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I primi sei mesi della Commissione Antimafia

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli Credo sia utile raccontare ciò che è stato fatto in questi primi sei mesi di attività della Commissione Antimafia, soffermandomi un po’ di più sul lavoro inerente le questioni della mafia al Nord, che sarà riassunto in un documento che rappresenta il Primo Rapporto sulle infiltrazioni mafiose al Nord, stilato con la consulenza di Nando Dalla Chiesa e dell’Università di Milano e che sarà presentato a Torino nelle prossime settimane.
Innanzitutto, queste iniziative servono a dare il senso della pericolosità, dell’urgenza e dell’attualità della questione della mafia e, soprattutto, della ‘ndrangheta al Nord, dove tra la percezione e la reale presenza della criminalità organizzata c’è una grande sproporzione.
Le inchieste e i dati che abbiamo raccolto fino ad ora, infatti, hanno mostrato una presenza molto forte della criminalità organizzata al Nord ma l’opinione pubblica non ha questa percezione. Per cui, la politica, oltre a saper dare una risposta adeguata a queste situazioni, deve anche avvertire l’opinione pubblica.
Il compito della Commissione Antimafia è quello di capire i fenomeni della criminalità organizzata e capirne i mutamenti che si hanno nel tempo, attraverso le audizioni e anche attraverso la presenza sui territori e, sulla base di queste riflessioni, provare non tanto a compiere istruttorie che rischiano di sovrapporsi al lavoro che fa già la magistratura, ma cercare di capire quali strumenti possono mettere in campo la politica, la legislazione e il Parlamento per contrastare meglio le infiltrazioni criminali.

In questi mesi, con la Commissione Antimafia, abbiamo fatto già tre cose importanti.
Innanzitutto, abbiamo prodotto un documento sulla gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, perché una delle prime cose che abbiamo notato in questi mesi è stato proprio il non funzionamento dell’Agenzia che si doveva occupare dei beni sequestrati e confiscati. C’è, infatti, una legge che dice che - solo per i reati di associazione mafiosa - è possibile confiscare beni o aziende ritenute di proprietà di soggetti che hanno a che fare con la criminalità organizzata, prima ancora che cominci il primo grado di processo. Si tratta di una norma di prevenzione importante ed efficace perché – come ben sanno tutti coloro che si occupano di criminalità organizzata – il punto vero da colpire per fermare le organizzazioni criminali e fare prevenzione sono i soldi e i patrimoni.
Affinché questa manovra risulti ancora più efficace però serve dimostrare alla popolazione che quei beni confiscati vengono rimessi in circolo con una funzione pubblica, restituiti ai cittadini. A Milano c’è un’esperienza molto positiva anche dell’utilizzo di strutture confiscate alla criminalità organizzata per iniziative pubbliche ma non è così in tutta Italia.
L’Agenzia dei beni confiscati, purtroppo, non ha garantito un buon utilizzo di questi beni in gran parte del Paese. Ma se la confisca di un’azienda comporta il fallimento dell’azienda stessa con la conseguente perdita anche di molti posti di lavoro, è evidente che per lo Stato diventa anche controproducente. Si produce l'idea di uno stato che non sa garantire il lavoro che la mafia sapeva garantire. Occorre, quindi, ripensare il ruolo dell’Agenzia per i beni confiscati e occorre stabilire che già nella fase del sequestro venga data la possibilità ai magistrati di sorveglianza di dirigere quell’impresa.
A Roma, c’è stata un’esperienza-pilota, a mio avviso importante, in cui il magistrato, quando ha deciso la confisca di una catena di ristoranti, ha condiviso subito un progetto con i custodi giudiziari e, in questo modo, quei ristoranti non hanno fatto neanche un giorno di chiusura, è stato messo in regola tutto il personale e, oggi, quei ristoranti producono profitto.
Purtroppo non è così ovunque.
La situazione è più complessa per le aziende: per esse, la legge prevede che tutti i beni immobili di cui dispongono debbano essere venduti.
In una città come Palermo, ad esempio, dove c’è un gran bisogno di casa e ci sono centinaia di appartamenti sequestrati alla mafia, questi non possono essere messi a disposizione del Comune per affrontare l’emergenza abitativa.
Ci sono, quindi, una serie di questioni che riguardano il malfunzionamento dell’Agenzia ma, dopo qualche anno, vi è anche la necessità di fare un tagliando alla legge che regola queste situazioni e, per questo, abbiamo presentato una relazione  discussa alla Camera dei Deputati e al Senato al fine di dare poi un contributo ai percorsi legislativi.

Un altro documento che abbiamo prodotto riguarda il contrasto della criminalità organizzata in Europa.
Perché abbiamo ormai l’evidenza del fatto che la criminalità organizzata non sta confinata nelle Regioni del Sud e non è neanche solo in Italia.
In Italia, comunque, abbiamo sicuramente la criminalità organizzata più forte del mondo ma possiamo dire con orgoglio che abbiamo anche la legislazione antimafia migliore. Per questo, credo che sia importante non solo il coordinamento tra le forze dell’ordine ma anche dare un contributo per migliorare l’azione e le normative in tutta l’Europa.
Sarebbe di straordinaria importanza per esempio avere leggi che consentano la possibilità di confiscare i beni anche negli altri Paesi europei allo stesso modo di come si fa in Italia perché altrimenti il rischio è che la criminalità organizzata produca qui il proprio guadagno ma poi investa in patrimoni all’estero per aggirare le nostre leggi, come già succede. Non tutti i Paesi, infatti, hanno compreso la gravità della presenza della criminalità organizzata: spesso, la sottovalutano facendo prevalere un principio di diritto che è quello secondo il quale, prima di aggredire i beni, occorre che vi sia la condanna dell’accusato e il passaggio in giudicato della sentenza. In sintesi, in vista della presidenza italiana dell’Unione Europea, vogliamo sottolineare come, se le mafie non hanno più una dimensione nazionale, così serve un'azione di contrasto e prevenzione europea e come, se per le mafie non esistono confini, così deve essere anche per le competenze degli organi a cui affidiamo la lotta alla criminalità organizzata.

Un altro documento, come accennavo all'inizio, è stato preparato con la collaborazione dell’Università di Milano e di Nando Dalla Chiesa e verrà presentato a Torino nell’anniversario della prima inchiesta che ha svelato la presenza della criminalità organizzata al Nord ed è un rapporto che dobbiamo tenere ben presente.
Come anticipavo, è impressionante la distanza che c’è tra la realtà e la percezione che ha l’opinione pubblica di cosa sia la criminalità organizzata al Nord e di quanto essa sia pericola.
Noi abbiamo centrato l’attenzione della Commissione Antimafia sul Nord perché c’era bisogno di capire meglio come funzionano le infiltrazioni criminali nell'economia e nella società.
Qui al Nord, sono presenti tutte le mafie, anche quelle straniere, ma il fenomeno prevalente e più invasivo e' quello della ‘ndrangheta, che ha una capacità di penetrazione nell’economia, nella politica e nella società molto grande ed è un fenomeno in continua evoluzione.
Oggi, ad esempio, i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia dicono che c’è una forte capacità di penetrazione in settori come quello del turismo, in cui si stanno rafforzando le presenze della ‘ndrangheta in tutta l’area del Garda, del mantovano e a scendere fino a lungo la costa adriatica.
Diverse inchieste testimoniano che oggi il soggetto più pericoloso e più forte e la ‘ndrangheta, perché ha una capacità di avere un rapporto diretto senza avere bisogno di garanzie o altro con i cartelli latinoamericani che forniscono la droga e, a partire da questo, riesce ad avere ingentissimi capitali che derivano appunto dal commercio di droga e da una serie di altre attività criminali che controlla.
Poter avere grandi capitali da investire nell’economia legale in un momento di crisi come questo da una forza molto significativa e preoccupa rispetto alla tenuta della stessa democrazia, non solo della convivenza civile.
Ormai è appurato che la ‘ndrangheta è un’organizzazione unitaria, con una struttura militare per cui ad ogni cellula organizzativa (che chiama “locale”) che c’è in Calabria corrisponde una “locale” in una realtà del Nord e negli altri Stati (lo stesso principio si applica anche all’estero). Ognuna di queste “locali” ha dei riferimenti con la casa madre, ha spazi di autonomia ma, comunque, quando sorgono contenziosi, decide sempre la casa madre e la “locale” di origine.
In Lombardia e anche nella provincia di Milano si sono riprodotte molte “locali”.
C’è un dato che testimonia la forza della presenza della criminalità organizzata qui: dopo la Calabria e la Sicilia, la Lombardia è la quarta Regione per confische di beni alla criminalità organizzata.
Oltre alla struttura militare, la forza di questa organizzazione sta nel fatto di essere una realtà criminale che spessissimo si fonda su rapporti familiari e questo spiega il perché è raro il fenomeno del pentitismo nella ‘ndrangheta, contrariamente alla mafia e alla camorra. I pentimenti sono rarissimi perché, spesso, implicano il denunciare un parente e, infatti, gli atti più evidenti della violenza della ‘ndrangheta sono stati volti a punire chi ha messo in discussione questo principio.
Un’altra questione che spiega la distanza tra la percezione e la realtà è che la ‘ndrangheta ha scelto la strategia di abbandonare le violenze per strada e, quindi, di produrre scarso allarme sociale. Questo non vuol dire che non ci siano violenze o che non ci sia la criminalità ma in questo modo si produce scarso allarme sociale.
Forte di tutto questo (organizzazione unitaria, scarsi pentimenti, abbandono della violenza, scarso allarme sociale, entità enorme di soldi che può mettere sul mercato), oggi la ‘ndrangheta ha avuto una capacità straordinaria di infiltrarsi nell’economia, con la conseguenza che si è prodotta una “zona grigia” enorme.
I magistrati dicono che non è la ‘ndrangheta che va a cercare le aziende per il pizzo o altro: ormai sono le aziende a cercare la ‘ndrangheta perché è un momento di crisi e pensano che in quel modo sia possibile avere un vantaggio accedendo ad una liquidità senza sporcarsi troppo le mani.
Si è registrata anche l'omertà da parte degli imprenditori: è successo in più inchieste riguardanti cose acclarate da intercettazioni o altro, in cui gli imprenditori, vittime di usura o che hanno subito altri condizionamenti, anche di fronte a queste evidenze non hanno denunciato e alcuni sono anche stati indagati e rinviati a giudizio per il reato di associazione mafiosa proprio perché in questo modo favorivano la criminalità.
La ‘ndrangheta, inoltre, si sta infiltrando nella politica e nella pubblica amministrazione attraverso gli appalti.
È anche il tema di questi giorni il come si rimette mano al codice degli appalti perché la vicenda di Expo dice che non basta mettere in campo tutte le misure per evitare l’ingresso delle organizzazioni criminali nei lavori della manifestazione (e quelle adottate sono misure eccezionali). Le interdittive alle aziende hanno dimostrato che si è creata una rete ma non è stata sufficiente perché nell’attribuzione degli appalti è rimasta la possibilità di aggiustare poi gli appalti. Chi ha i soldi (e la criminalità organizzata ne ha tanti) può partecipare alle gare anche con aziende che non hanno un rapporto immediatamente riconducibile alle organizzazioni criminali. Inoltre, un’altra cosa che abbiamo verificato in tanti Comuni che sono stati sciolti per mafia (come quello di Sedriano, ad esempio, che si trova in provincia di Milano ed è stato il primo Comune lombardo sciolto per mafia) è che ci sono anche funzionari della pubblica amministrazione che hanno consentito o favorito le infiltrazioni. Infine, vi è la capacità di condizionamento che si può avere gestendo i sussidi per gli indigenti o per i poveri dal punto di vista del consenso sociale e a cui spesso le organizzazioni criminali ambiscono.

Torno, però, alla questione della percezione perché credo che sia rilevante: ritengo, infatti, che queste iniziative siano utili perché penso che dobbiamo essere in tanti a spiegare che c’è un grande problema e che la risposta la deve sicuramente dare la politica ma non la può dare solo la politica. C’è, infatti, bisogno anche di una condanna sociale di questi fenomeni che ad oggi non c’è, anche perché continua a non esserci una condanna sociale forte su reati che riguardano la pubblica amministrazione e la corruzione, che sono poi i reati su cui la criminalità organizzata sta costruendo la sua forza.
Questo bisogna, invece, farlo sapendo che c’è un problema democratico perché un’economia fortemente inquinata da capitali di provenienza illegale difficilmente garantisce che ci possa essere una democrazia sana.
La politica ha il compito di migliorare le norme, lo stiamo facendo sui beni confiscati e sull’autoriciclaggio e lo abbiamo fatto sul reato che punisce il voto di scambio politico-mafioso (416-ter). Al di là delle polemiche sulle pene, infatti, per la prima volta in Italia abbiamo introdotto il reato di voto di scambio che non riguarda solo uno scambio di denaro ma anche di favori.
Come dimostrano anche le vicende lombarde, spesso, non ci sono di mezzo i soldi nel rapporto tra criminalità e politica ma è proprio il voto in cambio di favori per l’attribuzione di appalti o per altre cose. Adesso tutto questo viene punito grazie alla modifica dell’articolo 416-ter del codice penale mentre prima non lo era e, per questo, credo che la discussione sull’entità delle pene possa passare in secondo piano, anche perché in ogni caso il reato è sempre associato ad altri e, quindi, pure le pene si sommano.
Penso, inoltre, che dovremo fare una legge che indichi dei doveri rispetto al contrasto alla criminalità organizzata da parte degli Ordini professionali e che dovremmo cominciare a dire qualcosa anche alle banche.
Le restrizioni sul credito operate dalle banche e il fatto che si siano messe tante aziende in una situazione disperata come spesso è accaduto in questi anni, oggettivamente ha favorito la criminalità organizzata e su questo si deve intervenire.
Così come si deve intervenire sugli Ordini professionali perché ci sono tanti professionisti coinvolti in vicende legate alla criminalità organizzata.
La vicenda di Infrastrutture Lombarde ci parla di questo anche se non riguarda la ‘ndrangheta: alcuni professionisti sono stati messi lì violando le regole per aggiustare degli appalti.
Oggi, le regole dicono che questi soggetti possono essere radiati dall’Ordine professionale della propria provincia solo quando c’è una condanna definitiva ma dopo un certo periodo di tempo essi possono poi riscriversi da un’altra parte (come spesso succede in molte realtà del Sud) e questo non va bene perché riduce la capacità di contrasto alla criminalità organizzata.
Su questo tema abbiamo avuto anche un confronto un po’ duro con la rappresentanza nazionale degli Ordini (video dell'audizione in Commissione Antimafia). Eppure questa situazione la ribaltiamo solo se c’è un impegno da parte di tutti. Ognuno deve fare la propria parte, sicuramente la politica ma anche le altre istituzioni.

Testo tratto dall'intervento svolto al Circolo PD di Affori: video dell'intervento - prima parte» e video dell'intervento - seconda parte»
Foto dell'incontro»



Intervento in Senato per la dichiarazione di voto per il PD alla risoluzione con cui viene recepita la Relazione della Commissione Antimafia sui beni confiscati:

Signor Presidente, inizio il mio intervento ringraziando il Presidenti del Senato e la Presidente della Camera per aver accolto l'invito a svolgere nelle due Aule la discussione della relazione prodotta dalla Commissione antimafia sui beni confiscati.
Ritengo che già questo sia un fatto molto importante, un segnale di valore, anche perché credo che poche altre volte sia stato consentito alla Commissione parlamentare antimafia di portare all'esame delle Assemblee documenti e temi inerenti al proprio lavoro. A mio avviso, ciò deve essere riconosciuto. Spero peraltro che questa non sia l'ultima volta, perché ritengo che un coinvolgimento pieno di tutto il Parlamento sui temi della lotta alla criminalità organizzata sia importante.
Oggi discutiamo un tema giustamente evidenziato in molti interventi, ma anche nel corso del lavoro della Commissione parlamentare antimafia. Ci siamo soffermati spesso ad evidenziare i limiti da superare e i problemi che abbiamo riscontrato nella gestione dei beni confiscati e nel funzionamento dell'Agenzia.
Voglio però ricordare in questo contesto che la scelta di conseguire la confisca dei beni senza condanna penale ha permesso di mettere in campo nel nostro Paese una straordinaria misura di prevenzione, la più efficace possibile, in grado di colpire i patrimoni e di aggredire la criminalità organizzata sul terreno dove più soffre ed è più sensibile, cioè quello del denaro e dei patrimoni. Tale scelta fu lungimirante già all'epoca, quando venne assunta nel 1996, ma oggi si dimostra ancora più lungimirante quando alle mafie militari prevalgono le mafie dei colletti bianchi e delle infiltrazioni nell'economia e nella società legale.
E ancora più lungimirante è stata la scelta non solo di togliere dalla disponibilità della criminalità organizzata ingenti patrimoni, ma anche di indirizzarli verso finalità pubbliche. L'idea di restituirli alla collettività, alla società civile, non solo è un'idea forte in sé, ma assume un valore simbolico straordinario.
Dal 1996 ad oggi sono stati assunti 6.677 provvedimenti di confisca, di cui 2.613 solo nell'ultimo quadriennio. È un dato importante. I beni confiscati sono 49.000, 30.000 le proposte. Fino ad oggi sono stati destinati 4.800 beni tra quelli sequestrati. Tutto questo dimostra l'efficacia di questo strumento per la prevenzione ed il contrasto alle mafie.
Tuttavia, condividiamo che, come avete detto in tanti, a questi dati positivi vadano affiancati altri dati, che indicano la necessità di fare un «tagliando», di modificare parte della normativa e, soprattutto, di riformare significativamente l'Agenzia.
Negli ultimi cinque anni sono aumentate le confische, basti pensare che dalle 662 del 2009 si è passati a 2.292 nel 2011, fino ad arrivare nel 2012 (dato confermato nel 2013) a 6.414 confische. Tuttavia, a fronte di questo dato sono diminuite le destinazioni dei beni e questo è un problema.
Accanto a ciò, come è stato detto in sede di discussione generale, ci sono altre questioni aperte: la difficoltà della gestione dei beni di proprietà delle aziende, la difficoltà a soddisfare i creditori senza chiudere le aziende e, soprattutto, garantire il funzionamento delle aziende e l'occupazione.
Se non riusciamo a garantire il funzionamento delle aziende confiscate, se si produce un problema di occupazione, se le aziende chiudono, dal punto di vista sia concreto che simbolico nel Sud si verifica un disastro: si afferma l'idea che la mafia riesce a fare ciò che lo Stato non riesce.
Questo sarebbe un messaggio drammatico, per questo bisogna correggere la normativa e bisogna farlo presto, per far sì che neanche un'azienda confiscata chiuda dopo la confisca.
Ancora: tanti immobili restano inutilizzati per crediti o mancanza di risorse. Per consentire ai Comuni il loro utilizzo serve più denaro: serve finalizzare una parte dei soldi sequestrati alle mafie per garantire ai Comuni risorse sufficienti per mettere a norma gli immobili ed utilizzarli.
In vista del semestre europeo poi, va posta con forza la questione di una normativa europea che consenta efficacia piena allo strumento della confisca e delle misure preventive non solo dentro i confini nazionali e stasera, in Commissione antimafia, voteremo un documento in tal senso.
Il tema supera le frontiere: la mafia investe ovunque e ovunque va contrastata, non consentendo che basti investire in un Paese diverso per non incorrere nel rischio della confisca.
A partire da questi problemi la Commissione antimafia ha messo in campo e votato all'unanimità significative proposte di riforma, sia della gestione dei beni confiscati, sia dell'Agenzia, con la consapevolezza della criticità dei problemi e della loro complessità, ma anche con la consapevolezza di quali sono i limiti dell'attuale normativa e della necessità di cambiarla e di quali sono i limiti del funzionamento dell'Agenzia e della necessità di riformarla.
Ci sono diverse proposte contenute nel documento e riprese dalla risoluzione, proposte che per questioni di tempo non voglio ripercorrere, però, nel confermare il voto favorevole del Partito Democratico a questa risoluzione, tengo a sottolineare l'importanza di questo passaggio parlamentare. Un atto parlamentare importante che impegna il Governo a fare e fare presto sul terreno decisivo per la lotta alle mafie; un atto parlamentare che chiede al nuovo direttore, cui facciamo i nostri auguri, il prefetto Postiglione, di fare presto ciò che va fatto, cioè far partire il sistema informativo, il database che raccolga finalmente tutti i dati sui beni confiscati e garantisca al più presto la destinazione dei tanti beni confiscati che sono in attesa.
Ma soprattutto, con questa risoluzione, dopo l'approvazione del 416-ter e prima di affrontare la questione dell'autoriciclaggio che il Governo ha messo in agenda, diamo un messaggio chiaro: che il Parlamento e lo Stato tengono alta la guardia contro le mafie, che sentiamo il dovere politico e morale di combattere le mafie, che siamo impegnati tutti a migliorare sempre la normativa per la prevenzione ed il contrasto alla criminalità organizzata, al fine di dare ai magistrati e alle forze dell'ordine strumenti che consentano di contrastare la criminalità.
Una criminalità che cambia tentando di rafforzarsi.
Lo Stato risponde anche così: anche - fatemelo dire - con l'azione quotidiana di cui è parte importante l'attenzione, l'analisi, insomma, il ruolo che sta rivestendo la Commissione antimafia, con il contributo decisivo del suo presidente Rosy Bindi. Anche questo documento dimostra che la Commissione antimafia sa svolgere un ruolo importante. Lo voglio ribadire agli amici di Forza Italia, rivolgendo loro l'invito a non far mancare più il proprio contributo in una sede così importante. Siamo in grado - lo dimostra il documento che voteremo oggi - di dare un contributo importante, ma per farlo abbiamo bisogno di tutti. Infatti, più sarà unitario ogni passaggio, più sarà forte l'azione dello Stato contro le mafie.
Certo, ci sono problemi che ci impegniamo ad affrontare; devono essere considerate davvero le questioni che sono state poste della rappresentanza nelle Commissioni. Credo sia interesse di tutto il Parlamento affrontare questo tema, quello della rappresentanza nelle Commissioni. Ritengo che ciò debba essere fatto, ma non debba essere negato più il contributo di una parte importante del Parlamento al lavoro della Commissione antimafia.
Il voto unanime che il Senato oggi esprime è un messaggio importante al Paese; è un messaggio di forza, di legalità, delle istituzioni che si battono contro le mafie. Con l'unità di tutte le forze politiche oggi dimostriamo su questo che le istituzioni sono più forti per vincere.
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