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CBAM: una sigla oscura per un fine molto utile

Scritto da Patrizia Toia.

Articolo di Patrizia Toia, Vicepresidente Commissione Industria e Energia del Parlamento europeo.

Da qualche tempo sentiamo spesso parlare di CBAM, e sicuramente ne sentiremo ancora nei mesi che verranno.
Innanzitutto specifichiamo cosa significa questa bizzarra sigla, che è l’acronimo inglese di “Carbon Border Adjustment Mechanism” o, per dirla nella nostra lingua: “Meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera”.
Il 15 marzo il Consiglio Ecofin ha raggiunto un accordo generale sul regolamento, ed ora aspetta che anche il Parlamento si esprima per iniziare quanto prima i negoziati interistituzionali. Le discussioni su questo file vanno avanti speditamente, coinvolgono diverse commissioni parlamentari con ampi risvolti su interi settori economici e sociali.
L’obiettivo di questa riforma è assolutamente condivisibile: non permettere che le merci immesse nel mercato comunitario rappresentino uno svantaggio comparato per le nostre aziende che devono sottostare a una normativa ambientale stringente e giuridicamente vincolante riguardo la riduzione di emissioni di CO2.
Non posso che sostenere una misura che va a sostegno delle nostre industrie, soprattutto quelle altamente energivore (penso all’acciaio, ma anche ferro e settore chimico, per esempio) che si trovano sbaragliate di fronte alla concorrenza con prodotti che arrivano in Ue a prezzi stracciati, o per politiche di sovvenzionamento statale (teoricamente vietate dai nostri trattati, salvo eccezioni) o per mancanza di una normativa ambientale severe nei paesi esportatori.
Da anni il mondo produttivo chiede a gran voce una tale iniziativa, e adesso dobbiamo solo concentrarci sul processo legislativo per renderla effettivamente “fit for purpose”.
Certo, non mancano le insidie in questo percorso, e qui entra in gioco l’altro provvedimento ‘gemello’ - l’ETS, o per dirla in italiano, il ‘Sistema di scambio di quote di emissione che dal 2005 richiede ai grandi impianti emettitori di CO2 autorizzati in Ue di compensare annualmente le proprie emissioni con quote (allowances) che possono essere comprate e vendute dai singoli operatori in aste pubbliche europee o riceverne a titolo gratuito.
A mio avviso - e in questa direzione mi sto adoperando in Commissione Industria e Energia - dovremmo assicurarci che l'attuale protezione fornita dall'ETS sia rimossa solo quando il CBAM si sia dimostrato efficace. Dovrebbe in sostanza integrare progressivamente la protezione ETS e non essere alternativa dal primo giorno in cui entra in vigore.
In più, credo che il regolamento debba valere anche per tutti quei settori “a valle” della catena di produzione. Non possiamo ignorare il fatto che questi settori spesso utilizzano le merci e i prodotti importati a norma di questo meccanismo, come l’acciaio appunto, e possono avere ricadute negative.
In sostanza, l’Ue si doterà a breve di un armamentario normativo imponente per difendere ambiente e industria, coniugando le priorità dell’uno con le esigenze dell’altra. Chiedo però che venga fatto con saggezza e accortezza, considerando i dibattiti paralleli che compongono la nostra azione sul pacchetto “Fit 4 55”, di cui, appunto, l’ETS fa parte.
La politica climatica deve essere sempre più compatibile con la politica industriale. Per anni in Europa questo nesso è stato sottovalutato, ma mai come ne capiamo l’importanza per un futuro sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale.

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