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Presentazione della mozione Avanti Insieme

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco MirabelliIntervento di presentazione della mozione Renzi (video).

Prima di illustrare la mozione congressuale di Matteo Renzi, occorre fare alcune premesse ad essa collegate. Innanzitutto, la mozione congressuale è frutto del lavoro che è stato fatto al Lingotto di Torino e questo va valorizzato perché la scelta di ripartire di lì indica il volersi agganciare alle ragioni di fondo per cui, dieci anni fa, è stato fatto il Partito Democratico. Deve essere chiaro, quindi, che la candidatura di Matteo Renzi si collega direttamente alle ragioni per cui è nato il PD come partito di centrosinistra, a vocazione maggioritaria, capace di mettere in campo un progetto per il Paese, guardando al futuro, con il contributo delle grandi culture politiche del passato e che avrebbe poi dovuto costruirsi una propria cultura.
Rispetto alle critiche affiorate spesso in questi anni in merito alla gestione del PD in solitaria, inoltre, è evidente che il Lingotto è stato un elemento di discontinuità, in quanto lì è stata valorizzata molto la partecipazione: non si è andati a Torino per presentare la mozione, infatti, ma la mozione ma per costruirla.
C’è stato, dunque, un cambio di passo da questo punto di vista; si è passati dall’io al noi, così come la parola “insieme” citata nel titolo della mozione è un dato importante.
Il Lingotto, quindi, è stato il segnale del fatto che si è deciso di affrontare il congresso con l’idea di governare il partito con un altro metodo che valorizza molto di più la partecipazione.
Gran parte delle cose che sono scritte nella mozione, in particolare quelle relative ai singoli temi, sono il frutto del lavoro dei gruppi del Lingotto, delle competenze che si sono riunite lì e delle discussioni che si sono fatte.
La scelta fatta, quindi, è diversa rispetto al passato e dà un messaggio chiaro: questa mozione vuole cambiare passo rispetto al modo di costruire le politiche all’interno del Partito Democratico e lo vuol fare valorizzando la partecipazione.
Un’altra considerazione da fare riguarda la sconfitta al referendum costituzionale: il PD ha subito un duro colpo e le conseguenze sono un problema per il Paese.
Non aver fatto la riforma costituzionale è stata un’occasione persa per il Paese.
I contenuti di quella riforma e le ragioni che avevano spinto a farla, tuttavia, restano tutti validi e il fatto di aver perso il referendum non può implicare la rinuncia alla modernizzazione del Paese insita nel senso in cui andava quella riforma.
La sconfitta al referendum, però, non può essere presentata – come troppi cercano di fare – anche come la sconfitta di una stagione di governo che ha fatto molto per il Paese, che ha prodotto riforme importanti, che ora prosegue con un altro Presidente del Consiglio e che dobbiamo rivendicare.
La mozione congressuale, infatti, fa partire le proposte sulla base di ciò che è stato fatto, per andare avanti nella costruzione di un processo riformatore che già in questa legislatura ha prodotto molti risultati.
Questo aspetto va sottolineato perché, troppo spesso, si rischia di essere subalterni all’idea diffusa dalle opposizioni e amplificata dai media, secondo cui il Governo Renzi è stato inutile per il Paese, non ha prodotto nulla e l’Italia si è condannata al declino.
Non è così, ovviamente.
Una delle ragioni forti della candidatura di Matteo Renzi, dunque, è mostrare esattamente questo aspetto e ribadire che l’ex Presidente del Consiglio ha guidato una fase straordinaria di riforme, anche rispetto a quella che è al storia italiana, e molte di queste, senza la guida di Renzi e la sua capacità di rompere alcuni meccanismi, non si sarebbero fatte.
Durante il percorso di molte riforme sono arrivate delle pressioni e in altre situazioni e con altre persone, probabilmente ci si sarebbe fermati. Con le unioni civili, ad esempio, dopo le pressioni del mondo cattolico, in altri periodi ci si è fermati e senza la spinta di Renzi non si sarebbe fatto neanche il “divorzio breve”.
Senza Renzi, il Jobs Act non sarebbe stato approvato perché, probabilmente, saremmo ancora seduti al tavolo a discutere con i sindacati.
L’impulso dato da Matteo Renzi, quindi, va riconosciuto e da qui occorre ripartire, sapendo che siamo dentro ad uno scenario in cui sono cambiati i riferimenti della discussione politica e, di conseguenza, si devono cambiare anche i riferimenti della proposta.
È evidente che oggi, di fronte alla globalizzazione e di fronte alla crisi, tanti cittadini vivono una situazione di straordinaria insicurezza che non riguarda soltanto le questioni di ordine pubblico o economiche ma c’è una preoccupazione più generale verso il futuro e verso un’apparente perdita complessiva di punti di riferimento, in una società che è cambiata completamente e a cui la politica non ha saputo rispondere.
Di fronte ai cambiamenti portati dalla globalizzazione, il PD non ha saputo dare dei riferimenti ai cittadini. Non soltanto le risposte ai problemi concreti, quindi, ma anche dei riferimenti politici e culturali che garantissero la presenza di una politica forte che potesse rassicurare e che, in una fase come questa, rafforzasse e rilanciasse la democrazia, perché è evidente che c’è un problema democratico nel momento in cui i cittadini non vedono più un elemento rassicurante nelle istituzioni e sentono un distacco tra le proprie preoccupazioni e le istituzioni e la politica del Paese.
A questa crisi ha risposto un’ondata populista, non solo di destra, che semplificando i linguaggi ha dato la risposta più semplice ai problemi, che è quella di chiudere e cercare di tornare indietro. In questo modo, ovviamente, non vengono affrontati i problemi ma si cerca soltanto di dare l’idea che questi si possano risolvere isolandosi.
Il dare l’idea che sia possibile isolarsi è la risposta che i populismi danno di fronte alle paure, sapendo che quella è la risposta più immediata, più istintiva. Forze come la Lega o Trump o la Le Pen speculano sulle paure.
È evidente, però, che la sinistra, in questi anni, in Europa e nel mondo non è riuscita a dare una risposta diversa e non è neanche riuscita a mettere in campo una proposta credibile che faccia da riferimento e proponga una soluzione ai problemi e alle ansie che vengano dai cittadini.
Oggi, quindi, dire che il tema da affrontare sia ancora il rapporto tra destra e sinistra, pensando che tutto sia uguale ad anni fa, è sbagliato.
Il tema da affrontare è che c’è un conflitto tra una risposta populista di chiusura alle ansie dei cittadini e una risposta vera che dobbiamo costruire per cercare una soluzione ai problemi.
Inoltre, occorre costruire anche punti di riferimento culturali, sociali, identitari per ridare alla politica una forza e una capacità di rappresentanza.
I conflitti, infatti, si estremizzano nel momento in cui non solo la politica ma tutti gli organi intermedi e gli strumenti di rappresentanza che abbiamo conosciuto fino ad oggi sono entrati in crisi dentro a queste trasformazioni.
Qui c’è il tema con cui dobbiamo confrontarci e ci stiamo confrontando.
Un punto su cui la mozione insiste molto e su cui ci stiamo confrontando da tempo riguarda l’Europa.
In merito a questo, il Governo italiano e Matteo Renzi hanno restituito un ruolo all’Italia in Europa.
L’Italia non è più stata costretta solo ad eseguire ciò che l’Europa diceva dovesse fare.
Abbiamo aperto una discussione in Europa. Abbiamo rotto il muro attorno all’idea dell’Europa dell’austerità, che era l’idea per cui l’Unione Europea sembrava essere diventata il nemico della gran parte dei cittadini (che hanno altri problemi rispetto alla tenuta dei conti).
Abbiamo posto con forza il tema dell’immigrazione, ottenendo qualche risultato. Siamo gli unici che hanno detto che l’Europa deve avere una politica di aiuto nei confronti dei Paesi di provenienza dell’immigrazione. L’Italia, quindi, ha avuto un ruolo importante in questi anni.
Il capitolo più lungo e il primo capitolo della mozione, dunque, riguarda l’Europa e presenta delle proposte precise.
Rispetto al tema dell’Europa a due velocità, ad esempio, nel testo della mozione si afferma che ci devono essere due aree, una per chi vuole l’integrazione politica e una per ci vuole soltanto l’integrazione economica. È chiaro che chi vuole l’integrazione politica deve essere disposto ad una cessione di sovranità maggiore rispetto agli altri.
L’Italia, ovviamente, ha interesse a stare nel gruppo di comando e ad avere una integrazione politica reale in Europa. L’UE, infatti, deve diventare l’Europa dei cittadini, dei diritti e non soltanto nella finanza e dell’economia.
Per avvicinare l’Europa alle questioni che interessano i cittadini occorre rilanciare una serie di proposte: ad esempio delle politiche necessarie per la crescita che necessitano di investimenti su alcuni settori (la cultura, una parte di infrastrutture ecc.) che devono uscire dai parametri europei; ci deve essere un’Europa capace di guardare al futuro e di guardare alla necessità di investire sul futuro, di avere piena consapevolezza del fatto che tenere i conti in ordine ha di fatto penalizzato molto la crescita.
Nella mozione si propone un’integrazione più forte in alcuni settori, come ad esempio quello della sicurezza.
Recentemente c’è stato un vertice europeo in cui si è cominciato a ragionare sulla sicurezza e sull’integrazione dei comandi anche in relazione alle vicende legate al terrorismo.
Infine, c’è il grande problema del rapporto tra le istituzioni europee e i cittadini.
La proposta forte presentata da Renzi al Lingotto e ripresa dalla mozione è che se si vuole ridare credibilità alle istituzioni europee occorre che queste vengano scelte dai cittadini e ci sia un rapporto diretto. Questo vuol dire che ci deve essere uno spazio per un’Europa federale e, quando si va ad eleggere il Parlamento Europeo, bisogna che i parlamentari eletti abbiano dei poteri e non tutto venga delegato al rapporto tra i Governi e tra gli Stati.
L’idea dell’elezione diretta del Presidente della Commissione Europea - proposta da Renzi - è un’idea forte, che non potremmo realizzare in tempi brevi. Il poter dire, però, che il PSE (a cui il PD ha aderito grazie a Renzi) il proprio candidato alla Commissione Europea lo sceglie facendo le primarie, è un modo per indicare il voler andare nella direzione di coinvolgere i cittadini e rafforzare la rappresentanza dell’Europa.
All’interno della mozione ci sono poi una serie di proposte che riguardano l’economia.
L’Italia, purtroppo, sta crescendo meno di quanto vorremmo. Pesa il debito pubblico, pesano le riforme non fatte in passato e che si stanno facendo soltanto in questi mesi (la riforma della Pubblica Amministrazione, la riforma del mercato del lavoro, le riforme sulla giustizia civile e sull’ordinamento giudiziario).
Queste riforme vanno implementate se vogliamo che l’Italia attragga investimenti anche dall’estero e, quindi, possa produrre nuova economia e nuovi posti di lavoro. Per ottenere ciò, occorre affrontare una serie di questioni che non riguardano esclusivamente la fiscalità ma anche il funzionamento della giustizia nel nostro Paese.
Per quanto riguarda il fronte della crescita, la strada indicata è quella già tracciata dai Governi di questi anni e viene ripresa dalla mozione, con il tema degli incentivi alle imprese che investono sull’innovazione. Sull’innovazione, in particolare, i risultati degli investimenti fatti, probabilmente, si vedranno tra un po’ di anni.
Nei giorni scorsi, ad esempio, si è aperto il bando per sperimentare la prima rete 5G (la rete dei cellulari ultraveloce) in Italia ed è stata scelta la città di Milano e questo significherà avere una rete che garantisca meglio l’economia e la possibilità di costruire servizi per i cittadini.
In questi anni, inoltre, sono stati fatti molti investimenti sull’innovazione e abbiamo anche definito i settori su cui bisogna puntare.
Uno è sicuramente quello della cultura, con il turismo ad esso legato.
C’è poi un tema che riguarda la messa in sicurezza del nostro territorio ma anche il risparmio e l’efficientamento energetico che si deve produrre se si adempiono a tutte le norme per le nuove costruzioni. Su questo fronte abbiamo già fatto molto con gli eco-bonus per le ristrutturazioni a risparmio energetico e per chi utilizza le energie rinnovabili.
Il Governo ha anche messo in campo molte risorse per gli interventi contro il dissesto idrogeologico (compresi quelli riguardanti il Seveso).
C’è, quindi, il tema della valorizzazione del nostro territorio.
Tutto questo riguarda anche l’ambito della green economy che è un campo che può creare tanti posti di lavoro.
Dare incentivi per ristrutturare le costruzioni significa, infatti, anche dare un impulso all’economia perché devono essere messe in campo anche ricerca, tecnologie, materiali e, quindi, si va ad innovare alcuni settori.
Questo, comunque, non mette in secondo piano il fatto che occorre non tralasciare di difendere il nostro patrimonio industriale, come già è stato fatto in questi anni di Governo.
L’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa, dopo la Germania e abbiamo bisogno di un piano industriale (come è stato fatto sulla siderurgia) che salvaguardi un pezzo importante del nostro apparato produttivo.
Dentro al tema della crescita e dell’investire sul futuro c’è anche il capitolo che riguarda la formazione, la scuola, l’università. Sono stati fatti alcuni errori nel corso di questi anni che ora si sta cercando di correggere ma resta il fatto che il Governo Renzi ha investito moltissimo sulla scuola.
L’altro tema su cui abbiamo segnato una difficoltà di rapporto con una parte del Paese è il tema delle diseguaglianze.
C’è, infatti, un tema sociale che riguarda una politica che non riesce a dare risposte a un fenomeno che si è ormai radicato con la globalizzazione in tutto il mondo che è quello dell’aumento delle diseguaglianze.
Il Governo Renzi aveva fatto alcune cose anche su questo fronte: una di queste erano gli 80 euro e un’altra era l’aver provato a dare maggiori garanzie al lavoro.
Sostenere che il Jobs Act è stata una scelta verso la precarizzazione, infatti, è sbagliato.
Il Jobs Act è stato, da un lato il tentativo di superare la precarizzazione con il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (che ha garantito anche 500mila posti di lavoro stabili che prima non c’erano) ma, soprattutto, è stato l’estensione della rete di protezione per chi perde il lavoro anche tra i lavoratori delle aziende sotto i 15 dipendenti (con la NASpI), che prima non avevano alcuna tutela. Adesso, con la NASpI, anche i lavoratori di piccole aziende, nel caso rimanessero disoccupati, hanno un reddito garantito per uno o due anni a seconda della loro situazione lavorativa.
Ci sono, quindi, lavoratori che oggi hanno tutele che in passato non avrebbero avuto.
Con la legge sul lavoro autonomo, in via di approvazione, anche i lavoratori automi avranno una tutela.
Quello che ancora resta da costruire sono le politiche attive del lavoro, perché a chi perde il posto di lavoro, oltre ad un reddito di tutela, occorre dare la possibilità di trovare un’altra occupazione.
Al momento abbiamo già iniziato a costruire un sistema per aumentare le possibilità di formazione e reinserimento nel mondo del lavoro e questa, a mio avviso, è la strada giusta su cui occorre proseguire. Così come credo che siamo sulla strada giusta sul fronte delle pensioni. Con la Legge di Stabilità del 2017, infatti, è stata introdotta la flessibilità in uscita. Ad avere la possibilità di andare in pensione prima ci sono alcune categorie di lavoratori ma intanto è stato introdotto il principio della flessibilità e ciascuno può decidere il proprio percorso pensionistico, con delle penalizzazioni economiche per chi va in pensione prima.
Il punto su cui, però, occorre fare molto di più è il tema della povertà e di quella parte di società che è maggiormente in difficoltà, perché è la più esposta all’insicurezza.
È evidente, infatti, che c’è una parte del Paese che è più in difficoltà e recentemente è stata approvata una legge per garantire un reddito di inclusione alle persone maggiormente disagiate.
Ma probabilmente questa misura non sarà sufficiente.
Nella mozione congressuale si propone di intervenire sulla leva fiscale anche per quelle fasce disagiate. Questo perché degli incentivi e delle detrazioni non hanno mai beneficiato gli incapienti, in quanto le tasse non le devono pagare vista la scarsità del loro reddito.
Su queste persone occorre intervenire e le risorse disponibili vanno utilizzate per questo.
Sicuramente non potrà essere usato lo strumento della detrazione fiscale ma bisognerà trovare altri strumenti per garantire le persone in difficoltà.
Un altro tema su cui dovremo discutere molto è il partito, in cui le cose da tempo (da prima di Renzi) non funzionano come vorremmo.
Il nodo da affrontare riguarda il come deve funzionare un partito dentro a questa situazione di crisi della politica e il mondo che è cambiato.
Un primo segnale che si è dato è che vogliamo valorizzare molto di più la partecipazione, disegnando un partito che ripensa al suo funzionamento complessivo. Questo significa anche ripensare il funzionamento dei circoli e non affidare ad essi soltanto il compito di essere luogo di discussione e relazione tra gli iscritti ma anche l’idea che siano essi a rapportarsi direttamente con l’esterno, con le associazioni, con il territorio, avendo, quindi, l’ambizione di costruirsi competenze sui singoli temi e di attrarre altre competenze e costruire partecipazione.
La mozione parla di un “partito pensante”, cioè con maggiore capacità di essere luogo di approfondimento e studio dei problemi per poi rapportarsi all’esterno.
Un partito, dunque, che non sia più solo il partito degli iscritti ma che investa sia sulla rete che sulla formazione, con l’idea di tornare a costruire una vera scuola di partito in grado di formare giovani che possano poi diventare dirigenti o amministratori e che, una volta formati, siano in grado di alzare la qualità della nostra offerta politica.
Per quanto riguarda questo ambito, Milano fa un po’ da eccezione perché una parte di questo lavoro è stato anche fatto. Ci sono luoghi, però, in cui si contano le tessere, si definiscono gli ambiti di potere all’interno dei territori e le carriere personali mentre il partito non riesce mai a parlare fuori. Ci sono luoghi in cui l’attenzione è molto più portata a dividersi i benefici di un risultato elettorale anche basso che non ad allargare il consenso e anzi l’allargamento del consenso rischia di sembrare un problema perché potrebbe cambiare gli assetti interni.
C’è ancora molto da lavorare, dunque, per costruire un partito capace di parlare di più fuori da noi e ci si deve attrezzare meglio per questo.
Tutto ciò è affrontato nella mozione congressuale elencando dei principi e, indicando, come primo obiettivo della prossima Assemblea Nazionale, nel caso che Matteo Renzi venga eletto Segretario, quello di fare una sessione per affrontare i temi dell’organizzazione sulla base di questi principi. Dentro a questo ragionamento sta anche l’idea di mantenere unita la figura del Segretario alla figura del candidato premier, così come è in tutta Europa.
Proprio per difendere l’idea di un partito plurale, infatti, abbiamo bisogno di dare una forza maggiore al nostro candidato premier che non ci sarebbe altrimenti.
Questo aspetto, però, ovviamente, si lega al tipo di legge elettorale che uscirà da questa legislatura. È evidente, infatti, che dentro ad un meccanismo proporzionale, come quello prodotto dalla Corte Costituzionale sia per la Camera dei Deputati che per il Senato, crea uno scenario diverso rispetto a quello che si aprirebbe con un sistema maggioritario.
Personalmente, auspico che si riescano a reintrodurre elementi maggioritari.
A mio avviso, al congresso non saremo in grado di dire verso quale scenario si andrà ma la mozione Renzi dice che comunque il PD dovrà fare delle alleanze e che andranno costruite sui contenuti e sulle prospettive da seguire.
È evidente che questo potrà essere definito solo quando si avrà chiaro quale sarà il sistema elettorale. Il nostro campo, però, rimane quello del centrosinistra, la cui ampiezza dipenderà dal tipo di legge elettorale.

Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook

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