Dare diritti e far crescere le imprese
Credo che un partito progressista debba partire, parlando di lavoro, dalle diseguaglianze e puntare ad estendere le tutele a chi non ne ha. La storia migliore del movimento dei lavoratori va da sempre in questa direzione: non difendere l’esistente, ma sconfiggere tabù e andare oltre. Non bastano le leggi a creare occupazione, ma alcune buone leggi possono facilitarla e soprattutto colmare divari di diritti e di futuro all’interno dello stesso luogo di lavoro. D'altra parte alle imprese dobbiamo dare regole chiare e semplici, riducendo il numero delle forme contrattuali a quelle essenziali e coniugando flessibilità e tutele. Assicurare minimi di retribuzione, tutelare sempre la maternità, garantire a tutti i lavoratori e le lavoratrici un sostegno universale di fronte alla disoccupazione devono essere gli obiettivi centrali della riforma e il Pd deve impegnarsi per approvare e attuare il Jobs act al più presto.
Discuteremo di questi temi nella prossima direzione, senza ricatti e anatemi ideologici. Ma, dopo la discussione, dobbiamo fare la sintesi e a quella dovranno attenersi i gruppi parlamentari. La bussola per noi non può che essere ciò che abbiamo detto in campagna elettorale vogliamo partire da chi ha di meno, dai giovani in particolare, cambiare il Paese per renderlo più forte e più giusto.
Commento alla direzione PD: Leggo i giornali di oggi e vedo titoli che descrivono un Pd lacerato, diviso, sull’orlo della crisi di nervi. Mi domando se ho partecipato alla stessa riunione di cui racconta la stampa, o se sottovaluto la tensione e l’asprezza che pure ho avvertito in una parte degli interventi critici nei confronti della linea di Renzi. Già, perché onestamente a me la discussione di ieri è sembrata una sana discussione politica, nella maggior parte dei casi utile per chi dovrà poi in Parlamento assumere decisioni puntuali sul Jobs Act.
Matteo Renzi ha voluto ricordare e rivendicare le misure già prese – a cominciare dagli 80 euro e dai decreti già convertiti su lavoro, pubblica amministrazione, cultura etc. – e le tante riforme in discussione. Lo ha fatto per dimostrare che non stiamo solo annunciando cambiamenti ma che stiamo concretamente facendo tutto il possibile per sostenere il reddito di chi ha subìto di più la crisi economica, per aiutare le imprese a riprendere la strada della crescita, per modernizzare il sistema pubblico e dare così anche un segnale chiaro a chi vorrebbe investire nel nostro Paese ma teme le troppe inefficienze e incertezze. In questo quadro il confronto, anche acceso, sul mercato del lavoro e sull’art. 18 è fortunatamente andato oltre il dibattito ideologico e stereotipato delle occasioni passate. Gran parte del merito va riconosciuta al Ministro Poletti: il Jobs act contiene infatti una concezione nuova, il conflitto e il contratto – per usare le sue parole – non essendo più sufficienti a definire il rapporto tra lavoro e impresa. Ridurre i rischi e le incertezze per chi sceglie di intraprendere, riconoscere il valore anche sociale dell’impresa non è un modo per mascherare una riduzione dei diritti e delle garanzie per i lavoratori dipendenti. Ciò richiede un ridisegno complessivo del sistema di ammortizzatori sociali, poiché dobbiamo proteggere il lavoro non il “posto di lavoro”, e dobbiamo saper accompagnare la persona che perde l’occupazione verso altre e nuove opportunità. Perché quello che funziona in altri paesi europei non dovrebbe funzionare da noi? Perché non dobbiamo provare ad aggredire – con le risorse che abbiamo e con quelle che dovremo pian piano trovare – l’insostenibile disparità che vede milioni (ripeto milioni) di lavoratrici e lavoratori, giovani e non solo, privi di qualsiasi tutela? L’ordine del giorno approvato al termine della riunione della Direzione fornisce un indirizzo chiaro, che ora i Gruppi parlamentari e il Governo potranno tradurre in opportuni e condivisi aggiustamenti della proposta in discussione. Quell’indirizzo è un passo avanti, riconosciuto peraltro da molti esponenti della minoranza interna al Pd, è stato approvato da una larghissima maggioranza e non può che essere impegnativo per tutti.
Sullo sfondo c’è l’impostazione della prossima Legge di Stabilità su cui pure nel dibattito di ieri sia il Presidente del Consiglio che alcuni degli intervenuti si sono soffermati. La situazione economica non è brillante in nessun Paese dell’Eurozona, è sempre più evidente l’urgenza di promuovere a livello di Unione un cambio di passo per favorire la crescita e l’occupazione. Il Ministro Padoan, parlando ieri alla Conferenza interparlamentare sul Fiscal Compact organizzato alla Camera in occasione del semestre italiano di Presidenza del Consiglio europeo, ha giustamente ricordato la necessità di un mix di politiche per favorire la crescita fondato su tre pilastri: investimenti pubblici e privati, anche sfruttando meglio le risorse della BEI e delle Banche nazionali di sviluppo come CC.DD.PP; riforme strutturali, per generare prospettive di investimento anche se nel medio periodo; mercato unico, inteso come maggiore integrazione a livello europeo in settori strategici come l’energia, le tecnologie dell’informazione, l’innovazione. Si tratta di una strategia complessa in cui ogni soggetto – nazionale e sovranazionale – deve fare la sua parte. Se nel Pd prevale una comune assunzione di responsabilità il lavoro che ci attende, certo una grande sfida, può essere affrontato con fiducia.