Stare fuori dall’Europa sacrifica il dibattito sui diritti
Articolo per Il Fatto Quotidiano.
Naturalmente non la penso come Silvio Berlusconi. Non credo che la soluzione ai problemi dell’Italia – soprattutto quelli di natura economica – sia, come dice lui, “scomporre” l’Euro, ovvero: uscire dalla moneta unica. Non credo sia questa la prospettiva dalla quale si debba affrontare la crisi in cui versa il nostro Paese.
Soprattutto sono in disaccordo per le conseguenze che questo atto potrebbe avere.
Abbandonare l’Euro – non illudiamoci – comporterebbe non soltanto sgravare l’Italia da una miope e a tratti poco comprensibile – su questo concordo – politica economica generale; ma significherebbe, da parte di Bruxelles, mettere l’Italia in soffitta. Il Belpaese rimarrebbe così escluso da qualsiasi discussione avviata al di là dei suoi confini nazionali. E questo, dal mio punto di vista, rappresenta una iattura ben maggiore che non il dibattito sulla spread, i bund tedeschi e i tassi di interesse stabiliti dalla Bce.
Un’Italia fuori dall’Euro e quindi fuori dall’Europa, rischia la marginalizzazione, soprattutto sul tema dei diritti, sui temi etici e quelli morali. Rischia di non aver più alcuna voce in capitolo e rischia che le sue specificità non siano più considerate a livello globale. La nostra voce, o in alcuni casi le nostre urla (di rabbia e di aiuto), sarebbero così affievolite che sullo scacchiere internazionale nessuno le udrebbe più. Io voglio rimanere appieno nell’Europa – col suo mercato unico, un’unica Convenzione e una sola Costituzione – perché come italiana lì voglio combattere e vincere le battaglie che dico io!
Penso per esempio a quella contro i femminicidi. Che fine farebbero le “ricezioni”, nel nostro ordinamento giuridico, della tante Direttive europee contro la violenza sulle donne, che in molti chiedono e prospettano, se il nostro Paese non fosse più parte dell’Unione? Di recente la Camera ha approvato all’unanimità, la mozione unitaria che impegna il Governo ad adottare e sostenere le prescrizioni indicate dalla Convenzione di Istanbul, a tutela dei diritti delle donne.
Ma questo è solo il primo passo. In futuro ci si auspica che la legislazione italiana accolga tutta una serie di direttive che Bruxelles ha già approvato: la numero 29 del 2012, per esempio, sulla posizione della vittima nel processo, in modo che il colpevole di una violenza su una donna possa subire una pena congrua; poi c’è la numero 99 del 2011, sull’ordine di protezione europeo a favore delle vittime potenziali; e la numero 80 del 2004 sull’indennizzo alle donne violentate.
E questo è un tema. Ma non è l’unico. Io dico che voglio rimanere in Europa, per partecipare con forza a un dibattito che di recente è stato innescato dai movimenti transazionali cattolici e contro il quale è necessario battersi. Da europea, infatti, vorrei dire la mia sulla campagna “Uno di noi” (One of Us), ideata dai Movimenti per la vita di venti Paesi europei. Il 12 maggio scorso questa organizzazione ha pure celebrato una giornata europea a “favore della vita”, contro l’aborto e tutte le pratiche cliniche nei confronti degli embrioni.
Da cittadina europea, ripeto, voglio esprimere la mia contrarietà a tutto questo; ribadendo l’opportunità di difendere la legge 194 del 1978, che ha introdotto in Italia l’aborto; desidero invece esprimere tutta la mia contrarietà per la legge 40, per le inaudite restrizioni che pone in campo bioetico, così come stabilito proprio dalla Corte europea di Strasburgo lo scorso febbraio. Insomma voglio essere parte attiva di questo dibattito, ma non da un angolino sperso di un qualche paese ai margini del continente, lontano da qualsiasi tavolo di trattativa e dalla voce roca e sgraziata. Voglio dire la mia usando il megafono dell’essere portatrice d’un passaporto europeo; voglio combattere questa battaglia come parte integrante di un’Unione e all’interno di quella far la voce grossa assieme ai tanti, ai tantissimi che la pensano come me. Detto questo penso sia sterile la polemica che ogni tanto si innesca sull’opportunità di stare o non stare con Bruxelles.
L’Europa serve, perché serve al dibattito sui diritti, sui temi etici e morali e perché da soli, in fondo, non andremmo da nessuna parte!