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Ricetta africana a Expo per combattere la fame

Scritto da Stefano Pasta.

Stefano Pasta
Articolo pubblicato nella rubrica Città Nuova del Corriere della Sera.

La lotta alla fame non è solo un tema, ma volti e storie. Con “Ricette Africane”, il convegno organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio l’8 maggio, è arrivata a Expo quella di Jane, bambina di due anni che vive in una baracca a Lilongwe, capitale del Malawi, insieme alla nonna. Entrambi i genitori sono stati uccisi dall’Aids.
La fame, in una famiglia spezzata dalla malattia, è un nemico in più che si aggiunge. Endemico, ma non inevitabile.
Patrick di 6 anni è nato in una baraccopoli di Blantyre, sempre Malawi, ha iniziato a frequentare un centro nutrizionale di Sant’Egidio ma non desiste dal mangiare termiti e pezzi d’argilla. Così è stato abituato fin da piccolo, riempendosi la pancia di vermi.
Poi Chisomo che ad appena un anno e mezzo continua ad entrare e uscire dal reparto di emergenza per malnutrizione grave. E ancora Chamimu, bambina di 5 anni che “non mangia e non cresce”, come dice la mamma senza riuscire ad andare oltre. In realtà vive con un disagio psichico e con l’Aids e non ha nessuno che riesca a farle assumere la terapia correttamente.
Povertà estrema, Aids, mancanza d’istruzione, disagio psichico, stregoneria e superstizione sono sorellastre della malnutrizione. Per Sant’Egidio «sconfiggerle è una battaglia possibile se c’è unità di intenti e sforzi comuni tra Africa e Europa». È il ragionamento che trova casa nell’immagine del poeta-presidente senegalese Leopold Sedar Senghor, sostenitore di “Eurafrica” come quadro di relazioni postcoloniali. Andrea Riccardi, fondatore nel 1968 della Comunità, parla da tempo dell’interdipendenza tra i due continenti uniti dal Mediterraneo: «Senza un comune destino con l’Europa, l’Africa ha poco futuro e l’Europa senza l’Africa perde parte del suo significato».
Alla Cascina Triulza, che ospita gli eventi delle associazioni a Expo, questa alleanza eurafricana viene raccontata da Zeinab Ahmed Dolal, somala con accento romano e cittadinanza italiana (nella foto). Arrivata in Italia poco più che maggiorenne (ora ha 46 anni), vive a Roma, è operatrice sanitaria ed è stata componente della Consulta per l’Islam italiano. Da quando è stato fondato nel 1999, è una delle responsabili del movimento “Genti di Pace” della Comunità di Sant’Egidio. Spiega al convegno: «Con il Programma Dream (Drug Resource Enahancement against Aids and Malnutrition) abbiamo sperimento che fame e Aids sono legate in un circolo vizioso che diventa mortale. Vanno combattute insieme». Oggi 805 milioni di persone non riescono a far fronte ai loro bisogni nutrizionali: «Troppe – dice Zeinab – ma la tendenza nel mondo è positiva: sono diminuite di oltre 100 milioni negli ultimi dieci anni e di 200 rispetto al biennio 1990-92. L’Africa subsahariana è invece in controtendenza: i malnutriti sono aumentati dai 182 milioni del 1990-92 agli attuali 226,7. Varie le cause, ma un dato è chiaro: in tutti i paesi con diffusione dell’Hiv superiore al 5%, la malnutrizione è sempre aumentata».
Dream è indicato a livello internazionale come best practice nella cura dell’Aids (prevenzione e terapia). Fornisce in modo gratuito gli stessi standard occidentali e dal 2002 ne hanno usufruito 1 milione e mezzo di persone in 10 paesi subsahariani. Oggi sono 270mila le persone assistite e 50mila i bambini nati sani da madri sieropositive.
«La terapia – spiega Zeinab – va di pari passo con l’educazione sanitaria e alimentare».
Per curarsi, occorre mangiare: circa il 15% dei pazienti necessita di supporto alimentare e i bambini più poveri mangiano ogni giorno ai centri nutrizionali di Sant’Egidio. Zeinab mostra una foto: due bambini della stessa età, ma uno, affetto da malnutrizione cronica, è la metà del coetaneo. «Il ritardo della crescita – spiega – danneggia anche lo sviluppo intellettivo. L’alimentazione è fondamentale nei primi due anni di vita. Come garantire al bambino la giusta proporzione di calorie e nutrienti, soprattutto proteine, ferro e zinco, quando gli alimenti animali scarseggiano?». Delle soluzioni ci sono, ma spesso sconosciute: per esempio la papaya e la banana, molto nutrienti, di cui Mozambico e Malawi abbondano.
Continua Zeinab: «Nei centri di Dream si svolgono sessioni periodiche di educazione alimentare rivolte alle giovani madri. Queste donne, a loro volta, diventano alfabetizzatrici sanitarie e alimentari nelle loro comunità. È questo il principio che usiamo anche nella lotta all’Hiv con le attiviste».
Sono testimonial, quasi tutte donne, loro stesse pazienti di Dream, che diffondono il messaggio «l’Aids si può curare».
Spiegano perché fare il test di controllo, ai malati l’importanza di assumere regolarmente la terapia e a tutti di non considerare il virus uno stigma. La prima attivista è stata la mozambicana Ana Maria Muhai. Nel 2002, quando aveva incontrato il programma Dream a Maputo, era molto malata: quarantunenne, pesava 28 chili, il corpo pieno di ferite, disprezzata da tutti.
Iniziò subito il trattamento e dopo pochi mesi ricominciò a star bene: raccontava divertita che i suoi vicini di casa, al vederla di nuovo camminare per strada, non potevano credere che fosse lei e la pizzicavano per accertarsi che non fosse un fantasma. Cominciò a trascorrere il suo tempo libero al centro Dream per incontrare i malati e convincere tutti a fare il test e a curarsi. Girava portando con sé una foto di quando era “un fantasma” per mostrare che con le medicine si poteva tornare a vivere. Chi parlava con lei sentiva il “contagio positivo” della sua forza. In Africa era diventata famosa: partecipava a tanti incontri con Sant’Egidio, anche all’Assemblea delle Nazioni Unite a New York, e i media mozambicani la chiamavano “la gladiatora”. Nel 2013 è morta per un’altra malattia, ma il suo sogno, quello eurafricano di Dream, con “Ricette Africane” è arrivato anche all’Esposizione Universale di Milano.
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