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Milano Metropolitana

Scritto da Luca Elia.

Intervento di Luca Elia al convegno “Il futuro di Milano tra continuità e innovazione. Idee per un nuovo progetto di città” (pdf).

Il tema del governo delle aree urbane è da oltre vent’anni nelle agende dei principali paesi e delle organizzazioni internazionali, queste sono territori complessi e diffusi caratterizzati da vastità territoriale e reti lunghe dell’economia e del sistema integrato dei servizi. Queste metropoli globali presentano la continua necessità di tenere in equilibrio i vantaggi della concentrazione urbana con i disagi che la stessa crea.
Nel 1999 l’Ocse, vista la necessità di dare una risposta al crescente bisogno di trovare soluzioni per individuare strategie innovative di sviluppo e di governo delle nuove realtà, istituiva il Territorial Development Policy Committee (TDPC), con il mandato di comprendere come le regioni e le grandi aree urbane potessero sia fare sistema al loro interno per competere sia promuovere pratiche di governo efficaci ed innovative. Al TDPC fu anche assegnato il compito di avviare territorial review su casi specifici, per approfondire sul campo insieme agli attori territoriali questi aspetti.
Tra il 2005 e il 2006 il TDPC avviò uno studio sulla realtà urbana milanese, dal quale emerse che Milano era in cima alla classifica Ocse ma con il rischio di una diminuzione della competitività dovuta al mancato miglioramento della capacità innovativa locale e alla scarsa propensione ad attrarre investimenti. Lo studio evidenziò come limite principale la mancanza di una riforma della governance metropolitana, ritenuta di prioritaria importanza per restituire a Milano il ruolo guida che in passato aveva avuto come grande realtà industriale.
Partendo dalle considerazioni dello studio Ocse di venti anni fa, si proverà di seguito a sviluppare una breve analisi che possa aiutare a comprende se negli ultimi anni è stato avviato un percorso per realizzare un governo metropolitano all’altezza delle nuove sfide.
Per inquadrare il tema ci vengono in aiuto i contenuti di un comunicato indirizzato alla presidenza del Senato relativo al DL “Disposizioni per il ripristino del sistema di elezione a suffragio universale e diretto delle province, nonché introduzione del sistema di elezione a suffragio universale e diretto per le città metropolitane” del 13 ottobre 2022.
Questa relazione parlamentare indica che nelle tre ultime legislature il legislatore ha orientato il ruolo delle autonomie locali partendo principalmente dal principio di semplificazione amministrativa e di contenimento della spesa pubblica, inquadrando questi enti come soggetti onerosi per le casse dello Stato su cui era necessario agire con uno svuotamento di funzioni e un conseguente risparmio in termini di costi, in particolare limitando il numero dei rappresentanti politici. Gran parte dell’opinione pubblica sostenne in quel periodo l’orientamento che vedeva nel costo della politica come un problema a cui bisognava porre un argine. In queste tre legislature ci furono alcuni interventi di rilievo, nel 2011 l’intervento del governo Berlusconi (decreto-legge n. 138 del 2011) di abolizione delle province, tentativo decaduto in sede di conversione. Seguirono quelli del governo Monti con i decreti-legge n. 201 del 2011 e n. 95 del 2012 (Salva Italia e Spending Review) sempre al fine di rispondere all'esigenza di conseguire un consistente contenimento della spesa pubblica, poi non pienamente concretizzatosi nella realtà. L'illegittimità costituzionale, dichiarata dalla Corte con la sentenza n. 220 del 2013, nei riguardi di una legislazione di urgenza finalizzata a modifiche ordinamentali ha indotto il legislatore ad immaginare un intervento normativo, la legge Delrio, avente il fine di abolire le province previa riforma costituzionale.
La Delrio intervenne su due aspetti, dal lato funzionale le province furono svuotate di funzioni amministrative e dal lato della rappresentanza furono trasformate in enti locali territoriali con rappresentanza di secondo grado. Un interessante articolo a firma di Paolo Testa, Capo ufficio studi ANCI del Febbraio 2020, evidenzia interessanti spunti di riflessione. Testa sostiene che questa riforma ha assegnato alle città metropolitane funzioni di “ampio respiro” “di area vasta”, chiamandole a compiti generali di coordinamento, di promotrici di sviluppo economico, di attrattore di investimenti e gestore della coesione sociale. Queste finalità dovevano essere perseguite attraverso funzioni complesse assegnate alle città metropolitane in via esclusiva dal legislatore, cosa che invece non si è realizzata lasciando un riordino incompleto e un mancato perfezionamento dell’assetto istituzionale pensato per questo nuovo livello di governo locale.
La carente solidità istituzionale della città metropolitana è evidente ed insita nel sistema di elezione dei suoi organi.
Il sindaco, che è lo stesso del comune capoluogo, opera dal punto di vista istituzionale in sostanziale solitudine essendo soggetto monocratico e trovandosi a prendere decisioni anche molto minute, non potendo delegare responsabilità a terzi. Il consiglio metropolitano e il sindaco non hanno una legittimazione e una responsabilità diretta nei confronti degli elettori, in quanto i primi vengono eletti con elezione di secondo livello e il secondo coincide con quello del comune capoluogo, una evidente disparità tra cittadini del capoluogo e quelli dei comuni della città metropolitana.
Un’ulteriore disparità è basata sulla residenza e riguarda il rinnovo dell’amministrazione del consiglio metropolitano che è determinata dal rinnovo dell’amministrazione del comune capoluogo, gli organi di città metropolitana vengono infatti eletti solo dopo il rinnovo degli organi del comune capoluogo. Vi è da dire che la legge rinvia allo statuto della città metropolitana la possibilità di definire l’elezione diretta del sindaco, anche se l’ipotesi risulta assolutamente remota e di fatto di impossibile realizzazione in quanto prevede una procedura istituzionalmente complessa e politicamente non realizzabile. Questa discrepanza peraltro emerge in tutta la sua portata da un punto di vista politico, indipendentemente dai rilievi di natura giuridico costituzionale.
A legislazione vigente il rapporto tra gli elettori e i vertici delle aree vaste (città metropolitane e province) si configura in tre modi del tutto diversi a livello nazionale a seconda che l'elettore sia residente in una provincia, nel comune capoluogo di una città metropolitana o in un comune non capoluogo di una città metropolitana. Nel caso degli elettori residenti in una provincia, infatti, il sistema elettorale prevede l’elezione di secondo livello, sono infatti i consiglieri comunali e i sindaci del territorio ad eleggere il consiglio provinciale. Il consiglio sceglie il presidente della provincia, che deve essere necessariamente un sindaco con almeno diciotto mesi di mandato di fronte a sé. Nel caso delle città metropolitane invece, gli elettori residenti nel capoluogo concorrono in maniera diretta, almeno in termini sostanziali, all'elezione del sindaco metropolitano mentre gli elettori degli altri comuni non hanno alcuna voce in capitolo.
La carente legittimazione democratica degli organi di governo degli enti metropolitani e stata evidenziato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 240/2021, che ha rappresentato uno spartiacque molto importante.
La Consulta ha sostenuto che l'attuale sistema con cui viene designato il sindaco metropolitano sia lesivo dei diritti costituzionali di rappresentanza politica dei cittadini residenti nei comuni non capoluogo della città metropolitana, se si vuole intendere città metropolitana come un organo che sia di governo e non solo di coordinamento tra comuni. Emerge chiara la ratio del legislatore che ha pensato con la Delrio alla Città Metropolitana come un organo di non diretta espressione dei cittadini e quindi non con funzioni di governo ma solo come organo di coordinamento dei comuni.
Oltre alle opportune valutazioni tecnico giuridiche, in un consesso come quello di oggi che ha il titolo “il futuro di Milano tra continuità e innovazione”, è necessario fare alcune riflessioni politiche.
La legge Delrio, in via quasi esclusiva, si poneva degli obiettivi di semplificazione amministrativa e di contenimento della spesa pubblica, ma oggi non è più opportuno pensare che il governo metropolitano di Milano possa basarsi prioritariamente su questi principi. Per affrontare le sfide che la modernità impone serve un governo metropolitano che non eserciti principalmente funzioni di coordinamento tra i comuni, ma che abbia funzioni amministrative analoghe a quelle degli altri enti territoriali.
Per tornare quindi alla riflessione che ci siamo posti in apertura di questo intervento è possibile concordare che le riforme sono state attuate in modo parziale ed insufficiente e che è necessario ed urgente un riassetto degli enti metropolitani.
Quattro ipotesi di riassetto vengono proposte da Sergio Pignataro sul primo numero del 2023 della rivista NOMOS. La prima riguarda una riforma che preveda che l’organo deliberativo principale, di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, debba essere espressione piena, libera e diretta delle relative comunità, quindi l’elezione diretta del consiglio metropolitano da parte di tutti i cittadini, sia quelli del comune capoluogo che quelli di tutti i comuni. La seconda propone l’elezione diretta del consiglio metropolitano e in seno a questo l’elezione del sindaco metropolitano tra i suoi componenti, simile al precedente sistema elettorale previsto per i comuni. La terza un sistema elettorale come quello in vigore per le province, con il consiglio metropolitano e il presidente eletto con una votazione di secondo livello. L’ultima l’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano.
I primi due sistemi rispetterebbero il principio dettato dalla Consulta di rappresentanza democratica e diretta dell’organo di governo principale pur essendo principalmente orientati ai principi della semplificazione delle procedure e di contenimento della spesa pubblica, anche se il primo, tuttavia, sconterebbe una differenza di legittimazione tra i consiglieri, eletti a suffragio universale, e il sindaco, eletto solo dai cittadini del comune capoluogo. La seconda ipotesi sconterebbe una eccessiva politicizzazione e gestione da parte dei partiti del ruolo del sindaco a fronte di una forte legittimazione diretta del consiglio metropolitano. La terza ipotesi poco si discosterebbe dalla situazione attuale mentre la quarta parrebbe essere quella più confacente alla situazione della città metropolitana di Milano.
A livello parlamentare il testo base del disegno di legge depositato in commissione affari costituzionali del Senato, su input del Ministro delle riforme Calderoli, prevede in coerenza con la sentenza della Corte costituzionale 240/2021, il voto dei cittadini delle città metropolitane chiamati a eleggere non solo il sindaco metropolitano ma anche i consiglieri.
In conclusione, è del tutto evidente che la città metropolitana di Milano abbia necessità di diventare un’unica realtà integrata e intrecciata socialmente, come ben sostenuto nella mozione “strada per strada” a sostegno di Alessandro Capelli candidato alla carica di segretario metropolitano del Partito Democratico nel congresso che si è tenuto nell’ottobre 2023 e che sia necessario introdurre l’elezione diretta del sindaco e del consiglio metropolitano, oltre alla presenza di una giunta metropolitana nominata dal sindaco.

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