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Il diritto alla cittadinanza e al lavoro

Scritto da Rosario Pantaleo.

Rosario PantaleoArticolo di Rosario Pantaleo.

E’ di ieri la notizia del reintegro di un lavoratore (e 17 altri suoi colleghi) facenti parte di una cooperativa che era impegnata all’interno dell’Istituto Palazzolo di Milano. Reintegro deciso, due mesi fa, da una sentenza del Tribunale del lavoro di Milano. Questo lavoratore (e i colleghi) era stato licenziato perché avrebbe leso l’onorabilità della casa di riposo e cura intervenendo sui media per reclamare condizioni di sicurezza all’interno della struttura all’inizio della pandemia in quanto, questo il punto critico, veniva sottolineata la mancanza di interventi a difesa degli ospiti, soggetti fragili, e dei lavoratori. La sentenza indica, invece, che quello espresso dai lavoratori non solo non è imputabile ma, anzi, era un dovere.
E se ciò era un dovere, si presume che altri non hanno adempiuti ai propri. E questo è doppiamente grave in quanto si è cercato di allontanare chi aveva espresso una legittima preoccupazione a vantaggio di tutti. Come poi sia finita lo sappiamo tutti con migliaia di decessi nelle case di riposo per mancato uso di dispositivi di protezione ed altre mancanze che la magistratura sta vagliando. Ci vorrà tempo ma a qualcosa si arriverà per fare chiarezza sul perché, in quei giorni del primo lockdown, quanto la conta dei morti era, quotidianamente, di centinaia e centinaia, non si è fatto tutto ciò che era umanamente possibile per proteggere i soggetti deboli nelle case di riposo. E le tante interviste fatte a componenti del personale sanitario (generalmente camuffate per paura di ritorsioni) sono lì a testimoniarlo. Questo tema è simmetrico a quello delle morti sul lavoro dove ci è chiaro che un agente di pubblica sicurezza che opera sulle volanti o in ambiti esposti possa, quotidianamente, avere “incontri” pericolosi; fa parte del lavoro e chi lo compie sa che potrebbe vivere momenti spiacevoli e a rischio di morte. Ma morire in una fabbrica, in un campo agricolo, in una officina, in un cantiere…no, questo non è più accettabile. Nel 1962 (!) Dario Fo e Franca Rame, che presentavano “Canzonissima” (incredibile, ma così è…) vennero allontanati dalla RAI a causa di un monologo, censurato, che parlava proprio delle morti sul lavoro…Sono passati ben 60 anni e la situazione parrebbe non cambiare, nonostante leggi e normative stringenti che, però, non sembra fare la differenza. Si può morire in una officina ma, anche, non usando i dispositivi di protezione. E se per quanto accaduto un anno fa qualcuno adduce scuse quali la mancanza di questi dispositivi o l’ignoranza sulla forza del virus, oggi il mancato rispetto delle regole all’interno di luoghi di lavori ristretti, con poca circolazione d’aria non è superficialità bensì atto deliberato di attacco alla salute dei lavoratori che, talvolta, dovrebbero ribellarsi e denunciare quanto accade. Ma per farlo dovrebbero avere la sicurezza di essere tutelati dagli organi di garanzia e controllo quali INAIL che, però, segnala di avere pochi ispettori e che la cadenza media degli stessi, in Lombardia, sarebbe di una ispezione ogni vent’anni…Se questo dato corrispondesse al vero, non sarebbe difficile pensare ad una complicità dello Stato per queste morti. Tante la ragioni per queste risorse limitate ma, alla fine, il risultato è sempre lo stesso: si muore sul e di lavoro, si muore giovani, si muore per stipendi di basso livello, si muore per sopravvivere. Ma il diritto alla cittadinanza e al lavoro, allora, dov’è…?
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