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Milano si apre al mondo con Expo e costruisce il futuro

Scritto da Matteo Bianchi.

Matteo BianchiA credere nel futuro non si fa peccato, a condizione di assumersene la responsabilità. Per quasi un decennio, l’Expo 2015 ha rappresentato il vagheggiamento di una Milano possibile, il traguardo di una identità a lungo inseguita dopo anni di faticosa ricerca. Le asperità di questo percorso non ne hanno ridimensionato l’ambizione; semmai l’hanno resa più matura. Nelle giornate inaugurali della manifestazione, i milanesi hanno assaporato il gusto della vera modernità che oggi è, prima di tutto, apertura al mondo, e si sono ritrovati a vivere, quasi da spettatori meravigliati, il concretizzarsi di quelle potenzialità intuite ma ultimamente solo in parte espresse che hanno guidato il progetto di rilancio della città negli ultimi anni. Ma sono stati anche in grado di portare il peso che questo orgoglio di sé comporta, mostrando un rinnovato senso civico senza il quale non può esistere crescita sociale, economica o culturale.
La risposta immediata alle ferite inflitte alla città dalla violenza che, da sempre, è l’ostacolo principale di ogni progresso, rappresenta il primo passo in questa nuova fase, e la risorsa a partire dalla quale completare il percorso verso una Milano che non resti solo nelle intenzioni dei più ottimisti, e per cui Expo può diventare la migliore delle occasioni. Se questa idea di cittadinanza, stretta a difesa delle proprie conquiste di democrazia e sviluppo, possa essere davvero il terreno sul quale costruire il domani, è la prova sulla quale misurare prima di tutto la credibilità della politica. A Parigi, nello scorso gennaio, cittadini e governi hanno mostrato la forza di una rinnovata coesione di fronte al terrore e all’intolleranza. Oggi, per Milano e il Paese, deve valere la consapevolezza che non possa esistere un progetto di futuro senza una nuova idea di condivisione che coinvolga la società e le sue istituzioni, restituisca dignità al coraggio di decidere, e allontani così il pudore troppo spesso ingiustificato del cambiamento.
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