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Una riflessione sul Partito Democratico

Scritto da Rosario Pantaleo.

Rosario PantaleoArticolo di Rosario Pantaleo pubblicato da PDMilano7.

a situazione, improvvisa (o improvvisata…?) che ha portata all’elezione bulgara di Enrico Letta rende necessaria una riflessione non superficiale su quanto accaduto. Il nuovo segretario è persona riconosciuta come seria, metodica, leale, preparata, colta, certamente non banale, politicamente accorto, riconosciuto a livello europeo per la sua conoscenza dei meccanismi di funzionamento del sistema e per le sue doti di mediazione. Un politico serio e che garantisce sicurezza nei contenuti e nello stile…Ma il problema non è Enrico Letta ma l’universo chiamato PD (anche se a suo “carico” vi è l’intervento per la soppressione del finanziamento pubblico ai partiti che li ha resi deboli e fragili di fronte alla necessità di farli funzionare in maniera efficace, senza diventare preda di bisogni a cui si va a sopperire con sistemi “originali”.
Se i partiti sono il punto di riferimento della società e raccordo tra questa e le Istituzioni allora devono essere messi nelle condizioni di poter funzionare senza ansie per i propri bisogni e dipendenti).
Ma perché il PD ha bisogno, di nuovo, di un salvatore della Patria? Perché è stato richiamato un politico, seppure di spessore, che sette anni fa venne estromesso dal Governo con votazione quasi unanime della direzione del PD dietro diktat di Renzi che, in quell’occasione, rese evidente non la sua statura di leader ma la sua capacità d’essere persona (non solo politico) senza scrupoli? E oggi chi votò per la sua estromissione è stato, probabilmente, tra coloro che lo hanno richiamato al servizio del PD votandolo praticamente all’ unanimità. Di più: perché il nostro Paese ha sempre bisogno di un salvatore della Patria? Si chiami Napolitano, con la sua elezione bis, a tempo. Con la designazione di Monti a primo ministro estromettendo Berlusconi con lo spread a 580. Ora con Mario Draghi visto come il Messia…Che cosa non funziona nella nostra democrazia? Che cosa non funziona nel PD che dal 2007 ha divorato Veltroni, Franceschini, Bersani, Renzi (durato, in due momenti differenti, quattro anni), Martina, Zingaretti. Con, in aggiunta, due reggenze (Epifani ed Orfini). Dov’è il baco che rode, lentamente, ma con metodo, il PD? Un partito capace di dimezzare il proprio consenso perdendo in dieci anni circa 6,5 milioni di voti…? Un partito che, pur non vincendo le elezioni, è al Governo da circa undici anni e, nel frattempo, non si è accorto che il ponte Morandi (un esempio monstre) rischiava di cadere, che le nostre infrastrutture sono alla frutta in molte Regioni, che l’ILVA pare un problema irrisolvibile, che il Piano Pandemico era fermo al 2006? E’ possibile affermare che se le cose non funzionano è sempre colpa degli altri…? E’ possibile che, talvolta, i Ministri del nostro partito non riescano a guardare oltre quello che gli accade intorno costruendo politiche di lungo respiro…? E poi, rileggendo i nomi dei precedenti segretari dobbiamo constatare che Veltroni e Martina “fanno altro” rispetto al partito mentre Bersani e Renzi non sono più nel PD…Certamente situazioni che lasciano perplessi i militanti, gli iscritti, gli elettori.
Inoltre viene da pensare al fatto che Zingaretti, il segretario eletto con circa il 65% dei voti nel marzo del 2019 si dimetta a mezzo stampa e non si apra un dibattito nel partito per capire le ragioni di questa decisione e ci si accontenti della sua presenza a Canale 5…Perché lui, il gruppo dirigente, la segreteria, non si sono impegnati in una discussione ampia, seria, matura, aperta, per comprendere le sue ragioni e metterle a disposizione degli iscritti e non solo della stampa e delle tv. Le dimissioni di un segretario di un partito come il PD non possono liquidarsi come una porta che si chiude all’improvviso.
Al di là di ciò leggendo le “Tesi” di Letta non ci si può non trovare d’accordo, anche se l’assenza del tema lavoro e di quello sanitario lasciano un po’ perplessi. Ma se andiamo a leggere le Tesi dei precedenti segretari come si faceva a non essere d’accordo, almeno nell’impianto generale dei contenuti. Ma poi…? Dal dire al fare…ci sono le ragioni dei vari naufragi. Allora che cosa non ha funzionato? Chi ha continuamente frenato? Oppure nessuno ha frenato ma, invece, erano i programmi ad essere inattuabili oppure, gli stessi, non hanno mai visto prendere il largo rimando enunciazioni di principio senza radicamento nella società? Perché abbiamo una pubblica amministrazione disastrata, delle sedi in cui espletano le loro attività spesso fatiscenti, vecchie, poco funzionali? Chi è che rema contro oppure chi è che non è capace di fare il proprio lavoro? Perché di grandi enunciazioni siamo colmi ma poi non riusciamo a portarle, in maniera concreta, nella società. Perché se si vogliono vincere, bene, le elezioni, ciò che conta sono i fatti. E i nostri elettori, evidentemente, di questo assunto se ne sono resi conto e, infatti, negli ultimi anni si sono rivolti al M5S (o alla Lega…). Con risultati non proprio esaltanti per ex elettori del PD ma, intanto, questo ha fatto si che nel 2018 si attuasse l’accordo tra M5S e la Lega con le note conseguenze…
Ma se facciamo un passo indietro devo dire che siamo partiti bene ma poi…
Abbiamo inventato le primarie (anche se, in realtà, furono i DS a mettere in campo questo strumento) e nel 2005 votammo, con questo sistema, Romano Prodi candidato del centrosinistra – L’Unione – alla presidenza del consiglio. Andarono ai seggi 4.311.000 elettori. Fu un trionfo di popolo e di passioni. Ma poi…Nel 2007 Veltroni venne eletto primo segretario del PD con 3.554.000 voti. Meno di Prodi, ma non pochi. Nel 2009 il segretario del PD diventò Bersani che prese 3.102.00 voti. Nel dicembre del 2013 diventò segretario del PD Renzi con 2.814.000 voti. Renzi replicò nel 2017 con 1.848.000 voti e Zingaretti, nel 2019 raccolse 1.582.000 voti. Da questa lettura si può evincere che ogni nuova edizione delle primarie ha visto la discesa delle presenze ai seggi. Cosa che si è poi riflessa anche nella diminuzione dei voti nelle urne (pur rimanendo forza di governo per ben undici anni “potendo” dire: “sì, non abbiamo fatto quello che volevamo perché non eravamo né soli né quelli con maggiore forza dei numeri…”). Ma le primarie per eleggere il segretario hanno ancora senso? Per me no. A mio avviso le primarie avrebbero dovuto essere svolte la prima volta, come elemento popolare e di immagine. Qualcosa che diventasse tra gli elementi fondativi del PD. Ma dopo quel momento si sarebbe dovuto passare ad altro metodo: il congresso che, partendo dalla discussione nei circoli, radunasse i delegati che a loro volta andavano ad eleggere il segretario e il gruppo dirigente della segreteria a seguito di una linea politica di indirizzo ben precisa, contendibile prima, condivisa poi. E aggiungo che l’Assemblea Nazionale, dopo l’atto fondativo del nuovo partito, dopo la definizione del suo statuto, dopo averlo “svezzato” per i primi passi avrebbe dovuto essere sciolta rimettendo tutte le sue funzioni ai vari congressi che si sarebbero succeduti nel tempo. Dal punto di vista mediatico la costituzione dell’assemblea nazionale ha fatto il suo effetto ma ora, dal punto di vista pratico, ha fatto il suo tempo.
Ma è solo questo che non va nel PD…? Certamente no: il vulnus più grande, quello che fa la differenza tra un partito istituzionale e un partito di massa interclassista è il popolo. La Lega si è intestata gli industriali del nord, i professionisti, le partite IVA, i commercianti, gli operai (Terni e le sue officine l’esempio forse più clamoroso). Insomma, i leghisti hanno dalla loro parte una parte importante e variegata di “popolo”. Non più nelle valli Bergamasche, non solo in Veneto e in Piemonte ma in tutto il Paese. Noi non più. Anche la Meloni, con il suo stile poco signorile, si è presa una fetta di popolo. Noi sappiamo bene che molte delle loro proteste e proposte sono oggettivamente fasulle e ben poco si concilieranno con la realtà, basti pensare a quota 100 usata solo da 350 mila lavoratori e che non ha portato ai benefici di nuovi posti di lavoro. Perché se è vero che i lavoratori escono dal mondo del lavoro non altrettanto vero è che saranno rimpiazzati perché i datori di lavori, magari, pensano al pensionato come un onere in meno e distribuiscono il lavoro sugli altri dipendenti. Magari aumentando carichi e orari e non pagando gli straordinari. Tanto chi controlla….?
Parlando di lavoro, inoltre, mettiamo un velo pietoso sul jobs act e sulle ricadute a carico dei lavoratori. E mentre noi ci illudevamo che il popolo fosse quello che accorreva ai gazebo delle primarie (ma non era e non è così) la società ed il Paese si trasformava. Non necessariamente in meglio ed in seguito abbiamo compreso che quello ai gazebo era ed è una parte della società. Con tanti pensionati che, anche in maniera limitata, una garanzia la possiedono: la pensione. Ma in tanti, quelli che dovrebbero guardare al PD come un elemento amico, con una forza ideale, politica ed istituzionale, capace di garantire diritti e dignità, purtroppo guardano e votano altrove. E, magari, non votano proprio ormai delusi da tutti. Noi alcuni dei passaggi critici del dopo berlusconismo non li abbiamo compresi a sufficienza perché, altrimenti, non si spiegherebbe il successo di due partiti populisti come la Lega e Fratelli d’Italia, un tempo divisi da retaggio storico (Bossi, pur ricordando che tipo di personaggio fosse, ha sempre rivendicato le radici antifasciste della sua famiglia mentre Salvini ha fraternizzato con Casa Pound…) e di quello del M5S che, a detta di Grillo, avrebbe dovuto aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno e che, parole di Di Maio, avrebbe sconfitto la povertà. La realtà prima, il realismo di Conte durante e la pandemia poi hanno reso possibili spiragli di logica e consapevolezza che hanno fatto diventare il M5S meno chimerico e più attento ai dati di realtà la quale non la si può piegare alle proprie voglie. Come ci hanno insegnato da bambini…
Ma noi il popolo, almeno in questa fase, lo abbiamo perso: partito di governo e quindi di comando e quindi delle “stanze dei bottoni” da cui sfuggono i contorni del vivere comune. Il mutuo, la scuola, il precariato, le file infinite negli uffici pubblici, la burocrazia che ti uccide, una tassa non pagata che diventa un’odissea, il lavoro perso, il lavoro che non arriva, i concorsi attesi e poi rinviati. Il cashback…un’ottima idea per fare rientrare denaro nelle tasche degli acquirenti. Giusto, certo. Ma quale il vantaggio per chi non compra…? Non per mancati desideri ma perché non ne ha le possibilità…Possibile che si sia pensato ai garantiti e non a chi, invece, garantito non è? Mai immaginato che il cashback avrebbe potuto andare, ad esempio, un percento all’acquirente ed un percento ad un fondo di solidarietà, magari gestito insieme dallo Stato e da, ad esempio, un soggetto come la Caritas, per provvedere ai bisogni immediati di chi non ha, di chi non può, di chi rischia di non essere più…? Noi, il popolo del PD, nel 2008 prendemmo 13 milioni di voti. Nel 2018 ne abbiamo presi 6,5 milioni di voti. Al netto delle vicende recessive, pandemiche, internazionali, pensiamo di aver fatto sempre tutto quello che andava fatto? Pensiamo che il gruppo dirigente, che poi è sempre lo stesso, sia stato immune da errori…? Zingaretti sarà anche stato eccessivo nel dare una sorta di marchio di infamia al gruppo dirigente ma, in fondo, forse qualche ragione la possedeva anche se la brutalità dell’uscita ci ha fatto ulteriore male arrivando all’elezione da ultima spiaggia di Letta che da sette anni aveva iniziato “a fare altro”. Questo non è un buon segno.
Così come non è stato un buon segno avere a capo del governo presidenti del consiglio diventati tali senza essere passati per il voto popolare (Monti, Renzi, Conte, Draghi). Questo a maggior disdoro del valore dei partiti nell’essere parte attiva, riconosciuta, indispensabile della realtà democratica ed istituzionale del Paese.
Forse il PD non è mai riuscito (almeno fino ad oggi) ciò che avrebbe voluto diventare perché non ha avuto il coraggio, quando ha potuto, di cambiare radicalmente la struttura dello Stato. Ci si è, magari, giustamente rivolti a situazioni contingenti lasciando sullo sfondo il monolite dello Stato nella sua integrità, la burocrazia della Pubblica Amministrazione che è una grande gorgo che tutto ingoia, tutto trasforma lasciando uguale a se stesso, conservandosi nei decenni. Come ben aveva spiegato quel manuale di “conservazione” che è “Il Gattopardo” che nel dire di cambiare tutto alla fine lasciava tutto come stava, senza nessuna remora o paura d’essere giudicati in quanto, per quieto vivere, il sistema aveva inglobato, come un blob senza fine, coloro che avevano immaginato di trasformare ciò che, in alcuni ambiti, è ancora governato da Regi Decreti…Ricorre in questi giorni l’anniversario dei 160 anni dell’Unità d’Italia ma se pensiamo a certe astuzie burocratiche o al caporalato ancora imperante ci dobbiamo chiedere se tutto è stato fatto come si doveva. Ovviamente non è mica tutto colpa del PD, ma noi sentivamo e sentiamo d’essere parte di una tradizione straordinaria che non vuole essere parte della conservazione ma della trasformazione. Se nelle nostre radici ci sono persone come Giuseppe Di Vittorio o Giuseppe Dossetti, se ci sono le rivolte popolari e partigiane, se c’è la ribellione al terrorismo e alle mafie non possiamo non essere realmente rivoluzionari non nelle parole ma nei fatti. Una rivoluzione che si compie dove si governa, senza tatticismi o “accordicchi” ma con la radicalità di chi sa di non avere troppo tempo da spendere e deve fare tutto presto e bene e non tergiversare in attesa di chissà quale condizione migliore o di favore. Per sé ma non per la società.
Ma il ritorno di Letta, voluto (o, almeno) non ostacolato, da chi lo ha estromesso, a suo tempo, dal governo che presiedeva, come si pone nello sguardo verso il futuro del partito e dello scenario politico del Paese? Prendiamo alcune delle frasi più riportate dalla stampa…
“Progressisti nei valori, riformisti nel metodo e radicali nei comportamenti tra di noi”.
Credo che questo sia un concetto che dovrebbe essere noto a tutti gli iscritti del PD.
“Noi come il Pd abbiamo il dovere di esserci, non con lo sguardo al nostro ombelico ma nella società”.
Questa mi pare un’esortazione importante per riprendere un cammino interrotto verso quel popolo a cui dobbiamo saper indirizzarci.
“Noi non dobbiamo essere la Protezione civile della politica, cioè il partito che è costretto ad andare al potere perché sennò gli altri sbandano. Perché se lo facciamo diventiamo il partito del potere. Si vincono le elezioni se non si ha paura di andare all’opposizione”.
Anche questo credo sia un concetto logico e che denota una conoscenza e consapevolezza delle proprie risorse. Ma necessita, però, però della conoscenza di come la società, tra una elezione e l’altra, si è, nel contempo, trasformata.
“Dobbiamo fare un partito che abbia le porte aperte. L’apertura sarà il mio motto: spalanchiamo le porte del partito”.
Questa operazione la propose Pisapia con la sua idea di “Campo Progressista”. Alla fine lasciò perdere per sfinimento: ciascuno voleva le sue bandierine non pensando al Noi ma solo al proprio ritorno di partito, movimento, gruppo dirigente che fosse…
“Il dialogo sociale è venuto meno, riaprirò un colloquio con i rappresentanti delle imprese e dei corpi intermedi. Dobbiamo riaffermarci come partito della prossimità sui territori. Siamo diventati il partito della Ztl, dobbiamo sfidare la Lega sul territorio. Il territorio sarà il nostro campo da gioco. Darò a un membro della mia segreteria la responsabilità delle politiche di Prossimità”.
Di ciò ci faremo memoria. Perché tanto PD territoriale questo concetto lo ha compreso. Magari “a Roma” no. O non ancora…
“Dobbiamo pensare che abbiamo vinto e governato quando abbiamo fatto coalizione. Quando siamo andati per conto nostro abbiamo perso. 1996 e 2006, eravamo guidati da Prodi. La coalizione è fondamentale: io ci credo. Ad aprirsi ci si guadagna sempre. Dobbiamo costruire un nuovo centrosinistra, su iniziativa e leadership del Pd”.
Questo è un elemento importante se si sviluppa il concetto di cosa sia il centro sinistra. Di quali valori deve essere intrisa la politica che vuole farsi governo. Di come realtà variegate che oggi popolano l’agone politico possono essere coniugate con concetti capaci di raggiungere i meno garantiti attraverso un welfare giusto, con la trasformazione ambientale, con la digitalizzazione a portata di tutti, con una sanità a misura di bisogno, con una politica efficace sul lavoro, con la radicale trasformazione del fisco e la razionalizzazione di leggi e decreti che servono solo a non cambiare nulla e rendere la vita difficile a tutti. Coniugare idealità del socialismo e della storia del movimento comunista italiano (soprattutto quello della segreteria berlingueriana), con un laburismo europeo intriso di inevitabile cultura cattolica che, al suo interno, contiene spunti e suggestioni non eludibili (come ben insegna Papa Francesco).
“Dobbiamo essere il partito dei giovani. Se non riusciremo a coinvolgere i giovani io avrò fallito il mio obiettivo. Voglio mettere in piedi una Università democratica, mettere insieme tutte le energie e le forze che dobbiamo avere. Partecipazione per me è la parola chiave”.
La gioventù, in sé, non è un merito né un valore. E’ una possibilità perché il tempo gioca a favore. Ma senza l’esperienza il rischio è di spenderla male. Il PD deve essere capace di diventare come una fucina artigiana: chi ha esperienza insegna, non si mette da parte ma lascia spazio…
“…mettere insieme l’anima e il cacciavite”.
La teoria e la prassi gramsciana rimangono un valore. Come i proverbi del “dire e fare” o “parole ed opere” del cristianesimo. Senza pensiero l’azione non sarà mai adeguata. E senza azione il pensiero rimarrà sterile. Che si dia vita, allora, a modalità di elaborazione di un pensiero politico sulla società capace di tradurre in azioni ciò che si è immaginato e discusso.
“Io metterò al centro” il tema delle donne: è “assurdo” che sia un problema”.
Credo che il mettere al centro le donne sia un dovere. Ma se solo per avere una parità di posti la strada è quella sbagliata. La battaglia è nel riconoscere opportunità alle donne così come le hanno gli uomini. Questo è un valore aggiunto, non la semplice conta degli spazi da mettere a disposizione. E poi la tutela delle donne nella loro debolezza e per le persecuzioni maschili. Che cambino le leggi per difenderle quanto più possibile e per punire in maniera rapida i loro assassini. Magari eliminando il rito abbreviato per determinati reati.
“Voglio rilanciare lo Ius soli” e “Vorrei portare la questione del voto a 16 anni”.
Entrambi due temi delicati, il primo in particolare, sui quali mi piacerebbe ci fosse una discussione nei circoli in quanto le due proposte andrebbero ben illustrate, discusse e, possibilmente, condivise.
“Centomila morti ed è scesa la speranza di vita, drammaticamente e per la prima volta nella storia recente del paese, la solitudine, lo smarrimento, le famiglie che hanno perduto i loro cari. Il mio pensiero va al personale sanitario, ai rappresentanti dello stato, la loro dedizione è stata ed è fondamentale”.
Su questo tema andrà fatta una riflessione seria e profonda per la modifica del sistema sanitario e per la giusta retribuzione a coloro che operano sempre in prima linea come medici ed infermieri. Perché la retorica dell’eroe a 1.200. euro al mese ha stufato…
“Penso al mezzo milione di italiani che hanno perso il lavoro, a loro noi guardiamo cercando le migliori soluzioni per il loro futuro”
Questo è il grande tema che va affrontato seriamente, rapidamente, con cognizione di causa e con l’apertura al futuro inteso come riconversione dell’industria e della produzione nella sua più ampia accezione.
Questi alcuni spunti che ho voluto scrivere, per non perdere il filo del discorso. Una visione tratta da incontri con amici e conoscenti che, passata la stima personale, mi dicono che non voteranno più PD per la delusione cocente subita e se 6,5 milioni di elettori hanno scelto altri una ragione ci sarà: non possiamo dire che tutti costoro sono elettori che sbagliano… Credo che per troppo tempo abbiamo ascoltato una narrazione che ci “consolasse” ma poi, la storia insegna, arriva uno “affamato” e ti porta via quello che pensavi fosse consolidato nel tempo. La storia di Lega, M5S, FdI è ben eloquente…Non possiamo più accontentarci delle tradizioni storiche e, per alcune, epiche da cui le componenti del PD provengono ma dobbiamo fare come Cortez il conquistatore che bruciò le navi con le quali lui e i suoi soldati erano sbarcati nel nuovo mondo. Potevano andare solo avanti. Dovevano guardare solo avanti facendo affidamento sul coraggio e sull’esperienza guardando al campo aperto, imparando giorno per giorno a sopravvivere fino a consolidare i punti miliari della loro conquista. Noi non apparteniamo, ovviamente, a quella categoria umana ma dobbiamo conquistare il popolo, dobbiamo esporre concetti, esprimere azioni con le quali si riconosca chi difendiamo, che tipo di società vogliamo, quali sono i valori per i quali vale la pena combattere. Dobbiamo chiarirlo a noi stessi, esprimerlo dove siamo chiamati a farlo e dare il nome alle “cose”, ai concetti, alle azioni. Nomi semplici ed immediati che siano comprensibili a tutti perché se gli altri ne capiscono il senso e gli obbiettivi significa che quel popolo tornerà a bussare alla porta perché vedrà il PD testimone di onestà e libertà intellettuale, capace di affrontare i problemi della società e della sua sempre maggiore complessità, in grado di “cum-patire” chi è nei gradini più infimi della scala sociale, in grado di sapere parlare tutti i linguaggi della modernità per indirizzarla, come direbbe il filosofo Maritain, verso un umanesimo integrale che sia capace di non perdere nessuno, che comprenda le ragioni e le paure di giovani ed anziani. Le radici del PD sono profonde, il problema è che il PD non le cerca più con la necessaria attenzione. Esiste un centro studi? Esiste una elaborazione strutturata della società pensata, immaginata, sperata dal PD? Abbiamo pensato a come dovrebbe essere la scuola in funzione della società che verrà? Siamo capaci di pensare a costruire filiere di studio, scoperta, scienza in cui dovranno costruire le filiere della trasformazione ambientale…? Siamo in grado di generare un pensiero economico che, come lo studioso Piketty, sia capace di leggere il lavoro al tempo del digitale fino a giungere, magari, alla distruzione del lavoro salariato e subordinato per dare vita ad un altro genere di società economica che tenga conto del PIL ordinato con altri parametri di valutazione…
Le domande sarebbero molte altre ma se siete giunti fino a questo punto significa che ne avete molte da spendere anche voi…
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