, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge–quindi entro i centottanta giorni successivi alla scadenza del termine di novanta giorni di cui all'articolo 11, comma 1 –, l'istituzione degli stessi Comitati e la definizione della relativa disciplina; il regolamento è adottato previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
L'articolo 7 appare rispondere all'osservazione formulata dalla Corte costituzionale circa la necessità dell'intervento di un organo collegiale terzo a garanzia di situazioni di particolare vulnerabilità. Ai sensi dell'articolo in commento, l'istituzione di tali organismi ha infatti la finalità di garantire la dignità delle persone e di sostenere gli esercenti le professioni sanitarie nelle scelte etiche a cui sono chiamati. I Comitati – ai sensi del comma 2 dell'articolo 7 – devono essere multidisciplinari, autonomi e indipendenti, costituiti da medici specialisti, ivi compresi i palliativisti, e da professionisti con competenze cliniche, psicologiche, giuridiche, sociali e bioetiche idonee a garantire il corretto ed efficace assolvimento dei compiti ad essi demandati. Il comma 3 specifica che ai componenti dei Comitati in oggetto non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spese o altri emolumenti comunque denominati.
L'articolo 8, comma 1, in relazione alle procedure di morte volontaria medicalmente assistita eseguite nel rispetto delle disposizioni di legge, esclude l'applicabilità al medico, al personale sanitario e amministrativo, nonché a chiunque abbia agevolato il malato nell'esecuzione della procedura, di specifiche fattispecie penali.
In presenza di tali presupposti, anzitutto, non si applica il reato di istigazione o aiuto al suicidio, di cui all'articolo 580 del codice penale. Il comma 1 dell'articolo 8 dunque esclude la punibilità di chi agevola il suicidio del malato. L'esclusione della punibilità non concerne le fattispecie in cui un soggetto determini la morte di un consenziente – sostituendosi all'aspirante suicida – al di fuori delle procedure e dei presupposti di cui al disegno di legge. Tale condotta resta infatti riconducibile alla fattispecie di omicidio del consenziente (articolo 579 del codice penale), della quale il disegno di legge non tratta.
L'articolo 8, comma 1, esclude inoltre, per il medico, il personale sanitario e amministrativo, nonché per chiunque abbia agevolato il malato nell'esecuzione della procedura, la punibilità per il reato di omissione di soccorso, di cui all'articolo 593 del codice penale. Il comma 2 contiene una norma transitoria, relativa agli eventi di morte medicalmente assistita che abbiano avuto corso prima dell'entrata in vigore della legge. Anche in tali casi, che comunque devono poter essere ricondotti alla definizione di morte medicalmente assistita data dall'articolo 2 (« decesso cagionato da un atto autonomo con il quale (...) si pone fine alla propria vita in modo volontario, dignitoso e consapevole»), è esclusa, anche per le ipotesi in cui sia già intervenuta una sentenza di condanna passata in giudicato, la punibilità di chiunque abbia agevolato in qualsiasi modo la morte volontaria medicalmente assistita di una persona, qualora al momento del fatto: ricorressero i presupposti e le condizioni di cui all'articolo 3 del provvedimento; fosse stata accertata inequivocabilmente la volontà attuale, libera, informata e consapevole della persona richiedente.
In base alla formulazione letterale, la norma transitoria di cui al comma 2 non fa riferimento anche ai casi in cui non sia ancora stata emessa una condanna nonché ai casi verificatisi nel periodo transitorio intercorrente tra l'entrata in vigore della legge e l'adozione degli atti normativi ed amministrativi da essa previsti.
Si ricorda che anche la sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale prevedeva, per i fatti anteriormente commessi, che la non punibilità dell'aiuto al suicidio richiedesse: che la volontà dell'interessato fosse stata manifestata in modo chiaro e univoco, compatibilmente con quanto era consentito dalle sue condizioni; che le condizioni di salute dell'interessato avessero formato oggetto di verifica in ambito medico; che il paziente fosse stato adeguatamente informato sia in ordine a queste ultime, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all'accesso alle cure palliative e, eventualmente, alla sedazione profonda continua.
L'articolo 9 specifica che dall'attuazione della legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le amministrazioni competenti provvedono agli adempimenti ivi previsti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
Ai sensi del comma 1 dell'articolo 10, un decreto del Ministro della salute, da emanare – previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano – entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, deve:
a) individuare i requisiti delle strutture del Servizio sanitario nazionale idonee ad accogliere le persone che facciano richiesta di morte volontaria medicalmente assistita;
b) definire i protocolli e le modalità per la prescrizione, preparazione, coordinamento e sorveglianza della procedura di morte volontaria medicalmente assistita;
c) definire le procedure necessarie ad assicurare il sostegno psicologico alla persona malata ed ai suoi familiari;
d) determinare le modalità di custodia ed archiviazione in forma digitale delle richieste di morte volontaria medicalmente assistita e di tutta la documentazione ad essa relativa;
e) definire le modalità di una informazione capillare sulle possibilità offerte dalla legge sul consenso informato e le disposizioni anticipate in materia di trattamenti sanitari (legge n. 219 del 2017);
f) definire le modalità di monitoraggio e implementazione della rete di cure palliative che garantisca la copertura efficace e omogenea di tutto il territorio nazionale.
Il comma 2 dell'articolo 10 prevede che il Ministro della salute presenti annualmente alle Camere una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni di cui al provvedimento in commento.
Il comma 1 dell'articolo 11 prevede che la legge entri in vigore il novantesimo giorno successivo alla pubblicazione della stessa nella Gazzetta Ufficiale, fatto salvo il termine specifico di cui al successivo comma 3. Il comma 2 prevede che, nelle more della suddetta entrata in vigore, si provveda all'aggiornamento delle prestazioni a carico del Servizio sanitario nazionale in relazione a quelle contemplate dal presente provvedimento e nei limiti delle risorse finanziarie destinate al medesimo Servizio sanitario nazionale dalla legislazione vigente. Al riguardo, il comma fa riferimento – mediante il richiamo dei commi 554 e 559 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 – alle due diverse procedure per la revisione dei livelli essenziali di assistenza (LEA).
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