Stampa

Addio a Franco Marini

Scritto da La Stampa.

Franco Marini Articolo della Stampa.

Se ne è andato senza clamore, in silenzio. Nel gelo che solo una malattia infida come il Covid con le sue complicanze può riservarti. Aveva 87 anni Franco Marini e si era ammalato alla viglia di Natale. Sindacalista e politico, era tanto spigoloso e freddo di carattere quanto generoso e trasparente nei rapporti. Era nato in Abruzzo tra l’Aquila e la piana di Navelli, dove la stretta di mano è più autentica di un contratto scritto. Suo Padre operaio specializzato alla Snia Viscosa si era trasferito a Rieti dopo la morte della moglie, una madre che l’ex presidente del Senato perde molto presto, a soli dieci anni, “lasciandomi un vuoto - raccontava - così grande che mi sono sempre portato dietro”.
Quella dell’ex segretario del Partito Popolare è una vita vissuta tutta in prima persona: densa di battaglie, aneddoti, emozioni, prima come ufficiale di complemento degli alpini, “nella caserma Bressanone, la stessa che aveva ospitato Walter Bonatti” sottolineava, poi come segretario generale della Cisl e infine come leader di partito, e presidente del Senato nel 2006. Incontri, comizi, le nottate per i collegi, gli scontri con gli alleati e gli avversari, le trattative infinite tra parti sociali e governo. Tutte tessere di un mosaico cominciato al liceo classico “Varrone” di Rieti, la città che lo aveva adottato e dove aveva conosciuto la moglie Luisa D’Orazi al su fianco per quasi mezzo secolo.
Marini era un politico puro, tutta passione, con alleati fidati e avversari riconosciuti. Si racconta che non si alzasse dal tavolo senza una decisione risolutiva, a suo modo definitiva anche nelle rotture. Severo e spigoloso, non era uomo da cerimonie e anche per queste sue caratteristiche caratteriali, si era beccato il nomignolo di lupo marsicano. Ultimamente parlava poco di politica e molto più di vita. Parlava del nonno Franco, delle sfide alla corsa campestre, ma anche di quella sua insegnante ebrea che dopo la licenza media convinse suo padre a iscriverlo al liceo (e non all’istituto tecnico). “Cambiò il mio orizzonte di vita” raccontava, al punto che “appena nominato ministro del Lavoro nel governo Andreotti andai a ricercarla, ma purtroppo era scomparsa da poco”. Poi, ricordava le grandi battaglie sindacali, Donat Cattin e Luigi Pastore, gli scontri con Romano Prodi, le battaglie nella Margherita, e quella volta che Francesco Cossiga mi disse, “Faccio senatore a vita Giulio Andreotti, così ti libero il collegio…” e ancora il sindacato, la grande famiglia in cui per tanti anni aveva vissuto e “che ancora non riesce a trovare la forza per reinventarsi di fronte alle sfide che la globalizzazione impone”. Argomenti ricorrenti durante le camminate in montagna. Franco Marini della montagna conosceva tutto, tempi e segreti. Sapeva riconoscere l’arrivo della pioggia, della bufera: “è come per la politica, se capisci i tempi della bufera sai come riparati”. A meno che “decidi di isolarti….” Alla mia età, diceva, “non si può ricominciare…Ho provato a fare il primo (e lo indicava con il pollice), mi sono fermato al secondo”.
Il primo stava per Quirinale, il secondo per la presidenza del Senato che arrivò nel 2006 dopo una serie di scrutini proprio “contro” Giulio Andreotti votato dal centrodestra. Poi, dopo il voto del 2013 e con una maggioranza da inventare, la scommessa per il Colle: sette anni dopo la presidenza di Palazzo Madama. Amarezza in quei giorni ma nessun rimpianto: “Nessuno come me aveva ottenuto con 521 sì la maggioranza dei voti al primo scrutinio”. Insomma, bastava che il quorum scendesse… Invece, niente… “E’ andata diversamente…Mah, acqua passata” rispondeva a chi gli chiedeva. Per l’ex segretario della Cisl, infatti, ogni “fatto si apriva e si chiudeva, qualunque fosse il risultato”. E così è stato anche per il Quirinale. Certo è, che in quelle giornate ha conosciuto bene gli alleati e anche gli avversari, ma soprattutto ha capito chi fossero i traditori, tra i tanti che durante lo scrutinio lo chiamavano e lo andavano a trovare nel suo studio. “Li ho registrati tutti, uno per uno, - diceva - ma in politica ci sta…ognuno gioca la sua partita, di strada comunque ne abbiamo fatta…”. Eccome se ne aveva fatta: da San Pio le Camere in Abruzzo fino a Palazzo Madama. Senza salotti e prime serate: da presidente del Senato non aveva mai dormito una notte nell’alloggio di servizio e quando dopo la fine del suo mandato i commessi di Palazzo Madama gli chiesero di poter appendere il suo ritratto nella sala dei presidenti rispose secco, “mai e poi mai fin quando utilizzerò gli uffici”. Con il risultato che anche chi arrivò dopo di lui fu costretto ad adeguarsi.
Ora Franco Marini è uscito definitivamente di scena. Restano i suoi discorsi, le sue iniziative politiche, le battaglie sindacali, ma soprattutto i suoi ricordi come quando chiese udienza a Giovanni Paolo II perché intercedesse sul Cile di Pinochet per far liberare dal carcere il sindacalista Manuel Bustos. “Il Papa ci ricevette, ricordo che prese un piccolo biglietto e con una piccolissima matita appuntò solo qualcosa…Poi, silenzio, e chiese a me e a Giorgio Benvenuto come era la situazione del sindacato in Italia. Uscimmo – ricordava Marini – quasi disorientati…A Benvenuto dissi che il Papa sa quel che fa, e Bustos qualche giorno dopo fu liberato…”. Certo, altri tempi ma quelle erano le battaglie in cui credeva Marini, quelle nella quali silenziosamente poteva dimostrare la sua grande generosità. Una generosità grande ma che proteggeva morbosamente e che gli dava grande sollievo e speranza. In fondo, in fondo ripeteva, “spero e penso” che “quando sarò davanti al Padre Eterno, lui chiuderà un occhio…”. Buon viaggio Franco Marini.

Articolo del Giorno.

Addio a Franco Marini, politico e sindacalista, scomparso a 87 anni per complicazioni legate al Covid. Fu segretario generale della Cisl, poi presidente del Senato e poi ministro del Lavoro, segretario del Partito popolare italiano ed europarlamentare. A inizio gennaio era risultato positivo al coronavirus e venne subito ricoverato all’ospedale San Camillo de Lellis di Rieti. A dare la notizia della morte un altro esponente dei Popolari, Pierluigi Castagnetti che ha ricordato l’amico come «uomo integro, forte e fedele a un grande ideale: la libertà come presupposto della democrazia e della giustizia».
Nato a San Pio delle Camere in provincia de L’Aquila il 9 aprile 1933, era laureato in giurisprudenza e, prima dell’esperienza politica, ha avuto una lungo impegno nella Cisl di cui è stato segretario generale dal 1985 al 1991.Da sempre impegnato nell’Azione Cattolica e nelle Acli è stato segretario organizzativo del partito della Margherita.
Iscritto alla Democrazia Cristiana dalla metà degli anni ‘50, ha militato nella “Sinistra Sociale”, la corrente storica della DC che ha avuto tra i suoi leader Giovanni Gronchi, Giulio Pastore e Carlo Donat Cattin.
Eletto senatore nel 2006, fu scelto come candidato alla presidenza del Senato, sfidante dell’esponente espresso dalla Casa delle Libertà, il senatore a vita Giulio Andreotti. Il 29 aprile 2006, con 165 voti, Marini divenne presidente del Senato della Repubblica Italiana, con una votazione (la terza) molto seguita dai senatori a causa della possibilità che Andreotti vincesse, sostenuto dalla Casa delle Libertà, dal senatore Cossiga e dal senatore Marco Follini. In quella carica, dal 2006 al 2008, mantenne il timone dritto per la risicata maggioranza a Palazzo Madama, del governo Prodi II.
In precedenza era stato ministro del Lavoro e della previdenza sociale nel VII Governo Andreotti e poi deputato nella XI, XII, XIII e XIV legislatura. Noto anche il suo impegno in Europa, fu eletto nel 1999 al Parlamento Europeo, nella V legislatura, con il Partito Popolare Italiano nella Circoscrizione Italia centrale con 60.073 voti. A Bruxelles fu membro della Commissione per gli affari esteri, i diritti dell’uomo, la sicurezza comune e la politica di difesa, della Delegazione ella Commissione parlamentare mista Ue-Turchia e membro sostituto della Commissione per i problemi economici e monetari.
In seguito alla caduta del governo Prodi II, e nonostante il suo iniziale diniego ad assumere altri incarichi, il 30 gennaio 2008 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferì a Marini un incarico finalizzato alla verifica, entro un breve spazio temporale, della possibilità di consenso parlamentare su una riforma della legge elettorale e su un governo che assumesse le decisioni più urgenti. Marini accettò l’incarico. Tuttavia, il 4 febbraio 2008, dopo quattro giorni di consultazioni con tutti i gruppi parlamentari e con alcune rappresentanze delle parti sociali, si recò al Quirinale per rimettere il suo incarico nelle mani del presidente della Repubblica «con molto rammarico per l’impossibilità di raggiungere l’obiettivo» «di trovare una maggioranza per modificare in pochi mesi la legge elettorale».
Tra le tappe del suo percorso politico in Italia, Marini partecipò alla fondazione del Partito Democratico e fu il principale referente della corrente de “I Popolari”, di matrice democristiana e cristiano sociale. Alle elezioni primarie del 2009 sostenne la candidatura di Dario Franceschini. Si presentò alle politiche del 2013 dopo aver chiesto un’ulteriore deroga al PD, ma non fu rieletto.
Il 17 aprile 2013 fu indicato come candidato alla presidenza della Repubblica da parte del PD, dal PdL, da Scelta Civica, dall’UdC, dalla Lega Nord, da Fratelli d’Italia, dal Centro Democratico, dalle minoranze linguistiche (SVP, PATT, UpT), da Grande Sud e da Il Megafono - Lista Crocetta. Il suo nome, proposto in una rosa di nomi dal Segretario del PD Pier Luigi Bersani, fu ristretto poi in una terna (in cui figuravano anche Giuliano Amato e Massimo D’Alema) dal Presidente del PdL Silvio Berlusconi in cui fu scelto infine Marini per la prima votazione con il quorum più alto.
Tuttavia alla prima votazione non riuscì a raggiungere il quorum richiesto di 672 voti, fermandosi a 521. Con tale risultato Marini è divenuto il primo candidato non eletto ad aver raggiunto in uno scrutinio la maggioranza assoluta dei voti, e il candidato non eletto col massimo numero di voti in un singolo scrutinio.
“Profonda tristezza per la notizia della scomparsa di Franco Marini. Tanti pensieri, tanti ricordi. Un grande protagonista. Un grande amico”, scrive sui social Enrico Letta.
Ci ha lasciato uno dei grandi protagonisti del sindacato e della politica degli ultimi 40 anni. Uno degli artefici della nascita dell’Ulivo e del centrosinistra, quando con coraggio impedì che il PPI scivolasse a destra. Io perdo un Maestro, un Padre, un Amico”. Così Dario Franceschini.
"Un dolore profondo e personale. Sono cresciuto con lui nella Cisl, in anni intensi di cambiamento, di battaglie sociali. Anche di un vero confronto interno di idee. Ma il suo entusiasmo, la sua vitalità, il suo pragmatismo e la sua spregiudicata saggezza, la sua umanità hanno sempre superato le differenze e hanno fatto sì che noi giovani crescessimo alla scuola di un sindacalismo vero, onesto, tenace e coraggioso". Così Pierpaolo Baretta commenta la scomparsa di Franco Marini. E racconta: "poi ci siamo ritrovati insieme in politica e nel Pd. E i suoi insegnamenti sono stati sempre di grande aiuto per tutti noi". "Ci ha sempre uniti una comune fede nella giustizia sociale e un rapporto umano straordinario e duraturo. Quanti colloqui, quante chiacchierate, quanti incontri, tante telefonate... sino a poche settimane fa. Ogni occasione era buona per dare consigli intelligenti, per spronare e, anche, per mettere in riga. Grazie Franco di tutto quello che hai dato a me, a noi, al sindacato e alla politica".
“Dolorosa la perdita di Franco Marini, un politico e un amico dalla forte personalità, ruvido e affettuoso insieme. Franco Marini è stata una figura rilevante della storia sindacale e politica italiana, espressione di una cultura del cattolicesimo democratico e sociale così salda nei suoi valori che impedì, come ricorda Dario Franceschini, la svolta conservatrice a destra del Partito Popolare Italiano, in un momento drammatico della storia del nostro Paese”, ricorda Patrizia Toia.
“Un addio pieno di riconoscenza per ciò che ci ha lasciato in eredita: dedizione alla causa del lavoro e impegno costante per una buona politica. Un vero amico della montagna”, scrive Erminio Quartiani.
Pin It