Stampa

La riforma della Giustizia civile e penale: l’azione del Partito Democratico

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli Intervento di Franco Mirabelli al Circolo PD di Affori (video).

È utile discutere perché forse sottovalutiamo la vera portata della riforma della Giustizia.
Ci perdiamo molto nella polemica politica, con i soliti argomenti che ci trasciniamo da anni sulla giustizia e che non hanno prodotto miglioramenti, come il conflitto tra politica e magistratura, giustizialisti e garantisti. È uno scontro che trae i fondamenti nella fase del berlusconismo e che, di fatto, in questi anni, ha impedito di fare ciò che serve, cioè riformare la giustizia per farla funzionare meglio nell’interesse dei cittadini.
Questo è il tema che stiamo provando ad affrontare e lo stiamo facendo, sapendo che la riforma del processo penale e la riforma del processo civile sono due condizioni che l’Europa ci pone per accedere alle risorse del Recovery Fund.
Perché siano resi disponibili i soldi previsti per il PNRR, infatti, c’è bisogno che il Paese si efficienti e tra i settori indicati come necessari c’è la Giustizia.
Questo perché siamo un Paese in cui i processi durano tantissimo, sia quelli penali che civili; ci sono molte sedi giudiziarie (fortunatamente non Milano) in cui sono accumulati moltissimi procedimenti aperti da anni che non si chiudono e vanno smaltiti.
I cittadini hanno il diritto ad avere processi giusti e in tempi ragionevoli, sia sul penale che sul civile.
Inoltre, la concorrenzialità del nostro Paese e la possibilità di competere con gli altri Paesi del mondo è molto condizionata da queste difficoltà e da questi ritardi della Giustizia.
È evidente, infatti, che chi vuole venire a investire nell’economia italiana sa benissimo di questa situazione in cui la giustizia civile funziona lentamente e che le cause vengono risolte dopo molti anni e questo è un disincentivo che condiziona le scelte.
Un recente studio indica che le riforme del processo civile e penale possono portare da sole un aumento dello 0,2% del PIL.
Queste riforme, quindi, sono una priorità per il Parlamento.
Alla Camera dei Deputati si è votata definitivamente la riforma del processo penale mentre al Senato stiamo lavorando sulla riforma del processo civile.
Sono riforme che sono state incardinate in Parlamento durante il Governo Conte Bis, cioè i testi di base sono stati costruiti insieme a quella maggioranza e poi sono stati integrati e in parte modificati da emendamenti governativi del Governo Draghi, fatti dalla Ministra Cartabia, dopo un lungo e intenso lavoro istruttorio ad opera di commissioni di studio formate da esperti, magistrati, docenti e avvocati. Credo che complessivamente abbiano prodotto una buona riforma.
Collegandoci al PNRR, prima degli aspetti normativi, c’era bisogno anche di mettere in campo un’organizzazione della Giustizia.
Con il PNRR vengono assunti a tempo determinato fino al 2026 (perché non si può fare altrimenti con le risorse europee) 18mila persone che andranno a implementare l’ufficio del processo, utile a sostenere il lavoro dei magistrati per svolgere gli adempimenti burocratici e formali che altrimenti dovrebbero fare i magistrati stessi, togliendo tempo a ciò che invece è necessario che facciano, cioè portare i processi a termine e fare le sentenze.
Tra i 18mila assunti, quindi, ci saranno persone che daranno un contributo rispetto all’organizzazione del lavoro della Giustizia, dall’organizzazione delle sedi giudiziarie (anche fisiche) fino alla digitalizzazione, che è un altro grande tema e che, come ha dimostrato la pandemia, serve.
È previsto, quindi, un grande investimento per la digitalizzazione, sia sugli strumenti che sulle competenze per velocizzare molte cose, dal deposito degli atti fino ad alcuni processi che è possibile fare da remoto, così facendo i tempi si riducono molto.
Queste cose sono già in campo, alcune assunzioni ci sono già state in questi giorni.
Tutto questo anche per superare un altro problema che ha la giustizia in questo Paese e cioè il fatto che funziona a macchia di leopardo, con velocità diverse da luogo a luogo. Milano è una sede giudiziaria in cui sia il civile che il penale hanno tempi abbastanza in linea con quelli del resto d’Europa e hanno pochi arretrati mentre in altri tribunali ci sono arretrati di anni.
Questa è una delle ragioni per cui c’è stata l’ultima discussione, che poi si è trasformata tutta in una diatriba politica tra accuse a M5S e chi voleva toccare la riforma Cartabia.
Noi, invece, abbiamo posto un problema: non si può dire che un processo deve durare due anni in appello e poi si estingue, avendo sedi giudiziarie con scarsa funzionalità come è stato fino ad ora. Di conseguenza si sono fatti alcuni correttivi.
Per quanto riguarda la riforma del processo penale, abbiamo lavorato molto e abbiamo aiutato molto la Ministra e siamo riusciti a far approvare anche molte delle cose per cui ci siamo battuti in questi anni.
Si è parlato molto della questione della prescrizione.
Con la riforma Bonafede era stata eliminata la prescrizione dopo il primo grado di giudizio, quindi i processi avrebbero potuto anche non finire mai e questo era un errore che voleva rispondere all’esigenza di evitare che la prescrizione impedisse a molte vittime e a molti imputati di avere giustizia.
Era, quindi, necessario trovare un punto di equilibrio ed è stato trovato innanzitutto lavorando affinché ci fossero tempi certi per i processi. Questo ha implicato il tagliare i tempi della fase delle indagini e ridurre il numero delle proroghe.
Inoltre, per rinviare una persona a giudizio bisogna che ci siano gli elementi necessari. Questi sono aspetti importanti.
È previsto anche un taglio dei tempi burocratici grazie alla digitalizzazione.
Inoltre, il PM che decide di voler ricorrere in appello deve confrontarsi con il GUP, che è un giudice terzo, per verificare se ci sono o meno degli elementi reali per riuscire a cambiare la sentenza in appello.
L’appello deve durare al massimo due anni. Partendo da questo principio, siamo intervenuti affinché, per i reati comuni, il magistrato possa chiedere una proroga di un anno per l’appello e fino ad un anno e sei mesi per la cassazione (dove il tempo del processo deve essere di un anno).
Per tutto ciò che diventerà esecutivo prima del 2024 si crea una fase transitoria in cui il tempo massimo di tutto è di tre anni, per consentire alle sedi processuali che fanno più fatica di attrezzarsi per arrivare a rispettare questi tempi.
C’è poi un tema che riguarda alcuni reati gravi, che era in parte già affrontato da un emendamento del Governo. Tutti i reati che hanno una pena che arriva all’ergastolo non possono essere prescritti.
A questo si è aggiunta una giusta attenzione per i reati di mafia, terrorismo, violenza sessuale, traffico di droga, per cui il magistrato ha la possibilità di chiedere la proroga dei tempi, motivandola con il numero degli indagati, la complessità delle indagini o la stessa tipologia di reati. Questo per evitare che ci fosse il pericolo, segnalato da molti, che il reato si estinguesse per lo sforamento dei tempi processuali definiti.
Nella riforma del processo penale c’è anche una parte che abbiamo messo noi, che cerca di superare l’idea che l’unica pena e l’unica punizione sia il carcere e che l’unica strada per arrivare alla giustizia penale sia il processo. Per questo abbiamo insistito affinché si introducessero e si implementassero i riti alternativi come la mediazione, il patteggiamento, la messa in prova, la giustizia riparativa perché una serie di reati bagatellari venissero sanzionati con delle contravvenzioni.
Noi avevamo chiesto di più: avevamo chiesto che la messa in prova e la giustizia riparativa diventassero strumenti più efficaci. In Germania si usano la messa in prova e la pena risarcitoria e la sentenza resta aperta fino a quando tutto non viene fatto e, a quel punto, si estingue il reato.
Questo può avere anche una grande influenza positiva rispetto a fatti balzati alla cronaca come le violenze di Santa Maria Capua Vetere ma che avvengono in molte carceri perché c’è la necessità di ridurre le presenze in carcere e mettere in campo un sistema di punizioni che comunque rispettino la Costituzione e consentano la rieducazione, la riabilitazione e il reinserimento sociale, quindi gli arresti domiciliari, la semilibertà e una serie di norme che avremmo voluto introdurre ancora di più ma, comunque, si sono fatti passi avanti importanti.
C’è poi un altro problema aperto che riguarda la riforma del CSM. La riforma del Governo si inserisce sul lavoro già avviato dal Governo precedente, emendando la proposta.
Di fronte a ciò che è successo e che hanno riportato le cronache - la vicenda di Palamara e il fatto che quelle vicende abbiano di fatto screditato la magistratura, che è un organo costituzionale per noi fondamentale – era evidente che ci fosse bisogno di una riforma del CSM.
Il tema principale credo che sia quello di riuscire a fare in modo che non siano sempre i giudici a giudicare i giudici stessi. Bisogna, quindi, costruire la possibilità di costruire un tribunale terzo. So che per questo servirebbe una riforma costituzionale ma già con la proposta che abbiamo fatto per la riforma del CSM c’è la possibilità di distinguere bene chi fa una cosa e chi ne fa un’altra ma sappiamo che c’è un problema di recupero di credibilità da parte della magistratura.
C’è poi la riforma del processo civile su cui stiamo lavorando e che è molto più tecnica ma forse sarà più facile da fare perché non dovrebbe essere oggetto di significative polemiche politiche e comporta una serie di scelte che cambiano in maniera significativa le abitudini di chi lavora.
Tutti si lamentano del fatto che la giustizia non funziona ma appena si dice che occorre lavorare in un altro modo si creano fibrillazioni.
Il tema in questo ambito sono gli uffici del processo e le persone che affianchino i giudici, in quanto il problema fondamentale del processo civile è che non ci sono abbastanza giudici per smaltire tutto il lavoro che c’è da fare. I giudici sono fondamentali per scrivere le sentenze ma se fanno una serie di altre cose, è evidente che si creano ritardi. Con la digitalizzazione, gli uffici del processo e le assunzioni abbiamo cercato di fare in modo che i giudici possano dedicarsi di più a emettere sentenze.
Abbiamo dato la delega al Governo affinché stabilisca il principio per cui una parte di cause civili vengano discusse dal giudice di pace: oggi il limite per quelle cause è di 5.000 euro, la proposta è di portare il limite a 30mila euro. Anche questo serve per aumentare il numero delle cause che possono essere risolte in tempi brevi.
Un altro tema è quello dell’incentivare la mediazione e fare in modo che le cause civili che vadano a giudizio siano il meno possibile.
C’è anche la scelta di dare incentivi fiscali a chi sceglie la strada della mediazione e disincentivare il fatto di andare a processo non solo economicamente ma anche rispetto ai tempi.
Questo è ciò che si sta facendo sul processo civile.
La digitalizzazione è un tema fondamentale. Nel processo penale è più problematico, alcuni ritengono sbagliato l’ascolto dei testimoni da remoto, ma sul civile è diverso.
Tutto è fatto per accelerare i processi.
Ci sono poi una serie di norme che riguardano il diritto di famiglia ma è evidente che su questo il rischio è di faticare a trovare l’accordo. Credo, quindi, che materie come queste possano essere messe fuori, in quanto non servono ad accelerare i tempi del processo, e possono poi essere affrontate in altro modo.
Probabilmente ci sarà qualche settimana di polemica su questo ma penso che il tema sia soprattutto quello di accelerare i tempi, almeno sul civile. Digitalizzazione e uscire dall’idea che tutto si risolva andando a processo perché ci sono riti alternativi, come la mediazione, sono i temi cardine su cui credo che si stia facendo una buona riforma della giustizia.
Con i referendum si vuole ributtare indietro la discussione, si vuole colpire i giudici, si torna allo scontro tra garantisti e giustizialisti. Non credo che sia questo che serva al Paese ma credo che servano soldi, persone e norme che facciano funzionare la giustizia non nell’interesse del politico o del magistrato ma nell’interesse dei cittadini.

Video del primo intervento» 

La giustizia è stata un terreno di scontro politico sempre, su cui si riversano anche sensibilità politiche diverse.
Sono molto contento del fatto che sia stata tolta una norma che era contenuta nella prima fase in cui si diceva che il Parlamento avrebbe dovuto definire una sorta di scala di priorità di anno in anno a cui i magistrati dovevano attenersi per scegliere tra i reati che avevano di fronte quali perseguire perché penso che questo in generale non sia utile, tanto meno nel nostro Paese.
Ci sono Paesi anglosassoni in cui è la politica o addirittura lo sceriffo a decidere quali sono i reati da perseguire e quali no. Penso che questo sia sbagliato ma ci sono sensibilità diverse.
Io condivido il fatto che si debba fare più attenzione ai reati di mafia, terrorismo, corruzione, riciclaggio e su questo la norma garantisce che venga evitato che si estinguano ma capisco che anche su questo ci sono alcuni che pensano, invece, che i reati contro la Pubblica Amministrazione - come concussione e corruzione - siano reati che hanno a che fare con la magistratura che assume un ruolo improprio perché vuol controllare la politica. Io contesto questa idea e continuo a combatterla ma c’è.
Mentre PD e M5S avevano posto la questione dei reati di mafia e terrorismo, qualcuno aveva presentato un emendamento per abolire il reato di abuso d’ufficio.
Io penso che i nostri amministratori vadano salvaguardati ed è vero che c’è un eccesso di discrezionalità rispetto all’uso di questi reati ma la concomitanza delle richieste nostra di attenzione alle mafie e di altri di togliere reati lascia perplessità.
Penso che purtroppo la giustizia è stata troppo terreno di scontro politico nel nostro Paese. Adesso siamo in una situazione favorevole per fare una riforma perché abbiamo le risorse economiche (che arrivano dall’Europa), abbiamo un Governo con una maggioranza amplissima e abbiamo una brava Ministra. Penso, quindi, che la riforma della giustizia si possa fare.

La riforma non entra nel codice penale. Rispetto alle questioni del carcere, c’è un tentativo di mettere in campo più riti alternativi e il creare una cultura diversa ma l’arresto preventivo è legato a fatti precisi che sono giudicati da un giudice terzo. Si può impedire al magistrato di fare conferenze stampa, mettere qualche norma a tutela degli indagati e degli arrestati.
C’è una carenza di personale in carcere in generale. Abbiamo fatto le assunzioni degli agenti di polizia ma c’è un problema drammatico di dirigenti: mancano i direttori, alcuni devono dirigere più carceri con risultati scarsi e poi c’è un problema che riguarda gli assistenti sociali e gli educatori.
Con i fondi europei, però, non si possono assumere persone a tempo indeterminato; quindi, possiamo provare a verificare se è possibile aumentare le assunzioni nella sessione di Bilancio, come è stato fatto nella scorsa Legge di Bilancio per assistenti sociali e educatori che si occupano del trattamento esterno. Lì era stato fatto uno sforzo, probabilmente non sarà sufficiente.
Sul fronte del carcere si era aperta una discussione. Fino ad ora l’abbiamo avuta vinta noi ma con il Governo giallo-verde c’era stato un tentativo di delegare tutto questo aspetto alla polizia penitenziaria, creando confusione e problemi perché se educatori e assistenti sociali che seguono i detenuti all’esterno vengono percepiti solo come dei controllori viene meno la funzione educativa. Su questo, fino ad ora siamo riusciti a spuntarla, speriamo che non ci sia un rigurgito di questa vicenda.

Video del secondo intervento» 

Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook

Pin It