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Il centrosinistra a Milano: un orgoglio da recuperare nell’interesse della nostra città

Scritto da Mattia Abdu.

Intervento di Mattia Abdu al convegno “Il futuro di Milano tra continuità e innovazione. Idee per un nuovo progetto di città” (pdf).

Gennaio 2024: siamo a quasi 13 anni di governo della città di Milano da parte del Centrosinistra. Di bilanci ne possiamo fare tanti, alcuni positivi altri meno; le variabili in campo sono molte e riguardano tanti livelli istituzionali, tra cui anche quello regionale che non solo non ci aiuta ma ha più volto remato contro alcune possibilità di sviluppo, e lo ha fatto con lo scopo di arrestare quello che Milano ha rappresentato in questi ultimi anni simbolicamente e non solo, nel paese.
Pensiamo ai trasporti con milioni di euro di tagli, tutti sulle spalle del Comune di Milano e del suo sistema di mobilità, quando il disastro Trenord è sotto gli occhi di tutti. Potremmo parlare ancora dei tagli alla sanità pubblica e del totale disinvestimento in termini di servizi di welfare sulla sfera della salute mentale o banalmente sulla medicina di base, ignorando i bisogni che pur spetterebbero per competenza al livello amministrativo regionale.
Ora più che mai, dobbiamo continuare a denunciare tutte le mancanze del governo regionale, perché gli effetti di questo malgoverno si ripercuotono sulle nostre amministrazioni locali, Milano e l’intera Città metropolitana; quindi, è necessario spiegare cosa dipende da noi e cosa -irrimediabilmente- no. Questo perché Milano è stretta in una specie di “morsa comunicativa” in cui, se è evidente che di problemi ne abbiamo eccome e nessuno intende nasconderli, è anche vero che il quadro delle soluzioni è quanto mai frastagliato e in capo alla responsabilità di tanti livelli decisionali, ben oltre quello di nostra competenza, vedi il tema dell’inquinamento.
Se ho sempre considerato “drogata” la narrazione del cosiddetto Modello Milano quando funzionava, figuriamoci ora che è messo in discussione da chiunque, anche da noi stessi, dal nostro elettorato o in generale dalla comune sentire. Perché si sono sottovalutati, anche solo nella percezione comune e connessa narrazione, prima che in chi amministra, problemi strutturali legati ad esempio alla qualità dell’aria, alla divaricazione sociale, alla distonia tra bolla immobiliare e diritto all’abitare, e potrei continuare a lungo. I problemi c’erano prima e ci sono oggi, svelati da una stampa meno compiacente di un tempo, da un’opinione pubblica evidentemente disillusa rispetto alle primavere arancioni, ma anche ad alcune nostre indecisioni nella trattazione dei problemi, questo non possiamo ignorarlo.
Qualcuno poi mette l’accento, non a torto, sulla perdita di soggettività politica della Giunta comunale, intesa come squadra e come catalizzatore dell’indirizzo politico che deve dare chi viene eletto a governare una città: una tendenza per certi versi nazionale, in cui una classe politica in parte inadeguata, in parte litigiosa, in parte semplicemente poco carismatica, soccombe rispetto al fronte dei “tecnici”, quelli sì molto virtuosi, prestati alla politica e divenuti, loro malgrado, foglia di fico per rispondere a tutte le sfide della quotidianità, ben oltre le loro forze, e senza quella spinta al senso di comunità che i partiti dovrebbero in teoria rappresentare. E allora in questo quadro congiunturale i salvatori della patria non sono più sufficienti, perché le posizioni polarizzate, a destra e sinistra, in un dibattito per tifoserie, diventano intransigenti verso la politica medesima, generando un corto circuito che rischia di essere letale anche per l’esperienza del centrosinistra a Milano, mentre la politica urlata si è conquistata il governo del paese, alla faccia dei Draghi, dei Monti, ma anche dei Prodi, dei Napolitano, dei Ciampi e delle figure che nella storia recente definiremmo “di alto profilo”.
Vorrei poter scrivere, come presidente del Municipio 1, quello dei residenti benestanti (ma non tutti) e degli ultimi ai bordi delle strade, quello della ZTL e del traffico che rischia comunque di incastrarsi, ma anche quello dei numeri da record del turismo e della Milano che produce, dell’incredibile rete di musei civici e privati, dei teatri e dei cinema, che il rafforzamento del Decentramento amministrativo ci salverà dalla perdita di contatto con la realtà e dal perdere di vista l’attenzione alle piccole cose. La verità è che siamo tutti un po’ più disillusi rispetto alla gestione della complessità attuale perché, se sbagliare umano e il fallimento di sistema è sempre in agguato, a volte si ha la sensazione di svuotare l’oceano con un cucchiaino, tentando di gestire processi amministrativi in un quadro con troppe variabili tecniche e umane in campo.
Continuo però a pensare che gli anni al governo della nostra città abbiano rappresentato su tanti fronti, un esempio di buone pratiche, che oggi vanno recuperate, rileggendosi ad esempio i programmi elettorali, non come vaghe dissertazioni sulla politica cittadina scritte perché dovevamo allegarle alla candidatura, ma come riferimento forte e concreto agli obiettivi di governo, a cui richiamare tutte e tutti. Vanno poi recuperati, in una ricetta che spero non sia quella della disperazione da ultima spiaggia, ma da esercizio utile per rimettersi in pista, l’entusiasmo del 2011, l’ottimismo del 2015, il rispetto e il senso di comunità del 2020, ricordandoci che l’esperienza di questi 13 anni rappresenta un bagaglio politico prezioso, a cui richiamare noi stessi nei momenti di pessimismo e lo dico senza ironia, anche vedendo i limiti della controparte di destra, ma anche dei grilli parlanti senza una strategia, se non forse quella di risedersi comodamente all’eterna opposizione che spesso diverte fare, nel teatrino della politica.
I partiti, il nostro in primis, recuperino il rispetto della propria comunità, la capacità di confrontarsi senza farsi dettare la linea dagli umori dei social network o dall’inseguimento spasmodico del consenso facile, perché non fa per noi, c’è sempre chi lo fa meglio e in maniera più credibile, se si utilizzano quei codici di lettura della società, codici che appunto non devono appartenerci, perché sono distruttivi. Ci sono ancora tre anni di lavoro importante, fino alla prossima tornata amministrativa, in un quadro politico precario a cui non arrendersi, e non solo perché non può essere un riferimento per la nostra azione, ma anche perché il riferimento vero sono la nostra esperienza amministrativa, ma anche il bagaglio valoriale dei decenni trascorsi dal dopoguerra lungo tutto il Novecento: impariamo a valorizzare quest’esperienza, ascoltandoci e rifuggendo in maniera intransigente le forme di superficialità che inquinano oggi i dibattiti, perché non ci possiamo permettere altre strade, nell’interesse della nostra città.
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