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Basta affitti brevi per chi ha tante proprietà

Scritto da Giuseppe Sala.

Intervista del Corriere a Giuseppe Sala.

Come sta Milano?
«In termini relativi, noi stiamo decisamente bene rispetto a quasi tutte le città italiane e anche europee. In termini assoluti, le difficoltà ci sono. Ma invito tutti a riflettere sul fatto che molti dei problemi che abbiamo sono problemi universali. Poi noi li vediamo a Milano, giustamente. Ma non è quasi mai una specificità nostra».
Perché «bene», per cominciare?
«Andiamo bene perché le nostre università stanno crescendo, il numero dei visitatori va su, con un turismo record anche quest’anno. Gli investimenti stranieri a Milano continuano ad aumentare. E, fatto non irrilevante, la popolazione sale ancora. Se uno guarda gli indicatori, ecco, sono positivi».
Quali sono i problemi, i punti critici?

«Io ne vedo tre in particolare. Il primo è la questione casa. Il secondo è il difficile equilibrio tra la gestione della mobilità e la cura dell’ambiente e il terzo è oggettivamente il tema sicurezza. Problemi universali. Che riguardano anche Milano».
Partiamo dalla casa. I nostri intervistati, tutti, hanno detto che la città è diventata cara e il tema degli alloggi è pesante.

«È così. Ma se un suo omologo a Bologna o a Roma facesse la stessa intervista troverebbe la stessa situazione. Guardo i dati di Roma in questo momento, con le attese del Giubileo e la conversione di molti appartamenti in Airbnb: i prezzi stanno salendo moltissimo. A Bologna, idem. C’è un tema, è evidente, però io vorrei qui aiuto e sostegno dal nostro Paese».
Barcellona ha deciso di bloccare gli affitti turistici.

«Ma io lo farei anche a Milano, onestamente. Non ce l’ho con il signor Rossi che aveva due soldi, ha preso un appartamento in più e decide per gli affitti brevi. Ce l’ho con chi in maniera speculativa si prende un’intera palazzina e sceglie questo modello. Però noi non possiamo farlo, le municipalità non hanno regole che lo consentano. Abbiamo avuto una lunga discussione con la ministra delegata Daniela Santanché, ma abbiamo parlato per mesi per niente, assolutamente niente. Se io potessi, se mai domani fosse nelle mie prerogative, agirei subito. Non li bloccherei tutti, ma con un criterio».
Lei vieterebbe gli affitti brevi di chi è proprietario di più appartamenti.

«Assolutamente sì. Ne abbiamo tantissimi e sono in crescita. D’altro canto Milano è la città degli eventi, c’è sempre turismo in movimento».
Poi c’è la sicurezza. Siamo divisi fra chi dice che la città è diventata pericolosa e chi dice che non è vero e mostra i dati oggettivi.

«Che ci sia un sentimento di insicurezza è evidente, non è che io vivo sulla Luna. Prima di venire qui vado al bar, faccio i miei giri, parlo con le mie concittadine e i miei concittadini. Dobbiamo fare molto di più. Anche in questo caso è un problema universale. Le città stanno raccogliendo tante tensioni, sarà il post pandemia, sarà l’atteggiamento di una parte dei giovani. Ho una fiducia totale nei ragazzi, ma alcuni sono usciti dal Covid con un notevole livello di aggressività. Il problema c’è».
Cosa si può fare?

«Innanzitutto, stiamo cercando di assumere vigili. È di questi giorni un nuovo bando per una quarantina di persone, aumenteremo di 500 unità il corpo. Ma i vigili sono il 20% dell’organico che si occupa di sicurezza e quindi con la stessa intensità chiedo al ministro Piantedosi, che alcune cose le ha fatte e altre no, di darci una mano. E poi stiamo lavorando per riorganizzare la polizia locale, dove i due criteri sono la prossimità e la visibilità. Importante vederli in macchina, pure a piedi. Mi auguro che anche i sindacati ci aiutino. Vedo un atteggiamento positivo. Vorrei che i milanesi amassero il vigile e lo vedessero come l’amico che ti sta vicino».
Ma il governo è accanto a Milano o le sembra lontano o addirittura indifferente?

«Sono critico su due cose. La prima: non c’è politica industriale. Chi sente parlare di imprese del futuro, di come lavorare sui singoli settori economici? Nulla. La seconda: sono lontanissimi dal territorio. A me spiace continuare a dirlo, però i fatti stanno lì. La presidente del Consiglio fra poco sarà premier da due anni, è venuta a Milano tre volte. Un bagno di folla al Salone del mobile. E le altre due per eventi di giornali: legittimo. Ma non ha mai varcato il portone di Palazzo Marino».
Insomma: la vede distante.

«Distante senz’altro, non la capisco. Per mesi le ho chiesto di venire e di confrontarsi non con me ma con la comunità milanese che è fatta di imprenditori, terzo settore, media. Noi potremmo offrire quello che sappiamo, il “modello Milano” che ha cambiato la città. E il governo potrebbe chiarire come ci può aiutare. Tutte le volte che faccio questa osservazione Giorgia Meloni risponde: “Ormai io sono habitué a Milano”. Ma che habitué sei se non entri dalla casa dei milanesi dove sta il sindaco. Ci avviciniamo ai due anni di mandato e io non l’ho ancora vista».
Torniamo a Milano. È ancora città attrattiva per i giovani, città delle opportunità?

«Penso di sì. Sempre tenendo conto del problema della casa. Le nostre università potrebbero avere ancora più iscritti. I ragazzi arrivano anche dall’estero per studiare e trovano lavoro con una certa facilità. Sono stato all’inaugurazione degli uffici di una società. Con me c’era la rettrice del Politecnico e l’amministratore delegato le diceva: “Mi laurei più ragazzi, io ne ho bisogno domani mattina e non li trovo”. Non è rose e fiori, ma vedo che i giovani da tutta Italia, da tutto il mondo, continuano a venire».
Lei ha scelto come nuovo assessore alla Casa Guido Bardelli, ex presidente della Compagnia delle opere. Ci sono critiche, anche nel mondo del Pd.

«Non è che mi aspettassi che tutti fossero d’accordo. Però io cerco di ascoltare e poi scelgo. I milanesi vogliono questo: un sindaco che decide e si fa condizionare il giusto dai partiti. L’ho indicato perché sul tema della casa c’è più di un problema legato ai meccanismi finanziari e si può immaginare un nuovo ciclo. Abbiamo più o meno 27.000 appartamenti di edilizia pubblica: sono assegnati alla fascia più in difficoltà. Il problema sta un po’ sopra: giovani, famiglie, studenti universitari. Vogliamo capire se il Comune, in partnership con altri, cooperative, housing sociale, può dare una spinta più evidente. L’avvocato Bardelli è la persona giusta».
E la sua provenienza?

«Se la critica è perché lui è stato presidente della Compagnia delle opere, rimango allibito. Sono un uomo di sinistra che continua a dire dal primo giorno: “Ragazzi, se noi non allarghiamo e continuiamo a restringerci nei nostri recinti facciamo un danno”».
«Allargarsi», lei dice. Nella politica nazionale, come immagina il suo futuro? Si vede leader della coalizione? O leader di un centro del centrosinistra che forse andrebbe ricostituito, dal vostro punto di vista?

«Fino all’ultimo giorno faccio il sindaco. Cosa capiterà di me presumibilmente a inizio 2027? Sarei sciocco se cominciassi a farmi dei film adesso e non fossi focalizzato sui problemi che ci sono qua. Ma se posso dare una mano all’ambito del centrosinistra, sì: parlo un po’con tutti, lo faccio per il “noi” e non per me. Ne parlo molto anche con Elly Schlein, che è al corrente delle mie idee. Io non so se mi vedo leader del centro del centrosinistra, ma dico che è una parte da costruire o ricostruire: non è un’opinione, il centrodestra senza Forza Italia non avrebbe la maggioranza. Dove sta il centro del centrosinistra oggi? Deve prima di tutto decidere di stare in quella alleanza. Il tripolarismo in Italia non è possibile. Chiunque voglia lavorare in questa direzione ha il mio sostegno».
C’è una narrazione un po’ diversa di Milano. Dalla città scintillante alla città in difficoltà: verità o solo racconto?

«Un po’ l’uno e un po’ l’altro. Non ho mai visto città che continuano ad essere al top per un periodo lunghissimo. Vi ricordate Barcellona? Sembrava che non potesse fermare mai la sua corsa. Io sono sindaco da otto anni, ho vissuto questo lungo percorso e quindi un po’ è anche naturale. In mezzo c’è stato il Covid, in una città che fa del dinamismo la sua caratteristica principale. Secondo me la narrazione negativa è eccessiva, ma certamente, come gran parte delle città del mondo, non siamo quelli di prima».
C’è un suo sogno per la città, una cosa che le starebbe veramente a cuore?

«Il mio sogno, che purtroppo non sono riuscito a realizzare, è la riapertura dei Navigli. Operazione molto costosa e non abbiamo i fondi. Io credo che si debba continuare nel percorso di internazionalizzazione che fa bene alla città. E poi c’è una cosa un po’ urticante per me, la questione stadio, dove non voglio essere ottimista né pessimista, sono pragmatico. Ma spero che si possa trovare una soluzione per salvare San Siro e per convincere le squadre che può essere ancora la loro casa».
Anche vendendo a Milan e Inter?

«Si può fare tutto. Il tema è se le squadre accettano di ristrutturarlo, sapendo che ci è stato spiegato da WeBuild che può essere ristrutturato senza fermare le partite, perdendo 4/5.000 posti dei 74.000 attuali. Ora che è chiaro, sono chiamate a una decisione. Se intraprendono questo percorso, ogni formula può essere valida: comprare, il diritto di superficie a 90 anni... Vediamo. E in caso di lavori, chi è meglio che li faccia? La risposta è banale, meglio i privati, hanno più capacità e possono essere rapidi. Io ci spero».

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