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Legge regionale antimafia

Scritto da Franco Mirabelli.

Intervento di Franco Mirabelli all'incontro “Legge regionale antimafia. Proposte di modifica” (video).

Ringrazio per la presenza all’incontro anche il nuovo coordinatore del PD del Municipio 9, Mario Bianco, e l’Assessore Marco Granelli, per il lavoro che il Comune di Milano svolge sui temi della lotta alle mafie, soprattutto con le verifiche delle centrali appaltanti. Quella del Comune di Milano, infatti, è un’esperienza assolutamente esemplare.
La vicenda della Commissione Antimafia in Regione Lombardia è stata sempre molto complicata. Riuscimmo a istituire la Commissione Antimafia in Consiglio Regionale solo dopo che esplose lo scandalo di Zambetti e il suo arresto per l’apporto della ‘ndrangheta sui voti, nel 2013, l’ultimo anno della Consiliatura di Formigoni, prima dello scioglimento per mafia; nonostante da tempo lo chiedevamo, in quanto già prima di arrivare allo scioglimento del Consiglio, c’era una situazione inaccettabile.
Condivido le cose dette da Claudia Peciotti e Ilaria Ramoni rispetto alle modifiche da fare alla legge antimafia regionale.
Mi soffermo, quindi, sul dire cosa può e deve fare una grande Regione come la Lombardia, dove il tema della lotta alle mafie e in particolare alla ‘ndrangheta è prioritario.
Gli esponenti della mafia non sparano più non perché improvvisamente siano diventati tutti buoni o abbiano fatto corsi di non violenza.
La mafia continua a detenere degli arsenali e, quando ha bisogno, è in grado di agire con metodi mafiosi violenti, con minacce, intimidazioni. Abbiamo visto in molti Comuni attorno a Milano e anche in alcuni nostri quartieri incendi che hanno coinvolto automobili, negozi o discariche.
La scelta prevalente di non sparare messa in pratica dalle mafie, quindi, è una strategia.
L’interesse principale delle mafie oggi, infatti, è quello di riciclare gli enormi guadagni derivanti dai traffici illeciti di droga, armi, esseri umani o altro e più resta basso l’allarme sociale nei loro confronti più si rendono invisibili e riescono ad agire indisturbatamente perché il contrasto diventa difficile.
Nella scorsa Legislatura, Nando Dalla Chiesa ha fatto una ricerca sulla presenza della ‘ndrangheta in Lombardia per conto della Commissione Parlamentare Antimafia e, dai dati raccolti, è emerso che la ‘ndrangheta è insediata nella nostra Regione, in prevalenza nei piccoli Comuni del comasco, in località piccole attorno a Milano, dove non si vede e può agire suscitando poco allarme sociale.
Abbiamo bisogno, quindi, che la politica sia capace di spiegare che le mafie non sono meno pericolose anche se non sparano o non fanno le stragi. Le mafie, infatti, continuano ad agire e, anzi, oggi più di ieri c’è il pericolo di ritrovarci con l’economia legale condizionata dall’apporto di ingenti quantità di denaro di provenienza illecita e che sono sotto il controllo delle mafie.
Questa è una missione della politica.
Questo significa dire che la lotta alle mafie deve essere una priorità.
Oggi il riciclaggio vuol dire diverse cose. Grazie al basso allarme sociale, le mafie trovano anche una maggiore disponibilità da parte degli imprenditori a farsi strumento del riciclaggio a fronte di servizi che le mafie possono offrire, come mostrano diverse inchieste milanesi.
In Lombardia il problema è evidente dalle inchieste di questi anni.
La Lombardia è la quarta Regione italiana per numero di beni confiscati alle mafie e, quindi, come emerge dalle inchieste, qui la ‘ndrangheta è insediata: non è solo un problema di infiltrazioni economiche; c’è una presenza vera sul territorio.
Recenti inchieste su alcune realtà della Provincia di Como o di Varese mostrano quanto le mafie siano in grado di condizionare la vita politica e la vita sociale delle comunità.
In una fase come questa i pericoli aumentano.
Siamo in una fase in cui stiamo rischiando la terza crisi economica consecutiva, dopo quella del 2008, quella generata dalla pandemia e ora con la guerra. Nei momenti di crisi, chi ha le risorse economiche - e le mafie le hanno - può avere un potere enorme.
L’infiltrazione nei diversi ambiti, l’insediamento sui territori, l’impossessarsi di aziende e di attività economiche: questo è ciò che fanno le mafie.
Un altro tema riguarda il PNRR. L’allarme è stato lanciato più volte sul fatto che il PNRR va messo in sicurezza dal rischio delle infiltrazioni criminali, bisogna quindi prendere le contromisure e lo devono fare tutte le istituzioni, non si può delegare la lotta alle mafie solo al Ministero degli Interni.
Le mafie si presentano come agenzie che forniscono servizi, che vanno dal finanziamento al recupero crediti ecc.
Occorre, quindi, accendere i riflettori sulla provenienza dei finanziamenti, sulle società che partecipano agli appalti, sulle persone che gestiscono quelle società, su chi è in campo per acquistare immobili o esercizi commerciali in questo momento di difficoltà economica. Questo significa che occorre costruire banche dati che possano comunicare tra loro, come si sta provando a fare a livello nazionale.
Credo, invece, che Regione Lombardia su questi temi non ci sia.
La Regione Lazio ha fatto un Protocollo con la Direzione Nazionale Antimafia, con cui il Lazio si impegna a fornire preventivamente all’Antimafia tutti i dati delle società che partecipano agli appalti per il PNRR.
Questo è un fatto molto importante; è una prevenzione indispensabile; anche altre Regioni si stanno muovendo sul fronte della legalità.
Il Comune di Milano si sta muovendo insieme alla Prefettura, ad esempio per accendere un faro attraverso le banche dati che diano i dati sulle proprietà degli esercizi commerciali o i cambi di proprietà delle aziende. In un articolo di giornale si diceva che, da quando c’è il covid, sono passate di mano circa 34mila società. Su tutto ciò va acceso un riflettore, non per criminalizzare ma per essere sicuri che lì non si nascondano società fantasma, costruite su prestanomi o su capitali di provenienza illecita che possono poi condizionare la nostra economia e la nostra democrazia.
Penso che bisogna avere il coraggio politico di fare tutto questo.
Una Commissione Antimafia regionale dovrebbe essere in prima linea sul tema della diffusione delle buone pratiche e del controllo degli appalti.
La Città Metropolitana di Milano ha due centrali appaltanti in cui lavora personale specializzato e di lunga esperienza; una stazione si dedica all’urbanistica e l’altra ai servizi.
In altre realtà, ci sono piccoli Comuni che creano stazioni appaltanti in cui non c’è personale qualificato.
I tempi degli appalti a Milano sono velocissimi mentre in altri Comuni piccoli si allungano notevolmente perché non hanno personale né competenze e non sono in grado né di fare la progettazione né di fare le assegnazioni.
La Regione dovrebbe fare una centrale appaltante per ogni provincia, come il PD chiede da tempo.
Un’altra questione riguarda l’usura.
Al di là dell’aiuto alle vittime, Regione Lombardia avrebbe uno spazio molto grande sul terreno della prevenzione perché occorre aiutare anche economicamente le associazioni antiusura, che sono quelle a cui ci si può risolvere per evitare di dover ricorrere all’usuraio nel momento di difficoltà.
Su questi aspetti una Regione può fare davvero molto.
I temi di cui si dovrebbe occupare la Commissione Antimafia sono questi.
Non c’è un problema generico di cultura dell’antimafia ma c’è un problema concreto di come far capire quanto è pericolosa la mafia che mette i soldi nella nostra economia legale e nella nostra democrazia. Poi ci sono una serie di misure che si possono prendere per contrastare meglio e in maniera più efficace le mafie.

Video dell'intervento»
Video dell'intero incontro»

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