Grazie a chi è rimasto al suo posto
Articolo di Repubblica.
Reagire alla paura, resistere all'individualismo, non piegarsi alla logica dei prezzi per puntare invece sui valori, respingere le tentazioni populiste che propongono scorciatoie. Tessere alleanze civiche e sociali e fare rete pensando a una città plurale e solidale che parta dalle forze positive che non hanno abbandonato il loro posto nemmeno nel momento dell'emergenza. L'arcivescovo Mario Delpini pronuncia il tradizionale 'Discorso alla città' nella basilica dove non possono per la prima volta entrare i fedeli, davanti alle sole autorità istituzionali e militari, in un clima molto diverso dal solito.
"L’esperienza drammatica della pandemia ci ha reso più consapevoli della fragilità dell’umanità, più mendicanti di solidarietà, più sospettosi verso discorsi generali e giudizi perentori, più insicuri e paurosi. Insomma, forse, più umili" esordisce il vescovo dispiaciuto perché vede “segni di una sorta di inaridimento degli animi, un lasciarsi travolgere dal diluvio di aggiornamenti, di strategie del malumore, di logoranti battibecchi”. La chiama "emergenza spirituale”, parla dello "smarrimento del senso dell’insieme che riduce in frantumi la società e l’identità personale" e si dice perplesso perché la gente non fa altro che parlare delle “notizie della pandemia. Non riescono a pensare ad altro, non possono parlare d’altro. Il resto del mondo e dei temi decisivi per la vita delle persone, delle comunità, del pianeta è emarginato”.
Grande è l'ammirazione che il vescovo ha per il “popolo delle donne e degli uomini di buona volontà, di quelli che sono rimasti al loro posto", “grazie a loro la città funziona - conseguenza naturale della loro responsabilità - Rimangono al loro posto gli ospedali funzionano, i trasporti, i mercati, i comuni, le scuole, le parrocchie, i cimiteri, gli uffici funzionano”. Li loda perché “non pretendono di fare notizia… Sono infastiditi dalle chiacchiere, non riescono a capire come ci sia gente che ha tanto tempo per discutere, litigare, ripetere banalità…guardano avanti". E cita le categorie una per una: "gli operatori sanitari e socioassistenziali .. i responsabili delle istituzioni, ..nei municipi, nelle caserme, nei tribunali e nelle carceri, nelle scuole, nei tanti negozi e servizi che con il loro funzionamento garantiscono la tenuta dei legami di vicinato".
Persone che hanno lavorato nel pericolo senza perdersi in chiacchiere. “È facile criticare, è facile entrare in polemica per difendersi, ci possono essere errori e scelte discutibili. Ma io voglio esprimere la mia gratitudine e riconoscere la fortezza, la serietà, l’onestà di chi resta al suo posto e fa funzionare il mondo, anche quando tutto è sconvolto e complicato".
L'arcivescovo invita ad essere umili e modesti: “L’arroganza dell’individualismo, si persuade di essere originale solo perché non va d’accordo con nessuno, vive con insofferenza le regole, circoscrive il mondo a quello che vede e quindi esclude il futuro e recide le radici del passato".
Come uscire dalla crisi? "Tocca a noi, elaborare una visione comune con i tratti di quella sapienza popolare, di quel pragmatismo operoso - dice Delpini davanti al sindaco Beppe Sala e al presidente della Regione Attilio Fontana -, di quel senso del limite e quella consapevolezza di responsabilità che sono alieni da ogni fanatismo, da ogni rassegnazione, da ogni conformismo ottuso, capaci di realismo, di serietà e onestà intellettuale, di senso dell’umorismo, di apertura verso l’altro e verso l’inedito. Tocca a noi, devoti al nostro patrono sant’Ambrogio, farci avanti.. per dare volto all’umanesimo ambrosiano".
Guai a chi specula e propone "scorciatoie", punta il dito: "L’autoritarismo decisionista, la seduzione di personaggi carismatici, le scelte 'facili' del populismo non rispettano la dignità delle persone e spesso conducono a disastri. Gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati ai percorsi lunghi della formazione, della riflessione, del dialogo costruttivo, della tessitura di alleanze convincenti". La vita dice Delpini "ha potuto continuare perché la solidarietà si è rivelata più normale e abituale dell’egoismo, il senso del dovere si è rivelato più convincente del capriccio, la compassione si è rivelata più profondamente radicata dell’indifferenza". Non fa nomi, ma si capisce che ce l'ha con quei leader politici che urlano: "L’ideologia non va bene: ha prodotto le peggiori stragi della storia. L’individualismo non va bene: ha inaridito la voglia di vivere e dare vita e porta l’umanità verso l’estinzione". Ma le critiche ci sono anche per "Il neoliberismo" che "ha creato disuguaglianze insopportabili" e "all’umanesimo lombardo questi princìpi rovinosi non sono congeniali. Li abbiamo importanti senza mai sentirli veramente nostri".
Da dove ripartire? "La famiglia è la cellula che genera la società e il suo futuro" quella basata sul "matrimonio, con un legame stabile: quando la famiglia è malata tutta la società è malata" quindi è "necessario creare le condizioni migliori per renderne, per quanto possibile, serena la vita. Intorno a questo centro tutte le istituzioni sono chiamate a sostenere gli aspetti generativi, le responsabilità educative, le problematiche sanitarie e assistenziali, le condizioni lavorative, l’attenzione alle varie fasce di età". In epoca Covid il pericolo è la chiusura: la "Famiglia isolata, soddisfatta di sé, che chiude il mondo fuori dalla porta di casa. La centralità della famiglia considera che tutti sono figli, tutti sono chiamati a essere fratelli, tutti devono sapere che c’è una porta alla quale si può bussare. Neppure chi ha scelto di vivere solo deve essere abbandonato. Neppure chi vive di rapporti spezzati deve essere escluso". Quindi solidarietà ai separati e ai divorziati, anche se tanta attenzione viene riposta sua famiglia tradizionale.
Oltre alla famiglia, bisogna puntare sulla "laboriosità delle tante azioni di carità anche di questi giorni: non un provvedimento momentaneo per contenere un’emergenza sociale che avanza, quanto piuttosto la volontà di dare concretezza e visibilità alla rete di fraternità che ci unisce come fratelli e sorelle" per contrapporsi alla "dinamica planetaria di ridursi a una logica di mercato determinata dai prezzi invece che dai valori, a una gestione dell’informazione finalizzata alla manipolazione, a una forma di colonialismo economico e culturale che mortifica e seduce l’umanità". Le istituzioni devono sostenere la famiglia, stringere un'alleanza educativa per sostenere quelle più deboli, quelle che hanno sofferto durante la pandemia, con un pensiero speciale rivolto a chi ha figli o parenti disabili.
Lungo capitolo, quello sull'immigrazione e sulla 'cultura dell’incontro'. La presenza di etnie, culture e lingue, tradizioni religiose, suscitano "sensibilità politiche per incrementare la paura, per reclutare forza lavoro, per predisporre percorsi di integrazione, per suggerire politiche di difesa contro l’invasione, per convincere a definire confini di ghetti ove l’uniformità è rassicurante". E certo se "non ci si può rassegnare a vivere la città come una babilonia di mondi che non comunicano", dice Delpini, "neppure si può immaginare un programma di integrazione forzata... È una forma di ottusità quella di immaginare il fenomeno migratorio come una emergenza temporanea da risolvere con qualche forma di assistenza o di respingimento".
Milano può fare scuola: "in occasione delle elezioni dei sindaci, abbiamo la responsabilità di scegliere se essere vittime di una globalizzazione delle paure e degli scarti o protagonisti nell’edificazione di una comunità plurale che pratichi la cultura dell’incontro potersi chiamare fratelli non per un esercizio retorico ma per rispondere a una vocazione".
Anche qui, non ci sono scorciatoie: "In questo percorso non ci sono popoli civili e popoli incivili, non ci sono culture che devono sempre insegnare e culture che devono sempre subire o mendicare", serve un "riconoscimento di limiti da superare, di debiti da pagare, di abitudini indegne da correggere". E sembra proprio far riferimento a certi episodi drammatici che ci sono stati nelle realtà multietniche dove ancora sono forti la sottomissione delle donne al patriarcato e alle tradizioni religiose più retrive.
La proposta è quella di collaborare . "Mi faccio voce della comunità della Chiesa ambrosiana per dichiarare la disponibilità a partecipare a tutti i livelli ai processi che si ispirano alla visione che diventa sogno condiviso e può dare forma alla comunità plurale".
Reagire alla paura, resistere all'individualismo, non piegarsi alla logica dei prezzi per puntare invece sui valori, respingere le tentazioni populiste che propongono scorciatoie. Tessere alleanze civiche e sociali e fare rete pensando a una città plurale e solidale che parta dalle forze positive che non hanno abbandonato il loro posto nemmeno nel momento dell'emergenza. L'arcivescovo Mario Delpini pronuncia il tradizionale 'Discorso alla città' nella basilica dove non possono per la prima volta entrare i fedeli, davanti alle sole autorità istituzionali e militari, in un clima molto diverso dal solito.
"L’esperienza drammatica della pandemia ci ha reso più consapevoli della fragilità dell’umanità, più mendicanti di solidarietà, più sospettosi verso discorsi generali e giudizi perentori, più insicuri e paurosi. Insomma, forse, più umili" esordisce il vescovo dispiaciuto perché vede “segni di una sorta di inaridimento degli animi, un lasciarsi travolgere dal diluvio di aggiornamenti, di strategie del malumore, di logoranti battibecchi”. La chiama "emergenza spirituale”, parla dello "smarrimento del senso dell’insieme che riduce in frantumi la società e l’identità personale" e si dice perplesso perché la gente non fa altro che parlare delle “notizie della pandemia. Non riescono a pensare ad altro, non possono parlare d’altro. Il resto del mondo e dei temi decisivi per la vita delle persone, delle comunità, del pianeta è emarginato”.
Grande è l'ammirazione che il vescovo ha per il “popolo delle donne e degli uomini di buona volontà, di quelli che sono rimasti al loro posto", “grazie a loro la città funziona - conseguenza naturale della loro responsabilità - Rimangono al loro posto gli ospedali funzionano, i trasporti, i mercati, i comuni, le scuole, le parrocchie, i cimiteri, gli uffici funzionano”. Li loda perché “non pretendono di fare notizia… Sono infastiditi dalle chiacchiere, non riescono a capire come ci sia gente che ha tanto tempo per discutere, litigare, ripetere banalità…guardano avanti". E cita le categorie una per una: "gli operatori sanitari e socioassistenziali .. i responsabili delle istituzioni, ..nei municipi, nelle caserme, nei tribunali e nelle carceri, nelle scuole, nei tanti negozi e servizi che con il loro funzionamento garantiscono la tenuta dei legami di vicinato".
Persone che hanno lavorato nel pericolo senza perdersi in chiacchiere. “È facile criticare, è facile entrare in polemica per difendersi, ci possono essere errori e scelte discutibili. Ma io voglio esprimere la mia gratitudine e riconoscere la fortezza, la serietà, l’onestà di chi resta al suo posto e fa funzionare il mondo, anche quando tutto è sconvolto e complicato".
L'arcivescovo invita ad essere umili e modesti: “L’arroganza dell’individualismo, si persuade di essere originale solo perché non va d’accordo con nessuno, vive con insofferenza le regole, circoscrive il mondo a quello che vede e quindi esclude il futuro e recide le radici del passato".
Come uscire dalla crisi? "Tocca a noi, elaborare una visione comune con i tratti di quella sapienza popolare, di quel pragmatismo operoso - dice Delpini davanti al sindaco Beppe Sala e al presidente della Regione Attilio Fontana -, di quel senso del limite e quella consapevolezza di responsabilità che sono alieni da ogni fanatismo, da ogni rassegnazione, da ogni conformismo ottuso, capaci di realismo, di serietà e onestà intellettuale, di senso dell’umorismo, di apertura verso l’altro e verso l’inedito. Tocca a noi, devoti al nostro patrono sant’Ambrogio, farci avanti.. per dare volto all’umanesimo ambrosiano".
Guai a chi specula e propone "scorciatoie", punta il dito: "L’autoritarismo decisionista, la seduzione di personaggi carismatici, le scelte 'facili' del populismo non rispettano la dignità delle persone e spesso conducono a disastri. Gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati ai percorsi lunghi della formazione, della riflessione, del dialogo costruttivo, della tessitura di alleanze convincenti". La vita dice Delpini "ha potuto continuare perché la solidarietà si è rivelata più normale e abituale dell’egoismo, il senso del dovere si è rivelato più convincente del capriccio, la compassione si è rivelata più profondamente radicata dell’indifferenza". Non fa nomi, ma si capisce che ce l'ha con quei leader politici che urlano: "L’ideologia non va bene: ha prodotto le peggiori stragi della storia. L’individualismo non va bene: ha inaridito la voglia di vivere e dare vita e porta l’umanità verso l’estinzione". Ma le critiche ci sono anche per "Il neoliberismo" che "ha creato disuguaglianze insopportabili" e "all’umanesimo lombardo questi princìpi rovinosi non sono congeniali. Li abbiamo importanti senza mai sentirli veramente nostri".
Da dove ripartire? "La famiglia è la cellula che genera la società e il suo futuro" quella basata sul "matrimonio, con un legame stabile: quando la famiglia è malata tutta la società è malata" quindi è "necessario creare le condizioni migliori per renderne, per quanto possibile, serena la vita. Intorno a questo centro tutte le istituzioni sono chiamate a sostenere gli aspetti generativi, le responsabilità educative, le problematiche sanitarie e assistenziali, le condizioni lavorative, l’attenzione alle varie fasce di età". In epoca Covid il pericolo è la chiusura: la "Famiglia isolata, soddisfatta di sé, che chiude il mondo fuori dalla porta di casa. La centralità della famiglia considera che tutti sono figli, tutti sono chiamati a essere fratelli, tutti devono sapere che c’è una porta alla quale si può bussare. Neppure chi ha scelto di vivere solo deve essere abbandonato. Neppure chi vive di rapporti spezzati deve essere escluso". Quindi solidarietà ai separati e ai divorziati, anche se tanta attenzione viene riposta sua famiglia tradizionale.
Oltre alla famiglia, bisogna puntare sulla "laboriosità delle tante azioni di carità anche di questi giorni: non un provvedimento momentaneo per contenere un’emergenza sociale che avanza, quanto piuttosto la volontà di dare concretezza e visibilità alla rete di fraternità che ci unisce come fratelli e sorelle" per contrapporsi alla "dinamica planetaria di ridursi a una logica di mercato determinata dai prezzi invece che dai valori, a una gestione dell’informazione finalizzata alla manipolazione, a una forma di colonialismo economico e culturale che mortifica e seduce l’umanità". Le istituzioni devono sostenere la famiglia, stringere un'alleanza educativa per sostenere quelle più deboli, quelle che hanno sofferto durante la pandemia, con un pensiero speciale rivolto a chi ha figli o parenti disabili.
Lungo capitolo, quello sull'immigrazione e sulla 'cultura dell’incontro'. La presenza di etnie, culture e lingue, tradizioni religiose, suscitano "sensibilità politiche per incrementare la paura, per reclutare forza lavoro, per predisporre percorsi di integrazione, per suggerire politiche di difesa contro l’invasione, per convincere a definire confini di ghetti ove l’uniformità è rassicurante". E certo se "non ci si può rassegnare a vivere la città come una babilonia di mondi che non comunicano", dice Delpini, "neppure si può immaginare un programma di integrazione forzata... È una forma di ottusità quella di immaginare il fenomeno migratorio come una emergenza temporanea da risolvere con qualche forma di assistenza o di respingimento".
Milano può fare scuola: "in occasione delle elezioni dei sindaci, abbiamo la responsabilità di scegliere se essere vittime di una globalizzazione delle paure e degli scarti o protagonisti nell’edificazione di una comunità plurale che pratichi la cultura dell’incontro potersi chiamare fratelli non per un esercizio retorico ma per rispondere a una vocazione".
Anche qui, non ci sono scorciatoie: "In questo percorso non ci sono popoli civili e popoli incivili, non ci sono culture che devono sempre insegnare e culture che devono sempre subire o mendicare", serve un "riconoscimento di limiti da superare, di debiti da pagare, di abitudini indegne da correggere". E sembra proprio far riferimento a certi episodi drammatici che ci sono stati nelle realtà multietniche dove ancora sono forti la sottomissione delle donne al patriarcato e alle tradizioni religiose più retrive.
La proposta è quella di collaborare . "Mi faccio voce della comunità della Chiesa ambrosiana per dichiarare la disponibilità a partecipare a tutti i livelli ai processi che si ispirano alla visione che diventa sogno condiviso e può dare forma alla comunità plurale".