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Le cose fatte sul contrasto alle mafie

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli
Articolo pubblicato sul mensile Zona Nove

L’attenzione dell’opinione pubblica in queste settimane si è concentrata su molte vicende importanti dal tema dell’immigrazione fino all’introduzione della quattordicesima per oltre 3 milioni di pensionati italiani. Ma queste ultime settimane sono state particolarmente significative anche sul fronte della legalità e della lotta alle mafie e a questo vorrei dedicare questo ultimo intervento prima della pausa estiva.
Le cronache ci hanno raccontato di un’escalation positiva nella lotta alla ‘ndrangheta in particolare.
Non ci sono solo le inchieste che hanno disvelato i tentativi della criminalità organizzata di insediarsi nella economia legale, soprattutto al Nord, utilizzando i proventi dello spaccio, le intimidazioni, l’usura e la capacità di offrire denaro per entrare e condizionare le imprese.
Ci sono state soprattutto alcune operazioni in Calabria, sulla costiera ionica e a Reggio, che hanno rappresentato un inedito salto di qualità: si colpisce la ‘ndrangheta nei suoi “santuari”, nei luoghi in cui appare onnipotente. A San Luca viene arrestato il boss Giorgi, a Platì Rocco Barbaro e il 4 luglio 116 persone vengono arrestate in un’operazione dei Ros dei carabinieri proprio sulla costiera ionica.
Queste operazioni a cui ne andrebbero aggiunte molte altre, assumono un valore simbolico: lo Stato ha la forza, le capacità investigative, gli strumenti e, soprattutto, la volontà per combattere le mafie assestando loro colpi durissimi, ritornando a imporre la legalità anche in territori che le mafie vorrebbero fossero zone franche sotto il loro totale controllo.
È un messaggio bello, positivo e importante che è reso possibile dal lavoro di magistrati e forze dell’ordine, dall’impegno di tante associazioni che combattono per la legalità e da Governi che hanno scelto di fare della lotta alle mafie una priorità, un tema decisivo per la nostra democrazia.
L’altro fatto importante è l’approvazione in Senato delle modifiche al codice antimafia e, in particolare, delle norme sui beni confiscati.
35 anni fa la Legge Rognoni-La Torre ha cambiato la storia della lotta alla mafia, grazie all’intuizione del Segretario Regionale del PCI siciliano che per questo fu ucciso dalla criminalità organizzata: colpire le mafie là dove erano e sono più sensibili, togliendo loro i patrimoni frutto delle attività criminali. Prevedere quindi di sequestrare subito, preventivamente, i patrimoni per impedire che possano essere nascosti e restituirli ai cittadini riutilizzandoli per fini sociali, civili o di sicurezza.
Con questa legge sono stati dati colpi durissimi alla criminalità.
Le modifiche approvate al Senato servono prima di tutto per migliorare le procedure, mettere a disposizione delle comunità i beni confiscati in modo più rapido e con più garanzie per evitare illeciti che pure ci son stati nella gestione, ridefinire e migliorare il funzionamento della Agenzia per i beni confiscati, utilizzare al meglio un patrimonio, che grazie alle forze dell’ordine e alla magistratura diventa sempre più grande, costituito da tanti beni mobili e immobili ma anche aziende che, una volta in mano allo Stato, non devono chiudere ma devono continuare a dare lavoro e a funzionare nell’interesse di chi ci lavora senza aver nulla a che fare con le mafie. Mi sono soffermato solo sulla gestione dei beni confiscati ma le modifiche al Codice Antimafia sono diverse e importanti.
Dopo l’introduzione del reato di voto di scambio (inteso come voti in cambio di favori) e quello di autoriciclaggio, la reintroduzione del falso in bilancio, la nuova legge anticorruzione e il nuovo codice degli appalti, questa ultima riforma aggiunge un altro provvedimento importante per dare al Paese strumenti più efficaci di contrasto alle mafie ed è l’ulteriore conferma dell’impegno di tutte le istituzioni in questa direzione.

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