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Le mafie al Nord: pericolosità e danni economici e sociali

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco MirabelliIntervento svolto all'incontro “Le mafie. Le mafie al Nord. Informazioni ai cittadini su pericolosità e danni economici e sociali per tutti noi” organizzato dal Circolo PD Quarenghi Di Vittorio (video).

Il problema delle mafie al Nord è molto esteso e molto preoccupante.
Le mafie in Italia ci sono, sono diverse organizzazioni e, in questa fase, è la ‘ndrangheta a fare un po’ da capofila.
La ‘ndrangheta ha avuto una grande capacità di cambiare e di adeguarsi ai tempi e questo le ha consentito di diventare un’organizzazione molto forte.
Nella scorsa Legislatura, anche grazie alla consulenza di Nando Dalla Chiesa, in Commissione Parlamentare Antimafia abbiamo detto che bisognava capire cos’era questo fenomeno.
L’idea che abbiamo delle mafie è spesso molto diversa dalla realtà di oggi. L’immagine che abbiamo della persona con la coppola e che arriva in borsa con la valigetta di soldi per investire i proventi della droga non corrisponde alla realtà: forse è stato così per un periodo ma oggi la situazione è molto diversa.
La ‘ndrangheta oggi è una grande organizzazione insediata, non più solo infiltrata, su tutto il territorio nazionale ma anche nel resto d’Europa e nel mondo.
La ‘ndrangheta, inoltre, è un’organizzazione strutturata, che parte dalla casa madre in Calabria e ogni “locale” sparsa sul territorio corrisponde ad una “locale” di origine calabrese e, pur avendo ciascuna la propria autonomia, quando ci sono controversie da risolvere, tutto torna in Calabria.
La ‘ndrangheta è arrivata fino in Canada o in Australia.
È sbagliata anche l’idea secondo cui gli ‘ndranghetisti che ambiscono ad arricchirsi. Se andiamo a guardare le inchieste di questi anni, vediamo che i capi delle “locali” di ‘ndrangheta fanno lavori umili (guidano le ruspe, fanno i parrucchieri… e mandano le mogli a fare le pulizie negli uffici o nelle case delle famiglie).
Il punto, infatti, non sono i soldi ma il potere: i soldi servono per avere il potere o, come dicono gli ‘ndranghetisti, per “esportare la Calabria nel mondo”.
C’è, quindi, un tema che riguarda il potere, il comandare, l’influire e l’avere in mano la possibilità di determinare le cose e la ‘ndrangheta fa questo mettendo in pratica una grande capacità di adeguarsi e di cambiare.
Se cambiano le leggi, la ‘ndrangheta cambia modo di lavorare e cerca sempre i settori nuovi in cui fare soldi.
La ‘ndrangheta è l’unica organizzazione che può muovere tonnellate di droga da un punto all’altro del mondo con una sola telefonata ma sui nostri territori si dedica ad altro.
L’obiettivo delle mafie nei territori del Nord è quello di entrare nell’economia legale.
La politica interessa relativamente alle mafie: avere un politico di riferimento all’interno di un Consiglio Comunale può essere utile per agevolare un cambio di destinazione d’uso di un terreno ma non è più una priorità della mafia l’intervenire per conquistare i grandi appalti pubblici.
Al Nord, le mafie entrano nelle aziende e se le prendono, come mostrano le inchieste, e poi le usano per spartire gli appalti con moltissime società, in prevalenza calabresi, e con questo costruiscono anche consenso sociale perché danno lavoro.
Questo viene fatto anche nella sanità perché è un settore che dà uno status di accettazione e un prestigio sociale che agli ‘ndranghetisti serve per accreditarsi come persone rispettabili.
La ‘ndrangheta, dunque, è un’organizzazione grande e pericolosissima.
La ‘ndrangheta, inoltre, spara il meno possibile: i magistrati che hanno fatto l’inchiesta Aemilia dicono che la ‘ndrangheta ha gli arsenali di armi ma non li usa; preferisce non farlo perché preferisce entrare nell’economia legale, mostrarsi come rispettabile e farsi accettare.
Tutto questo crea un allarme sociale bassissimo, quasi assente, perciò è importante spiegare la pericolosità delle mafie: si vedono sicuramente meno degli spacciatori o degli immigrati in strada che chiedono l’elemosina, danno meno disturbo pubblicamente ma sono molto più pericolose perché introducono miliardi di provenienza illegale dentro al circuito dell’economia legale e questo per una democrazia è un problema perché vuol dire controllare la democrazia.
L’Italia è terra di origine delle mafie e per questo siamo riusciti a mettere in piedi l’apparato di contrasto alle mafie migliore del mondo e anche la migliore legislazione. Oggi, però, il problema non è più soltanto quello di contrastare le mafie nelle terre di origine o in Italia: le mafie, infatti, hanno assunto una dimensione internazionale e, quindi, vanno contrastate a quel livello, altrimenti si fa fatica a batterle.
La legge sulla confisca dei beni mira a colpire le mafie dove fa loro più male: si portano via i loro beni e i loro soldi e li si mettono a disposizione della collettività.
La dimensione della ‘ndrangheta, però, è internazionale mentre la legge per la confisca dei beni vige solo in Italia, quindi, gli ‘ndranghetisti possono salvare i patrimoni investendoli in beni all’estero.
In alcuni Paesi, inoltre, non esiste neanche il reato di “associazione mafiosa”.
Abbiamo mandato Franco Roberti, ex Procuratore Nazionale Antimafia, al Parlamento Europeo proprio perché il problema delle mafie va affrontato a livello europeo.
Nando Dalla Chiesa, infatti, ha spiegato che ormai c’è un radicamento della ‘ndrangheta in alcune città della Germania o dell’Olanda che è molto pericoloso e incontrastato.
Quello che può fare la politica è continuare a cercare di capire, conoscere e adeguare la legislazione ai cambiamenti in atto.
Adesso la ‘ndrangheta si occupa di false fatturazioni, apre studi di commercialisti per questo.
Di volta in volta, occorre lavorare per costruire norme di contrasto adeguate, che diano alle forze dell’ordine e alla magistratura gli strumenti per battere le mafie.
Serve, però, anche una politica che faccia della lotta alle mafie una priorità.
Non è stato così nell’anno e mezzo d Governo giallo-verde.
Proprio perché le mafie non si vedono, la politica deve dire che sono pericolose e dare un segnale sul fatto che il contrasto alla criminalità organizzata è prioritario.
Le mafie si sconfiggono con le leggi, con il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura ma soprattutto è fondamentale che ci sia la consapevolezza e l’impegno di tutti.
Non possono esserci pezzi di società che si possono estraniare dalla lotta alla mafia: le organizzazioni imprenditoriali, gli ordini professionali oggi sono determinanti per sensibilizzare sul tema e mettere in campo azioni di contrasto.
I magistrati che hanno condotto le inchieste in Lombardia e in Veneto dicono che ormai sono gli imprenditori che cercano la ‘ndrangheta, pensandola come ad un’organizzazione di servizi che può aiutare ad avere più soldi e spesso poi pagano tutto questo. La ‘ndrangheta agli imprenditori offre prestiti, servizi di recupero crediti, false fatturazioni; quando si accettano queste cose però poi si è dentro.
Gli imprenditori che si trovano in queste situazioni poi non parlano neanche con i magistrati, c’è omertà e questo è preoccupante.
Abbiamo bisogno che le organizzazioni professionali mettano dei muri per impedire che i commercialisti siano a disposizione della ‘ndrangheta o che ci siano troppi colletti bianchi a disposizione delle organizzazioni criminali e si devono guardare i segnali che indicano dove c’è qualcosa che non va.
È nell’interesse degli imprenditori che la ‘ndrangheta venga tenuta ai margini. La ‘ndrangheta massacra il libero mercato e la libera competizione perché è ovvio che chi ha la possibilità di attingere ai soldi della ‘ndrangheta sul mercato può fare ciò che vuole a scapito dell’economia sana.
Bisogna anche fare ciò che non si è fatto nell’ultimo anno e mezzo e cioè spiegare che combattere la mafia significa anche fare una battaglia di legalità.
Non tutto è mafia. Nell’inchiesta recente che ha coinvolto il territorio di Varese non era tutto mafia ma la mafia è entrata dentro ad un sistema corruttivo perché dove c’è la corruzione e dove c’è illegalità arriva anche la mafia. La lotta alla corruzione e all’illegalità, quindi, diventano una questione prioritaria.
Occorre, dunque, esplicitare che la mafia c’è e contrastarla è una priorità.
Con il Governo giallo-verde sono stati fatti due decreti sicurezza in cui non si parla di contrastare le mafie. Nel primo “decreto sicurezza” c’è scritto che si possono vendere i beni confiscati e questo non significa fare la lotta alla mafia ma pensare di ricavare dei soldi dai beni confiscati, facendo venir meno il principio della legge LaTorre che prevede che quei beni vengano restituiti alla collettività.
Inoltre, bisogna costruire le garanzie di legalità.
Il Governo giallo-verde in poco tempo ha approvato 9 condoni, ha approvato il “decreto sblocca-cantieri” incentrato sull’idea che se c’è da guadagnare e da portare avanti gli affari si può anche chiudere un occhio sulle regole. Così si fanno regali alle mafie. Le mafie arrivano quando si creano queste situazioni.
Adesso, con il nuovo Governo occorrerà dare segnali chiari sul fronte del contrasto alle mafie e in parte lo stiamo già facendo rispetto alla lotta all’evasione fiscale: si torna a mettere al centro la questione della legalità e si torna a mettere al centro la questione della lotta alle mafie.
Sicuramente i cittadini sono più spaventati dagli spacciatori, dagli scippatori, dalla prostituzione sotto casa e la politica se ne deve occupare, facendo controllare il territorio per evitare i reati di strada ma allo stesso tempo deve agire sapendo che la priorità è la lotta alle mafie, che sono il nemico più grande per la nostra democrazia.

Capisco che quando parliamo di mafia sui territori vengano in mente la prostituzione e la droga ma occorre fare attenzione perché nel processo di cambiamento delle mafie, per cui le organizzazioni criminali cercano di legittimarsi agli occhi dell’opinione pubblica, c’è anche il fatto che di droga se ne occupino meno mentre tendono a compiere reati finanziari, false fatturazioni, cercano di entrare nelle imprese.
Questo è ciò che dicono i magistrati che svolgono le indagini: non è detto che la droga sia ancora l’attività principale delle mafie.
Le mafie, quindi, spesso non sono solo ciò che vediamo ma sono ciò che non vediamo eppure hanno effetti seri.
In Italia si sta facendo la lotta alla mafia e la si sta facendo meglio che negli altri Paesi.
I nostri magistrati e le nostre forze dell’ordine sono chiamati in tutto il mondo a insegnare qual è il nostro modo di lavorare e quali sono le nostre leggi.
Con la Commissione Parlamentare Antimafia siamo andati in alcuni Paese europei e in Canada a spiegare che senza i reati associativi, senza la confisca dei beni e senza inseguire il denaro è difficile combattere le mafie.
Noi dobbiamo essere orgogliosi del lavoro che svolgiamo in questo ambito.
L’Italia non è un Paese in mano alle mafie.
Qui la guerra alle mafie si fa davvero.
Per riuscire a contrastare le organizzazioni criminali, però, bisogna accorgersi che ci sono.
Nando Dalla Chiesa ha raccontato che in Germania ci sono intere città controllate dalla ‘ndrangheta e nessuno del luogo sembra essersene accorto.
Un po’ di orgoglio per il lavoro che si sta facendo in Italia, dunque, occorre averlo: non è un caso che sia stato affidato alla Direzione Nazionale Antimafia anche l’incarico della prevenzione e della lotta al terrorismo nella fase più delicata, in cui si sono verificate aggressioni in tutta Europa.
Ci sono, quindi, anche cose che sappiamo fare e che possiamo insegnare, eppure questo non basta per sconfiggere le mafie.
Per Expo era stato costruito un modello di intervento proprio per impedire le infiltrazioni criminali e questo ha portato ad una sessantina di aziende interdette dai lavori perché considerate sospette.
Lo stesso sistema è stato poi applicato al Giubileo e ad altri grandi eventi.
Far passare l’idea di essere un Paese imbelle e indifeso di fronte alle mafie equivale a fare un ottimo regalo alla criminalità organizzata.
In Parlamento, ovviamente, nessuno dice di non voler combattere la mafia ma il problema è che non siamo d’accordo sul come si può combatterla. Inoltre, in una parte politica mi pare che non ci sia la percezione del fatto che non è sufficiente dire di esser contro le mafie ma bisogna anche lavorare affinché si affermi il principio di legalità, altrimenti la criminalità organizzata trova spazio.
Dire che “la mafia fa schifo” e contemporaneamente approvare un decreto come lo “sblocca-cantieri” che consente più subappalti, più possibilità per affidamenti diretti senza gara e una serie di cose che si sapeva che consentivano alle mafie di entrare negli appalti non aiuta a contrastare le organizzazioni criminali.
A dire che le mafie hanno i giorni contati ma contemporaneamente lanciare il messaggio che se dà fastidio pagare le tasse si può anche non pagarle perché poi arriva il condono, non si fa un buon servizio alla lotta alla criminalità organizzata.
Su queste cose, tra le parti politiche, mi pare che ci siano ancora delle differenze significative.
Le associazioni che si occupano di legalità hanno detto che la scorsa Legislatura è stata la fase in cui si sono fatte più leggi per contrastare la corruzione e le mafie.
Siamo passati da quella fase al Governo giallo-verde in cui il messaggio è stato l’opposto, cioè il dire che per far ripartire i cantieri si potevano anche abbassare le tutele di legalità (oltretutto i cantieri non sono neanche partiti). Così si fanno favori alle mafie.
Su questo abbiamo dato battaglia e dobbiamo continuare a farlo, mandando dei messaggi che esplicitino che è cambiata la fase e le mafie lo devono capire.
Oltretutto, bisogna ricordarsi che le mafie votano.
Bisogna, quindi, tornare a parlare di antimafia e sapere che la lotta alla mafia si fa con la polizia, con i magistrati ma si fa anche facendo una battaglia tutti i giorni e ovunque.

Video del secondo intervento»

Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook

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