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Il Parco Agricolo Sud

Scritto da Renato Aquilani.

Renato Aquilani
Articolo pubblicato da Arcipelago Milano.
Nel complesso passaggio di consegne dalla Provincia alla Città Metropolitana milanese c’è un convitato di pietra che rischia, per il suo peso e ruolo, di far aumentare a dismisura le complicazioni: il Parco Agricolo Sud Milano. Istituito con legge regionale nel 1990, ha caratteristiche che lo rendono unico. Esteso su 61 comuni a est, sud e ovest di Milano, comprende la gran parte delle aree verdi e agricole della città e dell’hinterland. Le sue finalità non sono, come per gli altri Parchi regionali, naturalistiche (anche se non mancano al suo interno oasi e aree di grande valore ambientale), ma risiedono su due funzioni cardine: parco di cintura urbana – capace di contenere le spinte di espansione urbanistica incontrollata – e parco agricolo. 
Altro elemento di unicità, è la sua governance: a differenza degli altri parchi regionali, questo è stato sinora gestito dalla Provincia: lo presiede il presidente della Provincia (o un suo delegato) e il suo Direttivo, oltre al presidente, è composto da 10 membri, di cui 4 nominati dalla Provincia, 5 dall’Assemblea dei Sindaci (Milano esprime il vicepresidente), 1 rappresentante delle associazioni agricole e 1 di quelle ambientaliste.
È evidente che con la costituzione della Città Metropolitana cambia tutto: tanto per cominciare sarà necessaria la riscrittura della legge istitutiva regionale del Parco Sud, che dovrà rimettere mano alle forme di governo e gli strumenti. Passaggi ben poco scontati e di cui si parla poco, troppo poco, almeno pubblicamente.
È difficile approcciare al futuro del Parco Sud senza un’analisi dei quasi 25 anni di gestione della Provincia. Il bilancio complessivo è profondamente deludente, deficitario sia sotto il profilo dello sviluppo di progetti di fruizione da parte dei cittadini sia relativamente alla protezione e salvaguardia del territorio.
L’Ente Parco non ha opposto una ferma difesa contro i grandi progetti di urbanizzazione: cancellazione di aree dal Parco come nel caso del Cerba (620.000 mq nel sud Milano), a Rosate e a Vignate (in totale 150.000 mq), nonché contro lo sfascio del sistema agricolo conseguente alla realizzazione della devastante Tangenziale est esterna (Teem). Ma ancora più colpevole è stata la trascuratezza dell’Ente Parco sul lato della progettualità. La legge istitutiva, infatti, prevedeva piani settoriali, ma la maggior parte di questi sono rimasti lettera morta, come il piano della fruizione: un Parco che non si offre ai cittadini rimane sulla carta, misconosciuto anche a coloro che vi abitano.
Le dinamiche positive non sono tuttavia mancate, ma tutte sono partite dal basso: il Parco è stato difeso e valorizzato da tanti comitati e associazioni locali, che lo hanno elevato a vessillo in lotte a difesa dei propri territori. Ma c’è di più: in diversi casi si è assistito a una pianificazione dal basso che ha coinvolto associazioni, comitati e amministratori avveduti: “pezzi di Parco” a ridosso dell’urbanizzato sono stati realizzati o messi in progetto, come il Parco del Ticinello, Bosco in città, Parco delle Cave, della Vettabbia, ecc.
Progetti dove convivono agricoltura e fruizione, destinati a durare perché, in genere, si è stati attenti a prevedere una gestione oculata, spesso effettuata dagli agricoltori.
Altro aspetto positivo, certo non stimolato dall’Ente Parco, è stata l’autoriforma del settore agricolo. Si è assistito a un profondo rivolgimento avviatosi proprio in questi anni della crisi, che ha portato alla nascita dei consorzi e dei distretti rurali quali il Dam (Distretto agricolo milanese), Riso e Rane, delle Tre Acque, della Valle dell’Olona. Gli agricoltori, in precedenza deboli e sulla difensiva, hanno imboccato la strada della progettualità. Un’auto-riorganizzazione del settore, indipendente dalle rappresentanze sindacali, che ha portato allo sviluppo della multifunzionalità: non più la massimizzazione della produzione, ma l’affiancamento di agriturismi, la vendita diretta dei prodotti, la didattica e soprattutto la tutela del territorio e del suo peculiare paesaggio, vista anche come traino per promuovere l’immagine di qualità dei propri prodotti. Non di minore importanza è stata la costituzione del Desr (Distretto di economia solidale rurale), punto di convergenza tra le nuove esigenze dei consumatori e le crescenti sensibilità degli operatori agricoli per le produzioni biologiche, a basso impatto ambientale e a km zero.
Tornando al presente, per la sua storia e per la profonda connessione del suo territorio con la nuova area metropolitana, il Parco Sud ne rappresenta un lascito naturale: il pezzo di gran lunga più importante del suo sistema verde e agricolo. Siamo preoccupati, però, che questo nuovo organismo nasca nella maniera corretta, con una visione di area vasta, capace di assimilare fino in fondo le funzionalità strategiche del Parco Sud. Lo si vedrà già nella scrittura del suo statuto se prevarrà una impostazione forte e autorevole o si limiterà a riproporsi (un po’ come la vecchia Provincia) come contenitore di istanze di comuni egoisti, inclini alle “lusinghe” delle immobiliari, col rischio dell’erosione dall’interno dei territori del Parco.
Tra le istanze che proponiamo, vi è la celere messa a punto di una macchina amministrativa con una visione del territorio vasta, retta da politici consapevoli del proprio ruolo: insomma, c’è bisogno di una nuova classe di amministratori e politici all’altezza dei bisogni e delle sfide insite nella realizzazione di questa nuovo ente. La Città Metropolitana deve dotarsi di strumenti di pianificazione del territorio forti, capaci di contrastare gli effetti deleteri del localismo e di tutelare adeguatamente il verde e la qualità della vita. Anche a tal fine, con la sua istituzione devono essere garantiti adeguati strumenti di democrazia dal basso, come l’istituzione di tavoli allargati alle realtà attive nel territorio (tra cui agricoltori e ambientalisti). Infine, l’elezione diretta del sindaco della città metropolitana è fondamentale per garantire la possibilità ai cittadini di scegliere consapevolmente le politiche di gestione del proprio territorio.
Ma anche col verificarsi di tutte queste condizioni, il Parco Agricolo Sud Milano è e deve rimanere un parco Regionale, con un proprio governo autonomo aperto, com’è oggi, alle realtà sociali del Parco e ben bilanciato tra le istanze locali (i Comuni) e quelle di area vasta (Città Metropolitana). Circola un’ipotesi, forse interessata, di creazione di un’Agenzia regionale per la gestione del Parco Sud e forse, di tutte le proprie aree protette. Alla visione miope e cementificatrice dei Comuni non può contrapporsi il centralismo regionale, che ha sempre considerato i Parchi area sacrificale a un’idea di sviluppo incentrata sulle infrastrutture, e in particolare sulle autostrade.
Più ragionevole è l’ipotesi che la Regione nomini un Commissario straordinario ad hoc. Una figura magari di elevata caratura tecnica e non partitica, che in tempi prestabiliti traghetti il Parco in questa fase complessa. Tra i suoi compiti: la redazione di una proposta di nuova legge regionale sul Parco Sud, limitata alla riscrittura delle norme sulla governance, la riscrittura del regolamento e la gestione dell’apparato tecnico-amministrativo, evitando altresì tentazioni di imporre atti straordinari come modifiche dei confini.
In conclusione, il Parco Agricolo Sud Milano ha ancora tanto da offrire alla metropoli milanese in termini di verde, di qualità dell’aria, delle acque e della vita dei propri abitanti, di paesaggio, di agricoltura di vicinato, di svago, nonché di tutela e valorizzazione dei beni storici e monumentali diffusi nel territorio milanese. La Città Metropolitana deve far proprio questo bene e valorizzarlo. Più in generale deve sentirlo come parte importante di propria funzione primaria: il sistema del verde metropolitano.
Puntando finalmente a creare un coordinamento strategico anche con tutti i Parchi della Provincia, per dotarsi di una efficace Cintura Verde (Green Belt), che bilanci le congestionate aree urbanizzate.
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