Le nuove norme per le aree protette
Relazione di Franco Mirabelli all'incontro "Nuove norme in materia di parchi e aree protette": Questo incontro si colloca sullo stesso filone di quello svolto qualche mese fa riguardante la legge sul consumo di suolo in discussione alla Camera dei Deputati, perché vorremmo mantenere un luogo di confronto per raccogliere contributi mentre i disegni di legge sono ancora in discussione e non solo quando sono già stati approvati. L’intento è di coinvolgere tutti gli operatori interessati e le istituzioni per cercare di dare un contributo alla definizione delle leggi che riguardano l’ambiente in modo da averne una condivisione più ampia possibile.
Ripercorro rapidamente l’iter della riforma della Legge 394 sulle aree protette.
Nella scorsa legislatura si era arrivati all’approvazione in una sola Camera di un disegno di legge presentato dall’allora relatore D’Alì, poi tutto si bloccò per la caduta del Governo e, appena iniziata questa nuova legislatura, abbiamo ricominciato l’iter a partire da tre proposte di legge che sono state presentate rispettivamente dello stesso D’Alì, dal senatore Massimo Caleo del Partito Democratico e dalla senatrice De Petris di Sinistra Ecologia e Libertà. Da quei disegni di legge, oggi è stato prodotto un unico testo che è in discussione in Commissione Ambiente al Senato e su cui sono già stati presentati degli emendamenti che la commissione ristretta ha cominciato a verificare.
Probabilmente tra settembre e ottobre possiamo pensare di andare in Aula al Senato e chiudere questo lungo e travagliato percorso della riforma della Legge 394.
Insisto sull’idea della riforma perché tutti pensiamo che la 394 sia una legge ancora molto valida e, quindi, nessuno ha intenzione di stravolgerla. La legge realizzata nel 1991 ha consentito la formazione dei parchi nazionali e regionali e ha permesso di salvaguardare e valorizzare come nessun altra legge il patrimonio naturale, storico e ambientale italiano. Se oggi in Italia ci sono 23 parchi nazionali e 134 parchi regionali è grazie alla Legge 394/1991.
Tuttavia, la valutazione comune è che oggi, a distanza di oltre vent’anni, serve un “tagliando” – e su questo ci stiamo misurando – per due ragioni: innanzitutto c’è bisogno di correggere la Legge 394 in alcuni aspetti, dato che abbiamo verificato con l’esperienza di questi anni che si può migliorare; e poi c’è la necessità di adeguarla alle nuove regole europee, recependo il Protocollo Natura 2000 per la tutela della biodiversità e altre norme comunitarie che hanno già prodotto direttive e atti legislativi sul tema delle aree protette e della tutela dell’ambiente.
Al momento stiamo lavorando sul testo di riforma unificato proposto dal relatore sen. Marinello, ci sono diversi nodi aperti su cui il gruppo del PD ha presentato emendamenti, con i quali sono stati raccolti molti contributi che sono venuti in questi mesi di discussione dalle associazioni ambientaliste.
Su alcuni aspetti sono stati fatti dei passi avanti e le norme sono ormai certe e definite: ad esempio, abbiamo ottenuto l’eliminazione della definizione di “parco geologico”, abbiamo eliminato il tentativo di introdurre un ulteriore istituto delle riserve marine e, da questo punto di vista, abbiamo raccolto una diffusa spinta a semplificare le procedure e a non costruire graduatorie e un sistema burocratico che poi difficilmente sarebbe governabile. Inoltre, già nell’introduzione, con l’articolo 1, abbiamo dedicato un comma intero al recepimento del Protocollo Natura 2000.
Mi voglio soffermare, però, nell’illustrazione di alcuni punti su cui è ancora aperta la discussione e su cui - pur avendo già elaborato una posizione - credo che sia anche giusto ascoltare altre voci che magari possono avere delle cose utili da dire in merito.
Il primo punto è che con questa nuova norma andiamo a modificare la governance dei parchi nazionali, nel tentativo di snellire e sburocratizzare ma anche di costruire percorsi di nomina più chiari, trovando un equilibrio tra le rappresentanze dei Comuni che gestiscono i parchi e le necessarie designazioni che, per quanto riguarda gli organismi direttivi, devono venire dai Ministeri e dalle Associazioni ambientaliste e degli agricoltori.
Oltre a questo abbiamo introdotto una serie di norme, a mio avviso di buon senso, come ad esempio lo stabilire per legge che i Presidenti degli Enti Parco non possono essere rinnovati per più di una volta, per cui non possono fare più di due mandati, o il decidere che ci sia un ruolo da parte del Ministero (o delle Regioni per i parchi regionali) rispetto alla definizione dell’indennità per il solo Presidente dei Parchi, uguale per tutti, mentre si garantisce ai membri dei direttivi e allo stesso vicepresidente soltanto un gettone di presenza per le riunioni.
Un tema su cui c’è ancora una discussione aperta riguarda la nomina del Presidente dei parchi nazionali. Nell’ipotesi che abbiamo presentato si prevede che ci sia una nomina prodotta dal Ministero dell’Ambiente e, se entro 30 giorni non vi è alcuna risposta, vale il silenzio assenso mentre se la Regione interessata contesta la proposta, il Ministero è costretto a cambiarla. Anche per questa seconda proposta da parte del Ministero vale lo stesso meccanismo della prima e, nel caso la Regione rifiuti anche questa seconda designazione, il Ministero dell’Ambiente è titolato a decidere presentando un’altra proposta (che deve essere diversa dalle due precedenti) che però poi la Regione deve perentoriamente raccogliere.
Questa norma è voluta perché, sicuramente, rispetto al passato dà maggiori garanzie sui tempi di designazione dei Presidenti dei parchi e rende, quindi, gli Enti Parco in grado di lavorare. In questa legislatura, infatti, abbiamo impiegato dai sei agli otto mesi per arrivare alla nomina di un Presidente di un parco nazionale.
Sul fronte dei parchi regionali, invece, le nomine dei Presidenti vengono stabilite dalle leggi regionali.
L’articolo 6 riguarda, invece, le procedure per la discussione dei piani degli Enti Parco e le norme prevedono che per queste vi sia una grande partecipazione che coinvolga non solo gli Enti Locali e le associazioni ma complessivamente la cittadinanza.
Un punto stabilito da questo articolo su cui vi è ancora una forte discussione in corso è il riconoscimento a Federparchi della totalità della rappresentanza di tutti gli Enti Parco nei processi amministrativi. Questo articolo, inoltre, contiene un’altra importante novità che è il riconoscimento del ruolo degli Enti Parco per regolamentare - di intesa con le Regioni - anche le aree contigue all’interno del proprio piano.
Alle aree contigue ai parchi verrebbe estesa anche la regolamentazione che il parco decide di mettere in campo per disciplinare l’attività estrattiva, l’attività venatoria e la pesca.
Nell’articolo 7 c’è un tema aperto che riguarda il nulla osta o le autorizzazioni che gli Enti Parco che devono dare per impianti o realizzazioni all’interno del parco.
La proposta iniziale prevedeva il nulla osta in caso di silenzio assenso. Il gruppo del PD sta lavorando per arrivare ad una strada diversa in cui in assenza dell’autorizzazione non si consenta di realizzare nulla all’interno del parco, neanche se si valuta che sia coerente con il piano del parco.
Occorrerà, quindi, trovare dei meccanismi che garantiscano tutti e, soprattutto, che garantiscano tempi rapidi; tuttavia non crediamo che il silenzio assenso sia la soluzione corretta.
L’articolo 9 - su cui discuteremo molto - stabilisce e cerca di regolamentare le royalty derivanti dagli impianti nei parchi. Gli emendamenti del PD insistono sul fatto che gli impianti in questione debbano essere quelli già esistenti. Vogliamo, infatti, evitare una norma che in qualche modo spinga gli Enti Parco - che spesso hanno problemi economici - ad implementare la presenza di impianti all’interno dei parchi.
È importante regolamentare le royalty e definire anche quelle per i diversi interventi consentiti nei parchi o che passano attraverso i parchi perché, oggi, a livello nazionale ci sono molte differenze tra un parco e l’altro ed è meglio evitare di lasciare alla discrezione degli Enti Parco questo punto.
L’idea scritta nella legge è poi quella di destinare il 30% dell’introito che deriva dagli impianti nei parchi ad un Fondo di rotazione nazionale che serva a finanziare progetti che i parchi nazionali attivano mentre il restante 70% (secondo la richiesta del PD) deve restare direttamente ai parchi.
Nella prima versione della legge, invece, era stabilito che gli introiti degli impianti dovessero essere dati tutti a livello nazionale e poi sarebbe stato restituita una percentuale ai parchi ma, non comprendendo la ragione di questa ipotesi, abbiamo presentato emendamenti per modificarla.
Personalmente, insieme ad altri colleghi, ho presentato poi una proposta riguardante il finanziamento dei parchi regionali. Essendo il tema dei parchi regionali non affrontato dal punto di vista del finanziamento, abbiamo infatti valutato la possibilità di implementare la legge prevedendo lo stesso meccanismo dei parchi nazionali anche per i parchi regionali e, in particolare, prevedendo la creazione di un Fondo a rotazione che possa andare a beneficio anche dei parchi regionali per provare a dare maggiori risorse e valorizzare i progetti più interessanti e più coerenti con le direttive che Ministero e Regioni assegneranno ad essi.
Il tema del come inserire dentro a questo impianto normativo la possibilità di finanziare di più e meglio i parchi regionali – se non attraverso le royalty – è un limite, a mio avviso, di questa riforma legislativa.
Personalmente, ritengo infatti che i parchi regionali abbiano un valore che non può essere soltanto circoscritto dentro gli ambiti della Regione che li accoglie e, per questo, devono avere un sostegno (come e in quali forme è da stabilire) anche da parte dello Stato.
Un ultimo tema su cui c’è una forte discussione riguarda l’articolo 10. L’articolo, per la prima volta in assoluto, regolamenta il controllo della fauna all’interno dei parchi. Prima non vi erano norme in tal senso. È evidente che resta sempre vietata la caccia all’interno dei parchi ma sono consentite attività che riguardano esclusivamente il controllo della fauna ma che prima non erano regolamentate mentre con questo articolo lo si fa.
Innanzitutto, l’articolo 10 attribuisce la responsabilità del controllo della fauna all’interno del parco all’Ente Parco stesso, il quale ha il compito di dire su quale tipo di fauna occorre intervenire e lo deve fare sulla base di un parere vincolante da parte di ISPRA. Inoltre, si regolamenta anche chi poi andrà ad attuare questo tipo di “caccia” per il controllo della fauna all’interno dei parchi, in modo che possano svolgerla solo soggetti abilitati dall’Ente Parco, dopo aver frequentato dei corsi validati da ISPRA.
Per tutte queste ragioni, trovo la polemica di questi mesi attorno all’articolo 10 assolutamente fuori luogo.
Con le norme attuali ogni parco può fare ciò che vuole in merito al controllo della fauna mentre, invece, con la nuova legge si tenta di introdurre delle norme che garantiscono uniformità su tutto il territorio nazionale e garantiscano anche delle regole che vanno poi a tutela di tutti.
La riforma della Legge 394/1991 contiene anche altre questioni più tecniche e burocratiche ma, a mio avviso, quelli illustrati ora sono gli argomenti decisivi su cui si sta discutendo all’interno della Commissione Ambiente del Senato.
Video della relazione di Franco Mirabelli»