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Legalità prima di tutto

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli
Intervento all’incontro “Legalità prima di tutto” (video).

Dentro le vicende accadute nel varesotto ci sono molte componenti che confermano quanto è emerso dagli approfondimenti che abbiamo fatto nella scorsa Legislatura con la Commissione Parlamentare Antimafia e la collaborazione dell’Università degli Studi di Milano con Nando Dalla Chiesa sulla presenza delle mafie al Nord. Quello che è emerso è contenuto nella Relazione conclusiva dei lavori della Commissione che dice che le mafie - e in particolare la ‘ndrangheta - sono insediate al Nord.
Il racconto che abbiamo costruito con le inchieste è di una presenza ‘ndranghetista radicata su questi territori, nei Comuni piccoli, dove non ci sono i riflettori, dove è più facile mimetizzarsi, più vicini al confine perché così diventa più facile riunirsi senza essere intercettati andando dall’altra parte della frontiera. Gli ‘ndranghetisti, infatti, tendono a non esporsi e non esibirsi, fanno lavori umili e mandano le mogli a fare i servizi.
La ‘ndrangheta c’è qui ed ha cambiato strategia: non spara; è interessata a penetrare nell’economia legale, entrare nelle aziende e quella di utilizzare le ricchezze per entrare nelle imprese sta diventando l’attività principale per condizionare l’economia.
La ‘ndrangheta ha bisogno della politica per aggiustare delle cose, come il cambio di destinazione d’uso di un terreno.
Tuttavia, tutto avviene in modo diverso dal passato.
Il problema è che non c’è la percezione della pericolosità della ‘ndrangheta in quanto, non sparando, non viene percepita come un pericolo e, quindi, c’è una scarsa attenzione da parte dell’opinione pubblica.
È molto più facile evocare gli sbarchi dei migranti perché vengono maggiormente percepiti come un pericolo rispetto alla ‘ndrangheta che sta condizionando la nostra economia e la nostra democrazia immettendo grandi quantità di denaro di provenienza illecita.
Le vicende del varesotto indicano alcune cose: innanzitutto bisogna precisare che non tutto è ‘ndrangheta ma corruzione e illegalità sono il terreno che consente alla ‘ndrangheta di entrare. La ‘ndrangheta arriva dove ci sono imprenditori che accettano un rapporto e dove si crea un giro corruttivo e illegale.
Dove c’è illegalità si crea un terreno favorevole alla criminalità organizzata.
Un’altra questione che emerge dall’inchiesta che ha coinvolto esponenti politici del varesotto si lega a Tangentopoli. C’è una buona politica se la politica è finalizzata all’interesse pubblico e una cattiva politica se, invece, la politica è finalizzata ad alimentare filiere personali o di gruppi. Le recenti inchieste hanno mostrato che qui ci sono persone che si sono rese protagoniste di una cattiva politica.
Non è la prima volta che si verificano cose come quelle emerse nell’ultima inchiesta.
È lo stesso schema di Tangentopoli dove c’era corruzione e anche operazioni lecite ma finalizzate non all’interesse comune ma al proprio o a quello del gruppo di persone che, ad esempio, si ritrovavano al ristorante soprannominato “la mensa dei poveri”.
Quando le nomine servono ad alimentare un gruppo, una filiera e l’arricchimento personale non c’è solo il tema dell’illecito ma a cosa serve la politica.
Nel Mezzogiorno questo è un problema drammatico perché la politica non si occupa di dare servizi ai cittadini ma di alimentare filiere di potere ed è preoccupante.
Queste sono anche le ragioni per cui la politica è messa male in Italia e tanti cittadini non hanno fiducia nella politica.
C’è poi un’altra questione che riguarda le imprese.
La ‘ndrangheta che non spara e ha interesse a entrare nell’economia legale non trova dei muri nella totalità del mondo economico e delle imprese, anzi, spesso trova una disponibilità.
Come PD siamo andati in Veneto, dove in questi mesi ci sono state una serie di inchieste, mentre la Commissione Antimafia c’è andata solo recentemente. Sia il Prefetto che il Procuratore di Venezia hanno spiegato che lì c’è la più alta evasione fiscale del Paese e i soldi sono l’interesse prioritario, per cui se si presenta l’ndrangheta, più o meno riconoscibile, che offre servizi (recupero crediti, prestiti ecc.) perché pensare che ci dovrebbe essere una repulsione morale?
Il magistrato Alessandra Dolci dice che in tutti questi anni di inchieste ha riscontrato un clima omertoso da parte degli imprenditori dei nostri territori.
Siamo, quindi, di fronte ad un tema che richiederebbe una forte tensione morale da parte della politica, accompagnata da un’azione concreta per mettere un freno, contrastare, prevenire e combattere su questo terreno la criminalità organizzata.
La nostra magistratura è attrezzata più di ogni alta per il contrasto alla criminalità organizzata e anche la nostra legislazione costituisce un modello che gli altri Paesi stanno acquisendo.
La capacità di contrasto, quindi, c’è ma non è sufficiente e la politica deve dare un segnale in questo senso. Oggi, invece, chi governa sta dando un segnale negativo.
Raffaele Cantone, in un’audizione in Commissione Antimafia, ha detto che rispetto alla legalità si è cambiato il segno.
Tutti ci riconoscono che nella precedente Legislatura abbiamo fatto la migliore legislazione possibile contro le mafie e contro la corruzione (l’Autorità Nazionale Anti-Corruzione è frutto di quella stagione).
ANAC è lo strumento che ha consentito di mettere in campo, oltre che la repressione, anche la prevenzione rispetto ai fenomeni corruttivi perché aveva il potere di andare a vedere i capitolati d’appalto e valutare se potevano garantire la legalità.
ANAC è stato un riferimento per costruire il modello di lavoro che ha impedito le infiltrazioni criminali in Expo e in altre grandi opere del Paese.
Oggi, con il decreto “sblocca-cantieri” si dà un segnale diverso: si smonta la parte del nuovo Codice degli Appalti che serviva a restringere gli spazi di penetrazione della criminalità organizzata, come ad esempio le questioni inerenti i subappalti e i consorzi, e poi toglie il ruolo ad ANAC.
Ma il segno dell’inversione di tendenza non è solo lì: un Governo che in un anno fa 17 condoni, anche rispetto al clima culturale generale, non dà il segno che bisogna rispettare le regole.
Il Ministro degli Interni addita le mafie con molte parolacce e applaude ogni volta che viene arrestato qualche spacciatore ma parla molto meno quando emergono indagini riguardanti i colletti bianchi; non ha detto nulla in merito alla prima inchiesta riguardante il territorio del legnanese e del varesotto (ha accennato alla ‘ndrangheta nella gestione dei parcheggi di Malpensa ma non ha detto niente sul resto); gli stiamo chiedendo da mesi di venire in Commissione Antimafia a spiegare cosa sta facendo per contrastare le mafie ma non viene perché sa che gli chiederemmo conto anche delle vicende di Siri, di Arata e dell’inchiesta sull’eolico.
Nel Governo ci sono dentro anche i Cinque Stelle che facevano della legalità una bandiera e ora dicono che con il decreto “spazza-corrotti” sono stati risolti tutti i problemi mentre non è vero e, anzi, quella legge ha prodotto anche danni perché alcune norme nei fatti rendono impossibile la collaborazione degli indagati perché non potranno ricevere alcun beneficio, non potranno avere il rito abbreviato e comunque dopo non potranno neanche più riprendere l’attività ed è chiaro che a queste condizioni nessuno è interessato a collaborare.
In ogni caso, a parte il decreto “spazza-corrotti”, tutte le leggi del Governo giallo-verde lasciano intendere che non è un problema la legalità; Salvini dice che tutti gli amministratori sono bravi a prescindere e sappiamo che non è così dalle inchieste.
C’è, quindi, una battaglia politica seria da fare.
Noi la stiamo facendo, nei limiti del possibile ma c’è un punto: abbiamo bisogno di raccontare tutto questo perché non c’è la percezione della pericolosità della criminalità organizzata e la percezione del fatto che l’illegalità è un problema per il Paese e per tutti.
Ogni episodio come quelli accaduti in questi territori tolgono qualcosa ai cittadini.
Queste cose le dobbiamo dire e questa battaglia la dobbiamo fare perché la ‘ndrangheta che non spara non viene percepita come un pericolo ma invece lo è.
I soldi che arrivano dalla droga o da altri affari illeciti immessi nell’economia legale diventano un pericolo per la democrazia, per i diritti e soprattutto per la libertà.
Dall’esperienza che mi sono fatto in questi anni mi viene da pensare che è il caso di non usare più la definizione di “infiltrazioni mafiose” al Nord in quanto ormai le mafie qui sono insediate, ci sono. Le locali di ‘ndrangheta presenti sui nostri territori ci sono da molti anni.
È importante spiegare che le mafie qui non sono di passaggio ma ci sono stabilmente.
La vicenda di Cantù, ad esempio, mostra che non solo c’è la ‘ndrangheta ma che addirittura si è palesata anche con la violenza.
Nonostante le tante inchieste, qui si continua a immaginare le mafie come ad un fenomeno di passaggio o di infiltrazione mentre invece sono presentissime.
In Comuni che sono stati oggetto di inchieste per mafia, come Cantù, Brescello, Sedriano, le persone non vogliono prendere atto del problema, anzi, spesso lo negano e si offendono a sentir dire che in alcuni casi avevano giunte quasi eterodirette dalla ‘ndrangheta.
Questo è un tema importante su cui ragionare.

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