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Lottare contro la povertà

Scritto da Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani Per molti anni nel nostro Paese si è ritenuto che la povertà fosse un fenomeno se non del tutto debellato almeno confinato in aree marginali: la grave crisi economica che ci affligge dal 2007, e che è degenerata in crisi sociale, non solo ci ha tolto questa illusione, ma ha anzi aggravato quelli che erano già dei problemi endemici del nostro Paese e che fin qui erano stati tenuti accuratamente lontano dai riflettori.
Lo dimostra uno studio recentemente diffuso dalla Col diretti: da esso emerge come nel 2013 siano quasi 4,1 milioni gli italiani che sono stati costretti a chiedere aiuto per mangiare, con numeri impressionanti in particolare nel Sud Italia.
I dati storici diffusi dalla Coldiretti segnalano che nel 2010 i nuovi poveri, privi perfino delle risorse sufficienti a sfamarsi, erano 2,7 milioni, nel 2011 erano saliti a 3,3 milioni, nel 2012 un'ulteriore impennata portava la cifra a 3,7 milioni per toccare nel 2013 quasi 4,1 milioni, precisamente (4.068.250 con un incremento del 10% sul 2012 e del 47% sul 2010.
In parole povere la crisi ha portato tra il 2010 e il 2013 in Italia 1.304.871 soggetti dalla situazione di sussistenza allo stato di indigenza: di questi 4,1 milioni di nuovi poveri 303.000 hanno potuto consumare i loro pasti alle mense per i poveri, mentre un numero di persone oltre dodici volte superiore (3.764.765) per vergogna ha preferito la soluzione dei pacchi alimentari portati direttamente a domicilio, per un totale di 134.019.679 interventi di aiuto alimentare domiciliare.
Quanto ai cibi somministrati ai bisognosi, al primo posto ci sono i formaggi con il 28% (in valore), seguiti da pasta e pastina per bambini e anziani (18%), latte (14%), biscotti (12%), riso (8%), olio di girasole (6%) e polpa di pomodoro (4%).
Particolarmente drammatica è poi la situazione delle categorie più deboli, i bambini e gli anziani: nel 2013 sono 428.587 i bambini tra zero e cinque anni che hanno avuto bisogno di un aiuto esterno alla famiglia per poter bere il latte e mangiare, con un aumento del 13% rispetto al 2012 (48.788 bambini poveri in più rispetto al 2012) mentre gli anziani ultrasessantacinquenni che sono stati costretti a chiedere aiuto per mangiare sono nel 2013 578.583, con un incremento del 14% sul 2012 (70.132 anziani poveri in più rispetto al 2012).
Dal punto di vista della distribuzione territoriale dei nuovi poveri, che comunque aumentano dovunque, la situazione è tragica nel Meridione: quasi 4 abitanti su 10 che hanno avuto bisogno di aiuti alimentari nel 2013 si trovano nell'Italia meridionale, nonostante in quest'area geografica risieda poco più del 20% del totale degli italiani, con un incremento record del 65% negli ultimi tre anni, periodo in cui in Campania si è passati addirittura da 509.928 a 913.213 poveri. Non bisogna poi dimenticare i 660.152 poveri che risiedono in Sicilia, regione che nelle indagini economiche viene considerata non nell'Italia meridionale ma tra le Isole italiane. Il 40% dei bambini indigenti tra 0 e 5 anni si concentra in Campania e Sicilia mentre il 38% degli anziani ultrasessantacinquenni poveri sono nell'Italia meridionale.
Nel 2013 - ha censito sempre Coldiretti - in Italia ci sono 15.067 strutture tra mense e centri di distribuzione, promossi da 242 enti di solidarietà sia di ispirazione religiosa sia laica che fanno riferimento soprattutto a 7 grandi organizzazioni (Croce Rossa Italiana, Caritas, Fondazione Banco Alimentare, Banco delle Opere di Carità, Associazione Sempre insieme per la Pace, Comunità di Sant'Egidio, Associazione Banco Alimentare Roma) ufficialmente riconosciute dall'Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea) che si occupa della distribuzione degli aiuti.
Pare un dato positivo, a dirlo è sempre Coldiretti, che dal 2010 si sia registrato un drastico calo degli sprechi alimentari, ma tale dato dipende dalla crisi e anzi è una sua diretta conseguenza.
A fronte di ciò, e nell’evidente inerzia della politica, un cartello di associazioni e di movimenti di volontariato il quale raggruppa un’ampia platea che va dalle ACLI (capofila del progetto) a CGIL-CISL-UIL, dal CNCA ad ANCI e alla Conferenza delle regioni e delle Province autonome, ha dato vita ad un’inedita Alleanza contro la povertà che è stata presentata a Roma l’11 novembre scorso.
Come ha rilevato il Presidente nazionale delle ACLI Gianni Bottalico “Impoverimento dei ceti intermedi ed aumento della povertà sono le spie di un modello economico da riformare perché non più capace di redistribuire capillarmente la ricchezza che si produce con il lavoro, ma che rischia di implodere favorendo in modo abnorme incalcolabili concentrazioni di ricchezza in mano a pochi a scapito dei salari, dello stato sociale, del futuro dei giovani. In questa prospettiva occorre partire da chi sta peggio, dai più poveri tra i poveri – senza peraltro togliere ad altre fasce deboli o a rischio di fragilità della popolazione le risorse già stanziate – per assicurare loro l’accesso ai consumi basilari: un’alimentazione adeguata, una situazione abitativa decente e ad altre spese indispensabili come quelle per la salute, i vestiti e i trasporti”.
Giustamente, e conoscendo l’attitudine del pensiero mainstream a livello politico ed economico di scaricare sul Terzo settore quelle che sono le responsabilità sociali della Repubblica (che tali sono, Costituzione alla mano), Bottalico ha aggiunto: “L’iniziativa dell’“Alleanza contro la povertà in Italia” lungi dal costituire il grimaldello per riorganizzare la spesa sociale in senso liberista o peggio ancora per rassegnarsi alla precarietà del lavoro ed a retribuzioni troppo basse, si propone, al contrario, di far crescere l’attenzione verso la povertà”.
La grande assente in tutto questo, lo rilevavamo prima, è appunto la politica, che di queste faccende non si occupa o se se ne occupa lo fa con dichiarazioni propagandistiche che riflettono un pauroso distacco fra la realtà sociale e chi dovrebbe interpretarla dandovi risposte istituzionali. E’ spiacevole notare, ad esempio, come nel dibattito congressuale del PD queste tematiche rimangano sullo sfondo, come se il partito che porta l’onere di essere il capofila delle politiche riformiste e progressiste in questo Paese non avesse nulla da dire sull’aumento delle disuguaglianze che tutti i politologi, gli analisti sociali e gli economisti, da Parsi a Franzini, indicano con chiarezza come il detonatore di quella che potrebbe essere la più devastante crisi del nostro sistema politico dal tempo degli “anni di piombo”. Il tempo per recuperare c’è ancora, ma si sta facendo stretto.
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