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La patria che vive

Scritto da Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani E' invalsa nel corso degli anni l'abitudine di fare riferimento all'8 settembre 1943 come alla data della “morte della Patria”: alcuni storici, in particolare Ernesto Galli della Loggia, hanno voluto legare l'armistizio concluso dal Governo regio presieduto da Pietro Badoglio con gli Alleati angloamericani alla fine di quel sentimento specifico che connette gli abitanti di una Nazione fra di loro e alla Nazione stessa, quello che si conviene definire sentimento patriottico.
In tal modo, il riconoscimento dell'impossibilità per l'Italia di continuare a combattere una guerra in cui l'aveva spinta un clamoroso errore di valutazione di un dittatore, e che da subito era stata per le nostre armi un vero calvario a causa della grave impreparazione della nostra macchina bellica, a sua volta causata dalla supponenza e dal pressapochismo del medesimo dittatore, viene in qualche modo ritenuto un episodio vergognoso, una sorta di cesura negativa che, pur permettendo la sussistenza geopolitica dell'Italia in quanto Stato ne distrugge in qualche modo le ragioni fondative.
Il fatto è che questo tipo di interpretazione catastrofistica era già stata adottato dai fascisti fin da dopo l'annuncio dell'armistizio e il susseguente inizio dell'occupazione tedesca, all'ombra della quale un redivivo Mussolini aveva potuto instaurare il suo regime fantoccio della Repubblica sociale. Fu in quei frangenti che venne diffusa la leggenda del “tradimento” italiano nei confronti dell'alleato tedesco, senza riflettere sul fatto che non vi è alcuna norma giuridica che obblighi uno Stato a suicidarsi e a far massacrare i suoi soldati ed i suoi cittadini nel momento in cui constata una schiacciante superiorità nemica. Inoltre, se proprio si vuole applicare ai rapporti fra gli Stati la categoria del “tradimento”, occorre dire che i primi traditori dell'alleanza furono proprio i nazisti che più di una volta misero Mussolini di fronte al fatto compiuto, iniziando la guerra prima di quanto lo stesso contenuto del Patto d'acciaio imponesse.
La stessa verso Brindisi del re Vittorio Emanuele III e del Capo del Governo Badoglio rispondeva ad una positiva esigenza di continuità dello Stato: semmai, ci sarebbero forti obiezioni da sollevare sulle modalità con cui l'armistizio stesso venne concluso, sulla costante sopravvalutazione della ritorsione tedesca e sugli inutili machiavellismi con cui il Governo regio si comportò nei confronti degli Alleati ottenendo solo di esasperarli e di spingerli a non rendere preventivamente nota la data di annuncio dell'armistizio a gente che ai loro occhi non meritava fiducia.
Soprattutto fu atto irresponsabile e quasi criminale avere lasciato senza istruzioni i comandi militari dislocati in Italia e all'estero, molti dei quali si sbandarono rapidamente, mentre altri vennero sopraffatti dopo una breve ed eroica resistenza da parte delle soverchianti forze naziste, consegnando molti soldati ad una dura prigionia.
E tuttavia la Patria non morì l'8 settembre: anzi, per certi versi l'8 settembre fu un'occasione per far rinascere quella Patria che è tale se non è galera, come aveva scritto Salvemini durante la dittatura fascista. In effetti l'8 settembre è anche la data convenzionale dell'inizio della lotta resistenziale, nella quale le forze che vi parteciparono entrarono per motivi diversi, chi per fedeltà al re chi per un sentimento di riscatto chi in base alla propria ideologia politica. In ogni caso, tutti coloro che combatterono per la Resistenza o vi collaborarono direttamente o indirettamente dimostrarono di essere – come del resto si definivano- i veri patrioti in quanto si battevano per la Patria in fieri, quella che ci sarebbe stata e si sarebbe ricollegata ai principi fondativi del Risorgimento che era sì aspirazione all'Unità ma anche e forse soprattutto alla Libertà.
Fu la Resistenza un fenomeno minoritario? Certo, del resto lo fu anche il Risorgimento, ma lo stesso fascismo fu un fenomeno minoritario (il “consenso” di cui godette il Regime fu altra cosa da una reale adesione ai del resto fumosi postulati ideologici del fascismo, e lo stesso Mussolini, da socialista prima e da fascista poi, spregiò sempre la quantità a beneficio della qualità), e ancor più minoritaria fu la sua reincarnazione repubblichina che l'opinione pubblica prendeva per quella che era, un semplice schermo della prepotenza nazista.
Ma se la “minoranza attiva” fascista si poneva l'obiettivo di perpetuare un regime dittatoriale già fallito (e che si era reso responsabile di autentici orrori politici come le leggi razziali), oltretutto al servizio di un altro regime, come quello del Terzo Reich, che era una vergogna per l'umanità, le “minoranze attive” resistenziali si battevano, pur con tutte le loro differenze, per un'Italia più libera e più giusta, in cui non solo il popolo potesse riprendere la parola, ma secolari ingiustizie fossero sconfitte e superate. In questo senso, se dovessimo oggi additare un simbolo della Patria vivente dovremmo per forza di cose fare riferimento alla Costituzione, ai suoi principi fondamentali, alle sue istituzioni democratiche, alla sua concezione dei rapporti internazionali a partire dal ripudio della guerra. La mai rinunciabile lotta alle disuguaglianze, ai poteri criminali, agli abusi del mercato, a tutto ciò che minaccia la pace internazionale, è quindi parte integrante dell'incessante lavoro di attuazione della Costituzione che è, oggi, il modo più serio di testimoniare l'amore per la Patria.
Una Patria che potrebbe morire solo se non vi fosse più nessuno disposto a battersi per essa e per i suoi principi fondativi.
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