Bene le finanze UE a un socialista
Segnaliamo l'intervista (file PDF) a Patrizia Toia, Vicepresidente della Commissione Industria al Parlamento Europeo, pubblicata da L'Unità sul tema delle nuove nomine degli organismi europei.
La promessa di un commissario Ue agli Affari economici proveniente dalla famiglia socialista non basta per ottenere i voti dei progressisti. Lo spiega a l`Unità l`eurodeputata Pd Patrizia Toia, dopo l`audizione di lunedì del presidente designato della Commissione europea Jean-Claude Juncker.
La flessibilità di bilancio non può essere generica, ci vuole qualcosa di concreto come lo scorporo del cofinanziamento nazionale ai progetti Ue, precisa Toia, che in questa legislatura è stata riconfermata alla vicepresidenza della commissione Industria, Ricerca ed Energia.
Perché non è sufficiente avere un socialista agli Affari economici?
«Si tratta sicuramente di una buona notizia, visto che ci siamo tanto lamentati della ristrettezza di vedute di Olli Rehn. Però l`etichetta socialista non basta. Lo stesso Juncker lunedì ha detto che due membri dell`Eurogruppo erano socialisti ma non erano più a sinistra di lui. Io mi auguro che il prossimo commissario agli Affari economici non sia del Nord Europa, perché si tratta di socialisti che hanno una visione molto legata al rigore. Hanno un approccio un po` diffidente rispetto ai Paesi del Sud dell`Europa, che risente di quegli stereotipi che noi, con il lavoro di Renzi, stiamo cercando di eliminare. Noi nei confronti del Nord Europa e loro nei confronti nostri».
Quindi l`attuale ministro delle Finanze olandese e presidente dell`Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, non sarebbe un buon candidato?
«Non sarebbe una garanzia di un reale cambiamento delle politiche. Se abbiamo tanto detto, come intero gruppo dei S&D, che ci vuole un cambiamento, ora dobbiamo vedere segnali forti di questo cambiamento nel programma del commissario. Juncker giustamente ha rivendicato una sua autonomia sia dal Consiglio che dal Parlamento. Un presidente eletto di fatto dai cittadini, anche se non direttamente, è molto più forte. Questo vuol dire avere della Commissione una visione politica, come è stato ai tempi di Delors e ai tempi di Prodi, quando la Commissione era una driver, un`istituzione che spingeva. Proprio per quello se Juncker vuole una qualche autonomia, perché è la presidenza eletta dai cittadini, allora deve portarci gli elementi di questa sua forza politica».
Fino ad ora però i segnali sono stati ambigui. Nell`audizione con i liberali Juncker ha promesso rigore...
«Questo fa un po` parte del gioco, il fatto che uno accentui una sfumatura o l`altra. Però le cose che ha detto da noi rimangono, anche scritte. Il problema è che sulla parte economica ha parlato solo di "aggiustamenti". Sul lavoro le sue risposte non sono state all`altezza della drammaticità della situazione».
In concreto sui temi economici cosa chiedono i progressisti?
«Il problema è dire una parola su come si introduce la flessibilità. Una delle cose più richiesta è quella della possibilità di scorporare dai vincoli del Patto di Stabilità determinate spese di investimento, come quelle che fanno parte dei progetti europei in cofinanziamento, in modo che l`Europa abbia comunque un controllo per assicurare che non si faccia spesa fuori da una strategia. Mi pare il punto essenziale perché libera risorse a livello territoriale. La flessibilità non può essere solo un`evocazione generica su qualche piccolo vantaggio che viene concesso».
Quindi il 15 luglio il voto dei progressisti europei potrebbe mancare?
«È chiaro che dobbiamo votarlo. La sua elezione è l`applicazione di un criterio democratico e, se veniamo meno, perdiamo quel passo avanti che è stato fatto nel senso di una democrazia dei cittadini. Per adesso Juncker è designato secondo un metodo politicamente corretto, poi però ci deve convincere su un paio di punti. Sul valore dell`uomo, sulla sua competenza e soprattutto sul suo europeismo non ci sono dubbi. Lui ha ricordato di essere stato un difensore dell`euro anche con la Grecia, quando tutti ipotizzavano uscite programmate del Paese dalla moneta unica. Ha ricordato di aver aiutato la Francia e la Germania quando avevano bisogno loro di flessibilità. Ha detto che sono stati fatti negli errori nei piani di aggiustamento con la Grecia. Ha detto che anche lui ritiene che la troika vada cambiata. Bene, ma se vuole i nostri voti deve fare di più, noi abbiamo dato mandato a Pittella di negoziare sui punti che ci interessano».
La promessa di un commissario Ue agli Affari economici proveniente dalla famiglia socialista non basta per ottenere i voti dei progressisti. Lo spiega a l`Unità l`eurodeputata Pd Patrizia Toia, dopo l`audizione di lunedì del presidente designato della Commissione europea Jean-Claude Juncker.
La flessibilità di bilancio non può essere generica, ci vuole qualcosa di concreto come lo scorporo del cofinanziamento nazionale ai progetti Ue, precisa Toia, che in questa legislatura è stata riconfermata alla vicepresidenza della commissione Industria, Ricerca ed Energia.
Perché non è sufficiente avere un socialista agli Affari economici?
«Si tratta sicuramente di una buona notizia, visto che ci siamo tanto lamentati della ristrettezza di vedute di Olli Rehn. Però l`etichetta socialista non basta. Lo stesso Juncker lunedì ha detto che due membri dell`Eurogruppo erano socialisti ma non erano più a sinistra di lui. Io mi auguro che il prossimo commissario agli Affari economici non sia del Nord Europa, perché si tratta di socialisti che hanno una visione molto legata al rigore. Hanno un approccio un po` diffidente rispetto ai Paesi del Sud dell`Europa, che risente di quegli stereotipi che noi, con il lavoro di Renzi, stiamo cercando di eliminare. Noi nei confronti del Nord Europa e loro nei confronti nostri».
Quindi l`attuale ministro delle Finanze olandese e presidente dell`Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, non sarebbe un buon candidato?
«Non sarebbe una garanzia di un reale cambiamento delle politiche. Se abbiamo tanto detto, come intero gruppo dei S&D, che ci vuole un cambiamento, ora dobbiamo vedere segnali forti di questo cambiamento nel programma del commissario. Juncker giustamente ha rivendicato una sua autonomia sia dal Consiglio che dal Parlamento. Un presidente eletto di fatto dai cittadini, anche se non direttamente, è molto più forte. Questo vuol dire avere della Commissione una visione politica, come è stato ai tempi di Delors e ai tempi di Prodi, quando la Commissione era una driver, un`istituzione che spingeva. Proprio per quello se Juncker vuole una qualche autonomia, perché è la presidenza eletta dai cittadini, allora deve portarci gli elementi di questa sua forza politica».
Fino ad ora però i segnali sono stati ambigui. Nell`audizione con i liberali Juncker ha promesso rigore...
«Questo fa un po` parte del gioco, il fatto che uno accentui una sfumatura o l`altra. Però le cose che ha detto da noi rimangono, anche scritte. Il problema è che sulla parte economica ha parlato solo di "aggiustamenti". Sul lavoro le sue risposte non sono state all`altezza della drammaticità della situazione».
In concreto sui temi economici cosa chiedono i progressisti?
«Il problema è dire una parola su come si introduce la flessibilità. Una delle cose più richiesta è quella della possibilità di scorporare dai vincoli del Patto di Stabilità determinate spese di investimento, come quelle che fanno parte dei progetti europei in cofinanziamento, in modo che l`Europa abbia comunque un controllo per assicurare che non si faccia spesa fuori da una strategia. Mi pare il punto essenziale perché libera risorse a livello territoriale. La flessibilità non può essere solo un`evocazione generica su qualche piccolo vantaggio che viene concesso».
Quindi il 15 luglio il voto dei progressisti europei potrebbe mancare?
«È chiaro che dobbiamo votarlo. La sua elezione è l`applicazione di un criterio democratico e, se veniamo meno, perdiamo quel passo avanti che è stato fatto nel senso di una democrazia dei cittadini. Per adesso Juncker è designato secondo un metodo politicamente corretto, poi però ci deve convincere su un paio di punti. Sul valore dell`uomo, sulla sua competenza e soprattutto sul suo europeismo non ci sono dubbi. Lui ha ricordato di essere stato un difensore dell`euro anche con la Grecia, quando tutti ipotizzavano uscite programmate del Paese dalla moneta unica. Ha ricordato di aver aiutato la Francia e la Germania quando avevano bisogno loro di flessibilità. Ha detto che sono stati fatti negli errori nei piani di aggiustamento con la Grecia. Ha detto che anche lui ritiene che la troika vada cambiata. Bene, ma se vuole i nostri voti deve fare di più, noi abbiamo dato mandato a Pittella di negoziare sui punti che ci interessano».