La crisi della politica
Articolo di Lorenzo Gaiani.
Il Capo dello Stato, nel suo drammatico discorso del 2 febbraio, ha evocato come alternativa alle elezioni (sempre necessarie in democrazia, inopportune in questo momento) "un Governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica" che sia "adeguato a fronteggiare le gravi emergenze presenti: sanitaria, sociale, economica e finanziaria". Ecco fissati in buona sostanza il programma ed il "perimetro" del nuovo Governo, nel senso che chi concorda con la necessità di affrontare quelle tre emergenze può e deve partecipare a questo passaggio politico straordinario come straordinaria è la stagione che stiamo vivendo, al di là di ovvie divisioni ideologiche che mantengono tutta la loro rilevanza.
Tutte le altre questioni, per quanto importanti e magari anche nobili in questo momento non diventano certo irrilevanti ma sicuramente secondarie.
Questo significa che la politica è commissariata o sospesa? No, perché comunque il Parlamento mantiene la possibilità di dar la fiducia o meno al Governo e di controllarne l'azione, ed ovviamente mantiene il potere legislativo.
Ma il sistema politico italiano è a dir poco bloccato in se stesso, ed i suoi problemi principali sono lì davanti agli occhi di tutti, aggravati dalla pandemia.
Il primo è la frammentazione, figlia anche di una legge elettorale a sostanziale impianto proporzionale (e addirittura si vorrebbe passare ad una legge "completamente" proporzionale, il che non faciliterebbe certo la soluzione dei problemi in futuro).
Il secondo è il bicameralismo perfetto, che diventa un'ipocrisia nella funzione legislativa, come si è visto negli ultimi mesi quando una delle due Camere si limitava a ratificare i decreti governativi già approvati dall'altra praticamente senza discussione, ed un danno nella funzione politica quando un Governo non ha numeri certi in ambedue i rami del Parlamento (l'Italia, continuiamo a ripetercelo, è l'unico Paese europeo in cui il Governo deve avere la fiducia di ambedue le Camere).
Il terzo è il rapporto fra Stato e Regioni, sia in tempo ordinario che in quello d'eccezione, aggravato dalla disparità di legittimazione politica fra un Governo debole frutto di manovre parlamentari e Regioni guidate da Presidenti (capaci o meno) eletti direttamente dai cittadini.
Ecco, se la "politica", cioè i partiti e gli esponenti politici, volessero andare alla radice della loro crisi potrebbero utilmente misurarsi su queste tre questioni, dimostrando di aver fatto tesoro delle lezioni di questo anno tragico.
Il Capo dello Stato, nel suo drammatico discorso del 2 febbraio, ha evocato come alternativa alle elezioni (sempre necessarie in democrazia, inopportune in questo momento) "un Governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica" che sia "adeguato a fronteggiare le gravi emergenze presenti: sanitaria, sociale, economica e finanziaria". Ecco fissati in buona sostanza il programma ed il "perimetro" del nuovo Governo, nel senso che chi concorda con la necessità di affrontare quelle tre emergenze può e deve partecipare a questo passaggio politico straordinario come straordinaria è la stagione che stiamo vivendo, al di là di ovvie divisioni ideologiche che mantengono tutta la loro rilevanza.
Tutte le altre questioni, per quanto importanti e magari anche nobili in questo momento non diventano certo irrilevanti ma sicuramente secondarie.
Questo significa che la politica è commissariata o sospesa? No, perché comunque il Parlamento mantiene la possibilità di dar la fiducia o meno al Governo e di controllarne l'azione, ed ovviamente mantiene il potere legislativo.
Ma il sistema politico italiano è a dir poco bloccato in se stesso, ed i suoi problemi principali sono lì davanti agli occhi di tutti, aggravati dalla pandemia.
Il primo è la frammentazione, figlia anche di una legge elettorale a sostanziale impianto proporzionale (e addirittura si vorrebbe passare ad una legge "completamente" proporzionale, il che non faciliterebbe certo la soluzione dei problemi in futuro).
Il secondo è il bicameralismo perfetto, che diventa un'ipocrisia nella funzione legislativa, come si è visto negli ultimi mesi quando una delle due Camere si limitava a ratificare i decreti governativi già approvati dall'altra praticamente senza discussione, ed un danno nella funzione politica quando un Governo non ha numeri certi in ambedue i rami del Parlamento (l'Italia, continuiamo a ripetercelo, è l'unico Paese europeo in cui il Governo deve avere la fiducia di ambedue le Camere).
Il terzo è il rapporto fra Stato e Regioni, sia in tempo ordinario che in quello d'eccezione, aggravato dalla disparità di legittimazione politica fra un Governo debole frutto di manovre parlamentari e Regioni guidate da Presidenti (capaci o meno) eletti direttamente dai cittadini.
Ecco, se la "politica", cioè i partiti e gli esponenti politici, volessero andare alla radice della loro crisi potrebbero utilmente misurarsi su queste tre questioni, dimostrando di aver fatto tesoro delle lezioni di questo anno tragico.