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Province e città metropolitana, che fare?

Scritto da Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani La sentenza emanata il 3 luglio dalla Corte costituzionale in materia di ordinamento delle Province non è ancora stata pubblicata. Allo stato di cose disponiamo del comunicato stampa della Consulta che dichiara l'illegittimità costituzionale del d.l. 201/2011 convertito con l. 214/2011 (c.d. Salva Italia )relativamente all'art. 23 commi 4,14,15,16,17,18,19,20, 20 bis (sono tutte le disposizioni relative alle Province) e del d.l. 95/2012 convertito con l. 135/2012 (c.d. Spending review) relativamente agli art. 17 e 18.
Quest'ultimo è l'articolo che istituiva le Città metropolitane, e deve quindi considerarsi ora abrogato insieme a tutto il resto, vanificando di fatto tutto il lavoro svolto nel corso dell'ultimo anno da molti amministratori e funzionari pubblici.
Allo stato di cose rimane vigente solo la normativa della legge 228/2012 (legge di stabilità 2013) che all'art. 1 comma 115 congelava fino al 31.12.2013 la situazione attuale delle Province, ivi compreso il commissariamento di quelle scadute naturalmente o decadute per qualsiasi motivo in attesa dell'applicazione delle nuove norme elettorali. Qualora però entro la data fissata non intervenisse un nuovo provvedimento legislativo si avrebbe in sostanza la ripresa dello statu quo ante e le Province commissariate, come quelle a scadenza naturale (ivi compresa la Provincia di Milano), andrebbero al voto per l'elezione del nuovo Presidente e del nuovo Consiglio nel quadro del turno amministrativo generale della primavera 2014.
Questa vicenda delle Province è una di quelle tipiche in cui hanno ragione (e quindi torto) tutti quanti: ha ragione, ovviamente, la Consulta a ritenere che una materia afferente quello che è un soggetto costitutivo della Repubblica, a mente del Titolo V della seconda parte della Costituzione così come riformata nel 2001, non può essere trattata con un decreto legge, anche se la questione sollevata da diverse Regioni (tutte a guida di destra, quando fecero ricorso) è stata forse dibattuta un po’ troppo in là nel tempo quando molta acqua era già passata sotto i ponti e già si stava ragionando attivamente nel senso delineato dai decreti impugnati.
Ma non aveva neppure torto il Governo Monti quando decise di procedere per via di decreto, avendo la consapevolezza che il Parlamento della sedicesima legislatura – in questo, temiamo, non diverso da quello della diciassettesima- fosse strutturalmente incapace di affrontare per via ordinaria una questione tanto dibattuta; inoltre, il Governo tecnico doveva lanciare un segnale all’Unione europea, che aveva chiesto una semplificazione delle strutture amministrative come condizione per il rientro del deficit pubblico.
Sicché il dato di fatto è che la questione è riportata al punto di partenza, anche se il Governo Letta ha immediatamente reagito presentando un disegno di legge costituzionale mirante ad espungere dalla Costituzione ogni riferimento alle Province onde favorirne l’abolizione per via di legge ordinaria. Nello stesso tempo, vengono tolte dal novero degli Enti costitutivi della Repubblica anche le Città metropolitane che però vengono recuperate più avanti come soggetti di governo dell’area vasta.
Si capisce che il Governo doveva dare una risposta ad un’opinione pubblica a cui per anni è stato ripetuto che le Province non servono a nulla se non a sprecare malamente denaro pubblico, opinione viepiù rinforzata da alcuni commenti di sapore qualunquistico se non sottilmente eversivo comparsi sulla stampa nazionale il giorno dopo la sentenza (segnaliamo in particolare Francesco Merlo su “Repubblica” e Sergio Rizzo sul “Corriere della sera”). Il fatto è che non sappiamo che cosa accadrà dopo, quale sarà cioè l’assetto che la legge ordinaria di riforma delle autonomie locali - che il Ministro Graziano Delrio ha promesso ad esito della procedura di riforma costituzionale – delineerà per le funzioni che sin qui sono state svolte dalla Provincia come Ente intermedio di governo, quale peraltro esiste in tutti gli Stati dell’Unione europea paragonabili all’Italia per territorio e popolazione.
Come ha ricordato Ilvo Diamanti, attento osservatore della realtà locale, “le Province hanno svolto e svolgono compiti importanti su base locale. Fra gli altri: in materia di trasporti, ambiente, edilizia scolastica. E poi: costituiscono il principale ambito di “mediazione” fra i Comuni e le Regioni. Soprattutto per i Municipi più piccoli, si tratta di istituzioni utili ad accorciare le distanze dai centri del Potere Stato – Regionale”. Se le cose stanno così – e così stanno, ad onta di tanta demagogia a buon mercato sparsa nel corso degli anni- è evidente dovere del Governo chiarire a chi spetteranno, nel nuovo assetto degli Enti locali, le funzioni svolte sin qui dalle Province e, al di là degli aspetti formali, quel sottile compito di “advocacy” degli interessi locali che rischiano di andare dispersi nel momento in cui ci si confronta, specie nelle Regioni maggiori, con un potere altrettanto lontano e autoreferenziale di quello statale. Peraltro, la nascita delle Province (con il decreto Rattazzi del 1859) precede addirittura quella dello Stato unitario (1861), e su di esse è stata modellata la presenza dei poteri dello Stato sul territorio (Prefetture, Questure, Direzioni della Finanza, Provveditorati agli Studi…) come pure su base provinciale associazioni, sindacati e partiti hanno costituito le loro organizzazioni locali.
Allo stesso modo, fin da subito andranno precisate le specifiche funzioni delle Città metropolitane e le modalità per la scelta democratica dei loro organi di governo, sapendo che non è più possibile – a ventitre anni dalla loro definizione per legge e a dodici dal loro inserimento in Costituzione- che esse costituiscano una sorta di miraggio che sfuma non appena ci si avvicina troppo.
Insomma, l’annuncio dell’abolizione delle Province è insufficiente, e magari anche dannoso, se da subito non si dice quali saranno i futuri assetti dei poteri locali: e anche questa è una risposta che i cittadini si attendono.
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