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Garantire a tutti la salute

Scritto da Carlo Borghetti.

Carlo BorghettiArticolo di Carlo Borghetti pubblicato da DeltaEcopolis.

Lo sviluppo della pandemia da Coronavirus sta inducendo anche nel nostro Paese a profonde riflessioni sui cambiamenti necessari in tutti i settori delle politiche pubbliche, a partire innanzitutto dal servizio sanitario. La tutela della salute in Italia è materia “concorrente” tra Stato e Regioni, ai sensi della Costituzione, ma proprio questa pandemia ci ha rivelato una volta per tutte che la salute non è cosa circoscrivibile in confini territoriali, e non va più intesa solo come “bene comune”, ma come “bene comune globale”, perché la salute di ciascuno di noi dipende da quella di tutti quelli che vivono intorno a noi, ma oggi dipende persino dalla salute delle comunità più remote del globo, come mai era successo nella storia che sta alle nostre spalle.
Una prima riflessione, quindi, si impone sulla necessità di un rafforzamento della Organizzazione Mondiale della Sanità, in autorevolezza e autonomia, perché possa essere più ascoltata e influente sugli Stati, molti dei quali hanno mostrato scarsa attenzione verso i suoi pronunciamenti anche in questi mesi così drammatici. Una seconda riflessione riguarda poi la necessità che l’Unione Europea, pena anche la sua credibilità e il suo destino, assuma presto un ruolo importante di indirizzo e coordinamento degli Stati membri rispetto ai singoli sistemi sanitari, un ruolo nuovo tutto da pensare e implementare: la vicenda della cooperazione europea messa in atto per dare impulso alla creazione, all’acquisto e alla distribuzione dei vaccini anti-Covid ci fa sognare rispetto a quanto un “sistema sanitario europeo” potrebbe fare per accelerare la creazione di nuove terapie che sconfiggano malattie ancora più o meno inguaribili, come i tumori, l’Alzheimer o la sclerosi multipla, per citarne solo alcune.
Sul piano nazionale una riflessione fondamentale va fatta sul ruolo insostituibile della sanità pubblica, in contrasto con tutte le continue spinte alle privatizzazioni: in questi mesi è il Servizio Sanitario Nazionale, istituito nel 1978, che ha fornito gli strumenti e i binari su cui convogliare le azioni per la presa in carico di chi è stato colpito dal virus e salvare vite umane. Ma questa sanità pubblica, che doveva mettere la prevenzione al centro, è stata indebolita per decenni, inficiando i principi cardine su cui si doveva basare: non lasciare indietro nessuno, raggiungere tutti i territori, essere efficace.
Oltre a quanto il governo sta ora facendo, è necessario dunque pensare a un maggiore sostegno del Servizio Sanitario anche dopo la pandemia, al di là dei fondi europei emergenziali che arriveranno, e non si deve più parlare di “spesa sanitaria”, ma di “investimento”, prioritario e strategico per il Paese, rivedendo i vincoli sull’assunzione del personale, che hanno portato sotto organico in questi anni ospedali e servizi, mettendo sullo stesso piano tutti i dipendenti della funzione pubblica, non considerando che una cosa è tagliare genericamente “impiegati pubblici”, un’altra è tagliare medici, infermieri e operatori sanitari. Senza contare che investire in sanità produce anche PIL, cioè lavoro, oltre che salute.
La crisi da Coronavirus ci consegna anche nuove priorità: rendere autosufficiente il sistema Paese rispetto all’approvvigionamento di beni e servizi indispensabili per affrontare una crisi sanitaria (vedi il caso delle mascherine e dei ventilatori polmonari durante la prima ondata); contrastare di più le patologie croniche (come le malattie del cuore o il diabete, per esempio), che rendono più vulnerabili le persone a tutte le altre patologie; fare dell’educazione sanitaria e dell’educazione agli stili di vita salutari -a partire dai più piccoli- una materia di insegnamento non relegato a elemento di contorno.
E venendo alla Lombardia, l’emergenza pandemica ci sta svelando una volta di più la debolezza dei servizi sanitari territoriali della Regione e della sua riforma sanitaria del 2015 (la cosiddetta Legge 23). Mentre sul piano degli ospedali -a partire dalla generosità e competenza di quelli pubblici- sono stati fatti miracoli raddoppiando le troppo scarse terapie intensive grazie a encomiabili operatori sanitari, sul piano territoriale i Servizi di Prevenzione, i Poliambulatori, i Consultori, i Medici di Famiglia -indeboliti da anni di politiche regionali incentrate sugli ospedali- non riescono a fare sufficienti tamponi, non riescono a mettere tempestivamente in quarantena i positivi e i loro contatti stretti, non riescono a intervenire diffusamente al domicilio per curare chi è affetto dal Covid prima che finisca in ospedale.
E la debolezza di questi servizi, oggi, è la stessa che da tanti anni fa sì che tanti, troppi, si debbano rivolgere al Pronto Soccorso non trovando altri servizi disponibili tempestivamente sul territorio, ed è la stessa che contribuisce a creare le lunghe liste di attesa per visite ed esami che riescono a saltare solo quelli che si possono permettere di andare dal privato a pagamento, e che costringono gli altri ad aspettare mesi, a volte più di un anno, prima di ricevere le prestazioni richieste.
Tutto questo si è ulteriormente indebolito da quando la Regione Lombardia, con la riforma di cinque anni fa, appunto, ha eliminato le ASL e nei vari territori ha riunito i servizi territoriali e gli ospedali dentro una sola azienda socio-sanitaria territoriale (ASST), sopra la quale ha istituito una agenzia di tutela della salute (ATS) che avrebbe dovuto dedicarsi alla programmazione e al coordinamento. Peccato che questa struttura di governo alla prova dei fatti non sta funzionando, ed è necessario quindi cambiarla, dando forza e centralità a servizi di salute più vicini ai cittadini nei luoghi in cui vivono per tutto ciò che non va curato in ospedale, per fare più prevenzione, per fare più riabilitazione, per non lasciare indietro nessuno. Pur riconoscendo la qualità delle cure ospedaliere che pure in Lombardia si trovano, c’è bisogno di un nuovo servizio socio-sanitario regionale più capace di accompagnare le persone per tutta la durata delle cure, dove sia offerta a tutti la stessa qualità, indipendentemente dal luogo in cui si abita o dalle possibilità economiche di cui si dispone. Ed è necessario coinvolgere nella programmazione dei servizi sociosanitari anche i Sindaci: sono loro che conoscono da vicino tutta quella fascia di bisogni sociali e sociosanitari di minori, anziani e disabili, che se affrontati subito evitano che disagi iniziali non presi in carico peggiorino fino a portare a vere e proprie patologie. La progressiva carenza di Medici i Famiglia, poi, richiede che la Regione incentivi la messa in rete dei Medici e li supporti con l’affiancamento di segretarie, di infermieri, di fisioterapisti, creando dei luoghi della comunità in cui, senza doversi muovere come in una giungla complicata, ogni cittadino possa trovare riuniti, a portata, i servizi primari utili ai propri bisogni di salute. E poi diciamolo: nel 2020 sarebbe ora che servizi di telemedicina e teleassistenza non fossero più argomenti da convegno e seminari, e diventassero finalmente operativi, grazie alle enormi possibilità che la tecnologia ci mette già oggi a disposizione.
Questa è la sanità che ci serve e può garantire a tutti la salute. Succederà? È la sfida che la buona politica deve raccogliere e portare a realtà. A partire dalla Lombardia.

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