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Il genocidio degli armeni

Scritto da Emilia De Biasi.

Emilia De Biasi
Intervento in Senato per ricordare il genocidio degli armeni.
Il 24 aprile, ricorre il centenario del genocidio armeno.
In una cronaca del 1915 Giacomo Gorrini, console italiano a Trebisonda, in una intervista, che resta ancora oggi uno dei più documentati rapporti sull'eliminazione degli armeni, diceva: «Le barche cariche di gente fatte colare a picco. Gli uomini e i ragazzi finiti a colpi di accetta. E poi stupri, rapimenti delle giovani donne, schiavitù dei bambini».
I giornali di tutto il mondo erano all'epoca pieni di cronache degli eventi terribili che si consumavano all'interno dell'Anatolia. E ancora: «Circa tre quarti del popolo armeno scomparvero in Turchia nei mille modi dell'orrore.
Gli uomini furono subito uccisi, le donne», con il peso dei vecchi e dei bambini, «avviate alla morte lenta della deportazione nel deserto. Furono usati vagoni piombati, primitive camere a gas, eliminazioni collettive». È anche per questo che il genocidio armeno viene considerato il primo del secolo dei genocidi. Le parole citate sono presenti in un saggio di Antonia Arslan, la grandissima scrittrice, autrice de «La masseria delle allodole», un romanzo che andrebbe letto e studiato nelle scuole del nostro Paese. È una forma di romanzo storico dei nostri tempi che racconta quell'orrore e, ancora una volta, quella banalità del male.
L'Unione europea in questa settimana ha votato una risoluzione sul genocidio armeno; il Portogallo di recente ha riconosciuto il genocidio armeno; il riconoscimento del genocidio armeno da parte di papa Bergoglio ha scosso il mondo dall'indifferenza e aperto una nuova strada della pace e della riconciliazione tra i popoli. Perché ciò che è stato resta e non si può riscrivere.
Le parole hanno un peso grande, perché ridisegnano i contorni della memoria e impediscono che essa svanisca nella pura ricostruzione di avvenimenti. Lo dico oggi perché oggi il destino dell'umanità è comune e la pace e il dialogo devono prevalere sul passato. Per questo, cari colleghi, cara Presidente, è importante che anche la Turchia non interrompa il filo di speranza che ci lega perché la Turchia di oggi, così vicina all'Europa, non è responsabile del suo passato, ma è responsabile con tutti noi del futuro di convivenza e di pace. La lezione che ci viene dal secolo dei genocidi è definitiva: vogliamo che ciò che è accaduto non accada mai più. È per questo che ci battiamo per l'affermazione della libertà dei popoli, della dignità, del rispetto e per i diritti umani come diritti universali e tanto più oggi perché assistiamo al ritorno cruento dei fondamentalismi che distruggono i simboli religiosi, i beni culturali, vite e speranze. Il mondo delle differenze non può e non deve diventare la scena di nuove oppressioni. Lo diciamo oggi celebrando il genocidio armeno, oggi perché tra pochi giorni, il 25 aprile, celebreremo il 70° della liberazione dal nazifascismo del nostro Paese e, quindi, lo diciamo con un'intenzione di salvaguardia e di battaglia comune per la democrazia. È per questo che noi celebreremo il centenario del genocidio armeno con spirito di solidarietà e vicinanza, che sono propri del gruppo interparlamentare «Amici dell'Armenia», che ho l'onore di presiedere. Non possiamo aggrapparci alle tradizioni; non possiamo continuare a guardare al passato. Abbiamo bisogno di riaffermare i valori della democrazia, del rispetto e della convivenza e anche questo è il senso del nostro Gruppo interparlamentare.
Signor Presidente, celebrando quel fatto così terribile, quel genocidio che ha dato il via purtroppo a quello che è stato giustamente chiamato il secolo dei genocidi, in ricordo di quei milioni di morti del genocidio armeno e di tutti quei milioni di morti negli altri genocidi del terribile secolo breve che abbiamo alle spalle, per guardare al futuro e per lanciare un segnale e un messaggio di speranza, le chiedo di coinvolgere l'Assemblea in un minuto di silenzio.

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