Per le Olimpiadi Milano-Cortina legalità e trasparenza
Intervista di Avvenire a Mario Delpini.
«Uno sport che aiuta le persone a essere migliori e a stare meglio insieme. Che promuove l’educazione integrale dei nostri ragazzi e la capacità di stabilire rapporti interpersonali e intergenerazionali, diventando piccolo laboratorio della vita adulta, nella società». Ecco lo sport che si pratica negli oratori e nelle società affiliate al Centro sportivo italiano (Csi) nelle parole dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini.
Che sabato interverrà al Csi Day, la grande festa per gli 80 anni dell’associazione che si terrà in piazza Duomo. Una festa di popolo: il Csi Milano oggi registra 630 società sportive affiliate e 130mila atleti tesserati presenti in 450 oratori che, nella stagione 2023/2024, hanno ospitato 31.385 gare. Per l’occasione il presule promulgherà un “editto” - un documento rivolto alla grande famiglia del Csi per rilanciarne la vocazione.
Eccellenza, qual è l’augurio che desidera rivolgere al Csi per i suoi 80 anni?
Di essere sempre fedele alla sua missione educativa, mai estranea alla proposta educativa della Chiesa, e della quale c’è tanto bisogno, in particolare per gli adolescenti e i giovani.
Perché ha sollecitato il Csi a guardare “fuori casa” incoraggiando esperienze come il progetto “Csi per il mondo”?
Nei Paesi poveri i ragazzi non hanno condizioni e strutture per fare sport. E anche da loro accade che lo sport sia inquinato da problemi come le scommesse. Sul primo aspetto: il Csi offre le sue competenze e qualche aiuto concreto. Sul secondo: propone uno sport pulito. E uno sport che è un bene per tutti.
Perché la comunità cristiana si interessa allo sport e dà casa allo sport?
Perché ha a cuore l’educazione integrale delle persone, la loro crescita fisica e relazionale, in particolare nell’età evolutiva. Lo sport è elemento di aggregazione promettente, promuove la capacità di stabilire rapporti interpersonali e intergenerazionali. Perciò la Chiesa diocesana se ne occupa. E lo fa con l’oratorio - dove c’è la struttura per la formazione catechistica e culturale e il campo sportivo per giocare: realtà capillarmente diffusa che permette di raggiungere tutti.
Il mondo dello sport non è privo di criticità e patologie - dal doping alla violenza all’ipertrofia della dimensione economica… Fare sport, come lo si fa in oratorio, può essere un antidoto a queste derive? E può aiutare le nuove generazioni ad affrontare le loro fragilità e le loro ferite?
È il nostro auspicio. Lo sport è certamente luogo d’incontro e crescita. Ma la cronaca lo racconta anche come occasione di affari spropositati, di corruzione, di scontri fra tifosi… Lo sport, come si fa in oratorio, aiuta le persone a essere migliori e a stare meglio insieme. La pratica sportiva, com’è promossa dal Csi, è un patrimonio molto importante per la sua attenzione alle persone, alle famiglie, alle dinamiche complessive dell’educazione, ma anche perché favorisce la partecipazione di tutti: degli italiani e di chi viene da altri Paesi, di chi è atleta eccellente e di chi non lo è.
Milano, con Cortina, ospiterà le Olimpiadi Invernali 2026. La diocesi partecipa alla marcia di avvicinamento con iniziative come “Orasport on fire tour”. Lei stesso ha indirizzato alcune lettere agli sportivi…
I nostri oratori sono impegnati a valorizzare questo grande evento riprendendo le parole d’ordine olimpiche come l’eccellenza, l’amicizia, il rispetto, e rilanciando il sogno che le Olimpiadi rappresentano e, in parte, realizzano, quello dell’incontro fraterno fra i Paesi e i popoli della terra. Con le nostre iniziative vogliamo ricordare che prepararsi alle Olimpiadi non significa solo allenarsi, magari fino all’esasperazione, o predisporre le strutture, come tocca alle istituzioni, ma respirare il clima e i valori olimpici più promettenti.
Che rapporto c’è fra Vangelo, cultura cristiana e valori olimpici?
La visione del corpo che l’antropologia cristiana propone non è quella di una prigione che impedisce la libertà, ma di una condizione per essere liberi. La valorizzazione della dimensione fisica e della dimensione relazionale, e la valorizzazione dei talenti della persona, sono dati che la tradizione cristiana custodisce e che nello sport trovano una specifica realizzazione.
Per i ragazzi d’oggi, il rapporto con il corpo è tema delicatissimo e incandescente…
Oggi si respira un individualismo autoreferenziale che concepisce la libertà come mancanza di criteri, e il corpo come realtà sottoposta all’interpretazione arbitraria. Un tema molto complesso, da affrontare in tanti modi.
Visitando la sede del Coni lombardo - con il quale l’arcidiocesi di Milano intende stipulare un protocollo d’intesa - ha detto che le Paralimpiadi sono un “modello geniale” da cui imparare. Perché?
Partire da quello che c’è, non da quello che manca: ecco il principio esemplare e geniale delle Paralimpiadi. Valorizzare le potenzialità di ogni atleta senza che la disabilità diventi il punto fondamentale, senza che il limite diventi elemento di dissuasione o di mortificazione; valorizzare ogni persona per quello che è, per quello che è capace di fare, per come vuole partecipare alla vita: ecco il messaggio che viene dalle Paralimpiadi di Parigi, grazie anche alla risonanza mediatica che hanno avuto. No, dunque, ad ogni discriminazione fra uomini perfetti e uomini imperfetti. Perché tutti siamo imperfetti. E i limiti - che ciascuno di noi ha - vanno accolti e integrati come condizione per fare quello che ciascuno può fare.
Dall’Expo in poi, Milano - con i suoi grandi eventi - è diventata città sempre più attrattiva ma non altrettanto inclusiva. Che fare perché i Giochi Invernali non si riducano a vetrina di una città per pochi privilegiati ma siano occasione di bene comune per tutti?
Le strutture costruite per le Olimpiadi possono diventare un patrimonio acquisito per la città e possono colmare alcune sue lacune. Ad esempio, gli alloggi costruiti per gli atleti possono diventare anche residenze per gli studenti. I Giochi, come tutti i grandi eventi, presentano un rischio: “consumarsi” intorno all’evento a prescindere dalla vita ordinaria delle persone. Vigiliamo perché non accada.
Nel settembre dello scorso anno, intervenendo in Consiglio comunale, disse che la vera invasione da respingere non era quella dei profughi ma quella del denaro sporco. Un’attenzione che i cantieri olimpici chiamano a rilanciare?
Come tutti i grandi affari, anche le Olimpiadi chiedono un sistema di vigilanza che promuova legalità e trasparenza. La fatica sta nel fatto che l’incremento dei controlli e della burocrazia talvolta rischia di penalizzare e mortificare gli onesti e di non raggiungere né fermare i disonesti. E non è solo questione di controlli e procedure, ma è questione anzitutto dalla radice morale: se non c’è una buona ragione per fare il bene e rifiutare il male, che è più potente rischia di diventare prepotente.
Nella proposta pastorale 2024/2025 “Basta. L’amore che salva e il male insopportabile” lei chiede alla Chiesa ambrosiana di riconoscere il primato della grazia di Dio e della dimensione contemplativa della vita, di dire basta al peccato e alla guerra, di essere operatori di pace. E di abitare il Giubileo 2025 come “tempo sabbatico” che riporti al centro la preghiera e la qualità delle relazioni. Lo sport può essere ambito fecondo per vivere queste indicazioni?
Sì, quando il gioco è vissuto come spazio di gratuità, dentro questo “tempo sabbatico” nel quale imparare a riposare, oltre che dedicarsi al bene e respingere il male. Dobbiamo prevenire la competitività esasperata, evitare che l’arrivare primi o il guadagno diventino più importanti del gioco, e che l’allenamento diventi ossessione che sequestra la persona e tutto il suo tempo. Ricordando a chi fa sport che nella sua vita non c’è solo lo sport.
Un’ultima domanda, eccellenza: lei ama lo sport? Lo pratica? E ha una squadra o un atleta del cuore?
Sono stato e sono amico dello sport. Ma non ho mai tifato per nessuno. Giocare a calcio, camminare in montagna: ecco le attività fisiche che ho praticato nella mia vita, non so se chiamarle sportive… A calcio ho giocato soprattutto in Seminario. Il ruolo? Credo di essere stato terzino...
«Uno sport che aiuta le persone a essere migliori e a stare meglio insieme. Che promuove l’educazione integrale dei nostri ragazzi e la capacità di stabilire rapporti interpersonali e intergenerazionali, diventando piccolo laboratorio della vita adulta, nella società». Ecco lo sport che si pratica negli oratori e nelle società affiliate al Centro sportivo italiano (Csi) nelle parole dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini.
Che sabato interverrà al Csi Day, la grande festa per gli 80 anni dell’associazione che si terrà in piazza Duomo. Una festa di popolo: il Csi Milano oggi registra 630 società sportive affiliate e 130mila atleti tesserati presenti in 450 oratori che, nella stagione 2023/2024, hanno ospitato 31.385 gare. Per l’occasione il presule promulgherà un “editto” - un documento rivolto alla grande famiglia del Csi per rilanciarne la vocazione.
Eccellenza, qual è l’augurio che desidera rivolgere al Csi per i suoi 80 anni?
Di essere sempre fedele alla sua missione educativa, mai estranea alla proposta educativa della Chiesa, e della quale c’è tanto bisogno, in particolare per gli adolescenti e i giovani.
Perché ha sollecitato il Csi a guardare “fuori casa” incoraggiando esperienze come il progetto “Csi per il mondo”?
Nei Paesi poveri i ragazzi non hanno condizioni e strutture per fare sport. E anche da loro accade che lo sport sia inquinato da problemi come le scommesse. Sul primo aspetto: il Csi offre le sue competenze e qualche aiuto concreto. Sul secondo: propone uno sport pulito. E uno sport che è un bene per tutti.
Perché la comunità cristiana si interessa allo sport e dà casa allo sport?
Perché ha a cuore l’educazione integrale delle persone, la loro crescita fisica e relazionale, in particolare nell’età evolutiva. Lo sport è elemento di aggregazione promettente, promuove la capacità di stabilire rapporti interpersonali e intergenerazionali. Perciò la Chiesa diocesana se ne occupa. E lo fa con l’oratorio - dove c’è la struttura per la formazione catechistica e culturale e il campo sportivo per giocare: realtà capillarmente diffusa che permette di raggiungere tutti.
Il mondo dello sport non è privo di criticità e patologie - dal doping alla violenza all’ipertrofia della dimensione economica… Fare sport, come lo si fa in oratorio, può essere un antidoto a queste derive? E può aiutare le nuove generazioni ad affrontare le loro fragilità e le loro ferite?
È il nostro auspicio. Lo sport è certamente luogo d’incontro e crescita. Ma la cronaca lo racconta anche come occasione di affari spropositati, di corruzione, di scontri fra tifosi… Lo sport, come si fa in oratorio, aiuta le persone a essere migliori e a stare meglio insieme. La pratica sportiva, com’è promossa dal Csi, è un patrimonio molto importante per la sua attenzione alle persone, alle famiglie, alle dinamiche complessive dell’educazione, ma anche perché favorisce la partecipazione di tutti: degli italiani e di chi viene da altri Paesi, di chi è atleta eccellente e di chi non lo è.
Milano, con Cortina, ospiterà le Olimpiadi Invernali 2026. La diocesi partecipa alla marcia di avvicinamento con iniziative come “Orasport on fire tour”. Lei stesso ha indirizzato alcune lettere agli sportivi…
I nostri oratori sono impegnati a valorizzare questo grande evento riprendendo le parole d’ordine olimpiche come l’eccellenza, l’amicizia, il rispetto, e rilanciando il sogno che le Olimpiadi rappresentano e, in parte, realizzano, quello dell’incontro fraterno fra i Paesi e i popoli della terra. Con le nostre iniziative vogliamo ricordare che prepararsi alle Olimpiadi non significa solo allenarsi, magari fino all’esasperazione, o predisporre le strutture, come tocca alle istituzioni, ma respirare il clima e i valori olimpici più promettenti.
Che rapporto c’è fra Vangelo, cultura cristiana e valori olimpici?
La visione del corpo che l’antropologia cristiana propone non è quella di una prigione che impedisce la libertà, ma di una condizione per essere liberi. La valorizzazione della dimensione fisica e della dimensione relazionale, e la valorizzazione dei talenti della persona, sono dati che la tradizione cristiana custodisce e che nello sport trovano una specifica realizzazione.
Per i ragazzi d’oggi, il rapporto con il corpo è tema delicatissimo e incandescente…
Oggi si respira un individualismo autoreferenziale che concepisce la libertà come mancanza di criteri, e il corpo come realtà sottoposta all’interpretazione arbitraria. Un tema molto complesso, da affrontare in tanti modi.
Visitando la sede del Coni lombardo - con il quale l’arcidiocesi di Milano intende stipulare un protocollo d’intesa - ha detto che le Paralimpiadi sono un “modello geniale” da cui imparare. Perché?
Partire da quello che c’è, non da quello che manca: ecco il principio esemplare e geniale delle Paralimpiadi. Valorizzare le potenzialità di ogni atleta senza che la disabilità diventi il punto fondamentale, senza che il limite diventi elemento di dissuasione o di mortificazione; valorizzare ogni persona per quello che è, per quello che è capace di fare, per come vuole partecipare alla vita: ecco il messaggio che viene dalle Paralimpiadi di Parigi, grazie anche alla risonanza mediatica che hanno avuto. No, dunque, ad ogni discriminazione fra uomini perfetti e uomini imperfetti. Perché tutti siamo imperfetti. E i limiti - che ciascuno di noi ha - vanno accolti e integrati come condizione per fare quello che ciascuno può fare.
Dall’Expo in poi, Milano - con i suoi grandi eventi - è diventata città sempre più attrattiva ma non altrettanto inclusiva. Che fare perché i Giochi Invernali non si riducano a vetrina di una città per pochi privilegiati ma siano occasione di bene comune per tutti?
Le strutture costruite per le Olimpiadi possono diventare un patrimonio acquisito per la città e possono colmare alcune sue lacune. Ad esempio, gli alloggi costruiti per gli atleti possono diventare anche residenze per gli studenti. I Giochi, come tutti i grandi eventi, presentano un rischio: “consumarsi” intorno all’evento a prescindere dalla vita ordinaria delle persone. Vigiliamo perché non accada.
Nel settembre dello scorso anno, intervenendo in Consiglio comunale, disse che la vera invasione da respingere non era quella dei profughi ma quella del denaro sporco. Un’attenzione che i cantieri olimpici chiamano a rilanciare?
Come tutti i grandi affari, anche le Olimpiadi chiedono un sistema di vigilanza che promuova legalità e trasparenza. La fatica sta nel fatto che l’incremento dei controlli e della burocrazia talvolta rischia di penalizzare e mortificare gli onesti e di non raggiungere né fermare i disonesti. E non è solo questione di controlli e procedure, ma è questione anzitutto dalla radice morale: se non c’è una buona ragione per fare il bene e rifiutare il male, che è più potente rischia di diventare prepotente.
Nella proposta pastorale 2024/2025 “Basta. L’amore che salva e il male insopportabile” lei chiede alla Chiesa ambrosiana di riconoscere il primato della grazia di Dio e della dimensione contemplativa della vita, di dire basta al peccato e alla guerra, di essere operatori di pace. E di abitare il Giubileo 2025 come “tempo sabbatico” che riporti al centro la preghiera e la qualità delle relazioni. Lo sport può essere ambito fecondo per vivere queste indicazioni?
Sì, quando il gioco è vissuto come spazio di gratuità, dentro questo “tempo sabbatico” nel quale imparare a riposare, oltre che dedicarsi al bene e respingere il male. Dobbiamo prevenire la competitività esasperata, evitare che l’arrivare primi o il guadagno diventino più importanti del gioco, e che l’allenamento diventi ossessione che sequestra la persona e tutto il suo tempo. Ricordando a chi fa sport che nella sua vita non c’è solo lo sport.
Un’ultima domanda, eccellenza: lei ama lo sport? Lo pratica? E ha una squadra o un atleta del cuore?
Sono stato e sono amico dello sport. Ma non ho mai tifato per nessuno. Giocare a calcio, camminare in montagna: ecco le attività fisiche che ho praticato nella mia vita, non so se chiamarle sportive… A calcio ho giocato soprattutto in Seminario. Il ruolo? Credo di essere stato terzino...