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Le elezioni e i prossimi passi

Scritto da Chiara Braga.

Articolo di Chiara Braga.

Il risultato uscito dalle urne ha comprensibilmente aperto un dibattito articolato, nel e sul Partito Democratico. Ieri il Segretario nazionale in una lettera agli iscritti e alle iscritte ha parlato di un Congresso Costituente del nuovo PD, riportando la discussione su un binario che io condivido molto, specie dopo la fioritura di candidature e le sentenze un po’ affrettate e grossolane emesse da dirigenti e commentatori in questi giorni. Letta ha tracciato una strada, che sarà oggetto di confronto e discussione nella Direzione nazionale convocata il prossimo 6 ottobre.
Ho trovato un passaggio della lettera del Segretario particolarmente efficace per descrivere il nocciolo del problema che abbiamo di fronte: “Allo stesso tempo, in questa campagna scandita da insidie e veleni, si sono manifestati evidenti i limiti della nostra proposta ed è emersa una mancanza molto grave di capacità espansiva nella società italiana. Sono limiti che ci obbligano a un confronto serissimo e sincero tra di noi.”
Ci sono più cause del deludente risultato elettorale che abbiamo registrato, alcune di cui si è molto parlato più facilmente riconducibili allo schema delle alleanze con cui siamo andati al voto, ma quello su cui più mi sono interrogata - e sto continuando a farlo nella mia personale riflessione - sono i limiti della nostra proposta. Lo faccio partendo da quello che più conosco e di cui più mi sono occupata in questi anni, facendomi ovviamente carico in prima persona della responsabilità di questa situazione.
Credo che uno dei nostri limiti maggiori si possa individuare nel fatto di non risultare sufficientemente credibili nelle nostre proposte, perché non sufficientemente convinti delle nostre affermazioni e non abbastanza coerenti nelle nostre azioni.
Come ho avuto modo di dire in tante occasioni i temi ambientali sono diventati patrimonio largamente condiviso nel nostro Partito, rispetto alla condizione assolutamente minoritaria con cui erano trattati solo qualche anno fa. In questa campagna elettorale abbiamo dichiarato di voler essere il più grande partito ambientalista europeo, abbiamo costruito un pilastro del nostro programma sulla transizione ecologica e la lotta alla crisi climatica, il Segretario ne ha parlato spesso e con visione, siamo risultati la forza politica e la coalizione più credibili riguardo alle proposte in materia di clima e ambiente secondo l’analisi di esperti qualificati e super partes. E tuttavia non siamo risultati abbastanza convincenti e non abbiamo intercettato il voto di un elettorato, soprattutto giovane, sensibile a queste tematiche.
Perché? Io penso che l’esperienza del Governo Draghi su questi temi ci abbia fatto pagare un prezzo altissimo.
Non so se esiste o sia mai esistita un’agenda Draghi ma certamente sui temi ambientali e climatici questa presunta agenda era molto lontana da quella di un partito ambientalista e progressista. In troppe occasioni la nostra lealtà all’azione di un Governo di unità nazionale ci ha impedito di essere obiettivi e coerenti con le nostre posizioni. Nel dire ad esempio che l’esperienza del Ministero della Transizione ecologica è stata in larga parte un fallimento, che i temi fondamentali della difesa della biodiversità e dell’adattamento al cambiamento climatico sono colpevolmente scomparsi dall’agenda di Governo, che sulla transizione ecologica e energetica è prevalsa una logica conservativa soprattutto da parte di quel Ministero che al contrario avrebbe dovuto esserne il motore trainante. (Ok, qualcuno di noi l’ha anche detto, ma se non si è percepito il problema è lo stesso).
Nessuno di noi, io per prima, nega la necessità di affrontare la sfida della transizione ecologica con la dovuta attenzione ai temi della sostenibilità sociale e economica, ma anche dentro il nostro Partito troppe volte risulta evidente che la crisi climatica non è percepita nella sua reale dimensione, cioè come un dato di realtà che condiziona pesantemente ogni altro aspetto della vita delle persone e quindi ogni scelta che siamo chiamati a compiere. Se il Congresso Costituente che ci apprestiamo a intraprendere vuole essere davvero il momento per sciogliere alcuni nodi nella nostra identità e della ragione d’essere del nostro Partito, io credo che anche su questi temi sia necessario arrivare finalmente a un punto di chiarezza.
Perché, a mio avviso, il modo in cui interpretiamo la crisi climatica e le sue conseguenze ha molto a che fare con il modo in cui intendiamo essere in questo tempo un partito di sinistra.
Consideriamo la crisi climatica una delle tante questioni o la condizione strutturale in cui inquadrare tutte le altre?
Lavoro, produzione, formazione, fisco, salute, giustizia sociale, lotta alle disuguaglianze, distribuzione della ricchezza, governo locale. Pensiamo che l’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sia un grazioso simbolo da apporre ai documenti di programmazione del Governo o uno strumento di orientamento e valutazione di tutte le nostre scelte? Crediamo che sia necessario affrontare la crisi climatica, sì ma con calma perché non possiamo mettere in discussione il nostro modello economico, o siamo convinti che non ci sarà nessuna crescita e benessere economico possibile in un pianeta sconvolto da disastri naturali e calamità sempre più imprevedibili e devastanti?
Ciascuna di queste domande, che scontano certamente un eccesso di semplificazione, ha a che fare con la nostra identità.
Qual è oggi il compito di una forza di sinistra se non quello di agire perché di fronte alla minaccia più grande che investe l’umanità, quella climatica, a pagare non siano le persone più deboli, quelle che hanno meno possibilità economiche e meno disponibilità di conoscenze, e le generazioni future, che rischiano di trovarsi sulle spalle un’eredità così pesante da compromettere ogni opportunità di realizzazione e progresso?
Ecco, io penso che il Congresso che ci serve è quello che ci obbliga a confrontarci, discutere e dire chiaramente cosa pensiamo, anche o soprattutto, su questo tema. Senza pretendere di avere la verità in tasca ma con l’obiettivo di cancellare quell’ambiguità di fondo che continua a renderci “appannati” e scarsamente credibili per le persone.
Un’ultima considerazione: questo tema, forse più di altri, investe anche il dato generazionale e la natura degli attuali gruppi dirigenti. Non penso affatto che il problema del PD siano gli “ex” di qualcosa, ho enorme rispetto per le culture politiche che hanno dato vita al Partito Democratico e anche una certa invidia per chi ha avuto modo di formarsi dentro quelle culture, ma è un dato di fatto che, salvo rarissime eccezioni, la questione ambientale, nella sua accezione più complessa, non sta nel DNA dei nostri più autorevoli e riconosciuti dirigenti.
Questo prossimo Congresso non può essere una questione di nomi e di persone, ma sono convinta che se vogliamo tornare a essere percepito come utili e credibili è proprio su questo terreno che dobbiamo definire un pezzo fondamentale della nostra identità e la credibilità di chi avrà il compito di guidare la nostra comunità.

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