Stampa

Se il mio popolo mi ascoltasse

Scritto da Mario Delpini.

Mario Delpini
Testo integrale - ripreso da Avvenire - dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, alla Messa e alla Processione diocesana del Corpus Domini, svoltasi la sera di giovedì 20 giugno dalla chiesa di Santa Maria del Carmine all’Arena Civica, a Milano.
«Se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele camminasse per le mie vie» (Sal 81,14) è il sospiro di Dio che il salmista raccoglie. Mi azzardo a farmi voce anch’io del sospiro di Dio.
Se tu ascoltassi la voce di Dio, città amata, benedetta, fiera, generosa!
Se tu ascoltassi la parola della sapienza che viene dall’alto, città colta, esperta in ogni scienza, audace in ogni pensiero! Se tu ascoltassi la promessa del Padre, città intraprendente e creativa in mille progetti e smarrita sulla direzione promettente e sul fine ultimo!
Ardisco farmi eco e interprete della parola di Dio. Abbiamo percorso qualche strada della città, noi popolo di Dio, guidati dalle parole della sapienza e della preghiera antica, offrendo all’adorazione il santissimo sacramento, quasi a far echeggiare il sospiro di Dio: se tu ascoltassi, città nostra e città di tutti.
Se tu ascoltassi l’esclamativo della gioia del convivere fraterno! Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! (Sal 133,1).
Che anche tu, città nostra e di tutti, possa sperimentare la gioia e il desiderio del convivere fraterno, tu che sei arcipelago di competenze, di solitudini, di fierezze e di miserie, di intraprendenza e di concorrenza, di alleanze e di contrapposizioni!
Ascoltatevi, accoglietevi, camminate insieme: ascoltate la vocazione che il Padre vi rivolge ad essere fratelli e sorelle.
Gli architetti, gli ingegneri, i creatori di arredi, di interni e di esterni, che cosa possono imparare se ascoltano i poveri, i giovani, gli anziani? Forse nascerebbero quartieri lenti, propizi all’incontro, forse tornerebbero i bambini.
I ricercatori nelle frontiere avanzate della medicina, della genetica, delle neuroscienze, i gestori della sanità pubblica e privata, che cosa possono imparare dai preti, dalle suore, dalle badanti, da tutti coloro che raccolgono il gemito dei malati e le loro angosce? Forse si inventerebbero ospedali abitati dalla pazienza insieme con la scienza, dal prendersi cura oltre che dalle cure.
I banchieri, i finanzieri, gli operatori della borsa, la guardia di finanza e le forze dell’ordine che cosa potrebbero imparare ascoltando i commercianti e gli imprenditori, le famiglie e i disperati oppressi dai debiti e dalle insolvenze? Forse si inventerebbe una terapia per l’avidità, un argine alle imprese velleitarie, un incoraggiamento alla sobrietà.
Gli amministratori dei condomini, le associazioni professionali, i sindacalisti degli inquilini, le associazioni dei consumatori, che cosa imparano se ascoltano coloro che non sanno esprimersi, che non sanno dire le loro ragioni? Forse si potrebbe sperimentare la pratica del buon vicinato, della prossimità spicciola e benevola, forse nei cortili tornerebbero a giocare i bambini.
Gli artisti, gli insegnanti, i giornalisti, gli uomini di cultura, i poeti che cosa possono imparare dagli assistenti sociali, dagli operatori della carità?
Forse si potrebbe imparare una lingua di parole buone, di discorsi che siano come carezze, di notizie che siano come buone ragioni per aver fiducia nell’umanità. Forse ci sarebbero parole di speranza per distogliere i giovani dallo sperpero della giovinezza e per orientare tutti a vivere la vita come vocazione.
Gli stilisti, la gente della moda e dello spettacolo, i pubblicitari che cosa possono imparare visitando i quartieri squinternati, interrogando lo squallore e il degrado? Forse si potrebbe condividere il messaggio della bellezza e la cura per un ambiente all’altezza della dignità della persona e un’autorizzazione ad avere stima di sé.
Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! Per questo abbiamo percorso la città portando il Sacramento del Corpo di Cristo: poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti un solo corpo (1 Cor 10,17) e rinnoviamo l’invito che il Papa rivolge, "costruendo comunità accoglienti e aperte alle necessità di tutti, specialmente delle persone più fragili, povere, bisognose" (Angelus 18 giugno 2017).
Se il mio popolo mi ascoltasse! Il Signore è il mio pastore ... mi guida per il giusto cammino ... Nel nome del Cristo saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati. Di questo voi siete testimoni (Lc 24,47-48).
Abbiamo percorso alcune strade di questa città nostra e di tutti, offrendo all’adorazione il sacramento della Pasqua perché vogliamo condividere l’esperienza di essere perdonati, la grazia di avere una speranza di redenzione e di salvezza. Vorremmo costruire insieme una città che sia come una dimora della speranza, non solo una organizzazione della convivenza. Vorremmo costruire una città che sia cammino, non solo residenza rassicurante. Vorremmo costruire una città che sia preghiera, non solo progetto e calcolo.
Vorremmo essere testimoni di una speranza di vita eterna e non solo di tempi migliori.
Per questo il nostro camminare è stato pregare, per questo le mille chiese della città e il duomo che ne è il centro invitano a pregare, per questo noi siamo solo testimoni: vorremmo andare insieme con tutti fino all’incontro che stringe una nuova alleanza, fino all’incontro con il Padre che si è rivelato misericordia, perdono, vita eterna nel Figlio suo Gesù Cristo.
Pin It