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Il lavoro imprenditivo

Scritto da Francesco Bizzotto.

Francesco BizzottoArticolo di Francesco Bizzotto pubblicato da Arcipelago Milano.

Noi Assicuratori amiamo l’intrapresa libera e impegnata, che investe, rischia. Dal XIV secolo siamo a fianco degli esploratori che uniscono e cambiano il mondo. Senza di noi non avrebbero osato. Oggi il Lavoro… Mi confronto con Pietro Ichino, studioso appassionato (“L’intelligenza del lavoro”, Rizzoli, 2020). Condividiamo l’idea del Lavoro imprenditivo, che si mette in gioco, non sta tranquillo, appartato. Ci sorprenderà: salverà il mondo. Ma, intanto, la storica e potente Agenzia del lavoro milanese AFOL che fa? Se non a Milano, dove?
“Tutte le lotte del movimento operaio, sin dai primordi, sono state lotte contro l’oppressione, non contro lo sfruttamento, per la libertà e il potere non per l’equità e l’uguaglianza materiale, per il rischio del libero arbitrio (…). È la libertà, la liberazione, l’autorealizzazione della persona, della persona sempre ‘diversa’ (…). È la libertà, i diritti scomodi, i diritti personalizzati e difficili, che non promettono felicità, ma sofferenze, dubbi scoperta, rischio, ma forse, con molte probabilità sviluppo ‘per scandagli’ della persona contro lo Stato provvidenza che eroga felicità invece che libertà (…). È la libertà, il potere della persona contro la felicità elargita: (…) una libertà personalmente conquistata e praticata con la conoscenza e l’autorealizzazione (…;) il rifiuto della libertà per interposta persona (…). Una buona occasione (…:) il passaggio dalla solidarietà per l’uguaglianza alla solidarietà per la libertà”. (Bruno Trentin, Diari 1988 – 1994, Ed. Ediesse, 2017, pag. 87 – 92).
Desidero parlare di Lavoro imprenditivo, attivo, umile, appassionato. Penso che avrà il ruolo dei commercianti nel XIV secolo: esplorare, arricchire e unire il mondo. Chiamo a testimone Pietro Ichino, studioso impegnato e una gran bella persona. L’ho conosciuto a 25 anni: ero un sindacalista del mondo assicurativo e lui il nostro avvocato; ci dava sicurezza e prudenza. Di bella famiglia (il papà Luciano aveva uno studio legale affermato), aveva bruciato le tappe degli studi giuridici e scelto di fare il funzionario Fiom nel Nord Milano. Un amico di famiglia, don Lorenzo Milani, con il suo “classismo etico”, lo aveva sfidato a meritarsi fortuna e benessere. La Camera del lavoro (Lucio De Carlini) lo metteva a nostra disposizione per consigli e vertenze. Anche noi ci apprestavamo a cambiare il mondo.
Io, dopo tre anni in una tipografia a lavare rulli da stampa, da sei lavoravo in una splendida compagnia assicurativa americana (AIU Italy; oggi AIG) ed ero un tecnico dei rischi industriali; lavoravo e studiavo. Geometra delle Civiche scuole serali (pare fossimo 90.000 studenti serali negli anni ’60 a Milano), appena diplomato (1969) m’iscrivevo all’Università e partivo per il Militare. Al rientro (1971) ero coinvolto nel Movimento Studentesco e poi nel sindacato (Filda Cgil, 1973) per un decennio.
Abbiamo questo interesse in comune: il lavoro, che da molti anni è debole, frantumato, carsico. Riemergerà bellissimo – pensiamo – all’interno del fare impresa. Sì. Ichino e io abbiamo in comune quest’idea incredibile: il lavoro assumerà il volto della imprenditività (libertà, passione, investimento personale, creatività, rischio) e delle relazioni il più possibile scelte. Alla Enzo Spaltro, il maestro, che invita a “sognare ciò che non esiste”. Il lavoro innoverà l’impresa liberale e la salverà: ora mostra la corda, è insostenibile, non sa prevedere le conseguenze dell’agire; non sa gestirne i rischi. Tocchiamo con mano i suoi azzardi. A dire il vero è stata caricata come un mulo e lasciata sola.
Schumpeter (1883 – 1950), che fissa il ruolo creativo, anticipatore dell’imprenditore, snobba il rischio; ha una concezione frequentista (e fatalista) della probabilità di danno: guardare al passato e fare i dovuti accantonamenti. È prigioniero di una concezione statica, individuale e solo razionale del rischio. Ora, il lavoro può contribuire ad andare oltre, verso approcci di Rete, quantici, olistici (d’influenza e accrescimento reciproci), sicuri perché capaci, etici, sottili, contemplativi. Dove “contemplare” (dicono le splendide suore cattoliche Usa della LCWR – Leadership Conference of Women Religious) significa stare concentrati e vedere bene, ammirare, apprezzare e processare (agire) con impegno, passione e precisione. Armonia: ciò che serve. Una dimensione che l’impresa cerca e intravede. Il lavoro darà una mano; la salverà, con la Terra. È il caso di dire: non ci si salva da soli. “We ground all we are and do in a contemplative stance”.
Il Lavoro imprenditivo, dunque: non rifiuta il mercato e la concorrenza; scommette sulla libertà personale e mira a un salto di qualità nelle relazioni d’impresa. Credo che piacerebbe a Bruno Trentin, generoso Segretario generale della Cgil (anni 1988 – 1994), che però non è giunto a farsi carico delle ombre (dei rischi) del fare impresa. Rimane un maestro.
Il lavoro imprenditivo è a casa nella Rete (Lavoro di Gruppo) che unisce l’azienda e valorizza e rispetta competenze, capacità, ruoli e autonomie; scommette sul conflitto di merito che s’immischia, s’appassiona, non su quello divisivo, antagonistico. Questo lavoro ci sorprenderà: esalterà la tecnica, ne reggerà i grandi rischi (già in campo, paurosamente) e risolverà i problemi. Sarà di riferimento per la ricerca e la PA.
Ora, se non mi spiego, nessuno ci crede. Salgo sulle spalle di Pietro Ichino (ex senatore, professore di Diritto del lavoro) e poi mi differenzio. Rimando al suo libro, ricco di esempi, classificazioni, motivazioni. E ricordo tre tesi chiave che meritano una sottolineatura:
1. (Worldwide). Creare le condizioni. Pensarci. E far crescere l’attenzione alla cultura del concorrere, dell’intrapresa, del bel rischio. Infatti, “l’imprenditore è un lavoratore che rischia”, diceva Walter Veltroni;
2. Per il lavoro che c’è, e far dialogare / incontrare la domanda delle imprese e l’offerta; ridurre il disallineamento, il mismatch. Ora, 1,2 milioni di posti di lavoro sono disponibili e vengono occupati con difficoltà e ritardo. Reperito questo milione, saremmo al 5% di disoccupazione. Fisiologico, differenze a parte. Un sogno;
3. Pareggiare il potere di scegliersi tra imprenditore e lavoratore; consentire a entrambi di concorrere a mente libera, liberamente. Qui trova senso la Flexsecurity europea: l’imprenditore assume e licenzia facile, e il dipendente pure (se ne va, si ricolloca). Lo ha detto chiaro il Sindacato cattolico francese CFDT.
Faccio quindi tre note su punti a mio avviso deboli e necessari al Lavoro imprenditivo. E mi differenzio da Ichino (lo critico; porto un contributo):
Pareggiare le chance di scelta tra impresa e lavoratore? Le fasce alte del lavoro sono attive: un 30 o 40% cerca e trova l’azienda giusta per lui, in cui impegnarsi, crescere, fare carriera. Lo fa per vie soggettive, familiari, amicali. E l’azienda si destabilizza, perde i migliori. Infatti il rischio “attrarre e trattenere talenti” è il più temuto dalle imprese, dopo quello della “sfida digitale” (North Caroline University). Ciò spiega la ritrosia (poco indagata) delle aziende a dire quali professionalità servono. Cosa che complica tutto, ed è l’azienda a perderci: non vede il 60 / 70% di potenziali suoi giusti collaboratori. Qual è il punto?
Ichino chiama il Sindacato a scoprire, accanto al ruolo rivendicativo e di tutela, anche quello di visione, prospettiva e promozione del lavoro; lo invita a farsi parte attiva per cercare / scegliere l’imprenditore. Specie quando l’azienda è in crisi e si prospettano ridimensionamenti, licenziamenti, chiusure. Il Sindacato come intelligenza collettiva. E va bene. Osservo che la persona giusta al posto giusto (oltre il monopsonio) serve alla produttività e verrà solo se alla base c’è un diritto personale. Il collettivo si basa su valori individuali, con loro Istituzioni. Se no è vento, come la bella iniziativa del Corriere della sera “TrovoLavoro”, durata qualche mese.
Per le Politiche attive del lavoro. E qui siamo al punto: se è debole l’assetto istituzionale, tutto è estemporaneo, evanescente. Nei diritti individuali e in quelli collettivi. È così anche a Milano, nonostante una gran bella tradizione di sostegno al lavoro, in termini di formazione professionale e non solo. Un esempio? La riconversione delle fabbriche fordiste a Sesto S. Giovanni, senza morti e feriti. E scusate se è poco.
Ora, Ichino siede nel Consiglio di amministrazione di AFOL Metropolitana, l’Agenzia del lavoro che ha messo a sistema la storia, ed è stata lasciata a sé stessa, dopo aver fuso le cinque AFOL milanesi nello scorso decennio. Operazione che ho condivisa – da ex presidente di AFOL Nord Milano – ma che delude. Il lavoro a Milano appare trascurato, mentre dovrebbe avere (con la pandemia) un sostegno straordinario.
La cosa da fare subito è dialogare con le imprese per dare una mano, trovare soluzioni condivise; far convergere risorse e iniziative, pubbliche e private. Ecco a cosa serve l’Istituzione. E anticipare i problemi, non rincorrere le crisi. Il presidente di AFOL Metropolitana è Maurizio Del Conte, che nel 2015, su input di Renzi, ha creato ANPAL, l’Agenzia nazionale per le Politiche attive. Ottima. Sa il fatto suo, ma tant’è: AFOL è adagiata su vecchi schemi di formazione (e poco altro), da cui cercavamo di uscire 12 anni fa! Manca al ruolo di prospettiva: un plurale coinvolgimento. Ad esempio dell’Assicuratore, impegnato dall’Europa (Solvency II) e disponibile a fare “investimenti infrastrutturali prospettici”, materiali e sociali. Chiamato poi ad assicurare il lavoro, agirebbe per anticipare i problemi, evitare conflitti e licenziamenti (evitare “sinistri”). È, paro paro, l’orientamento del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza. In Europa tutto torna, farà decollare la Democrazia industriale e risolverà la crisi ambientale.
Occorre allora valorizzare, liberare gli accordi aziendali in due chiare direzioni: il dialogo produttivo responsabile (creare, innovare, competere) e la gestione dei rischi aziendali, fattasi molto complessa: pensiamo al Cyber risk, e poi al 5G e all’AI, esaltati dalle piattaforme del Lavoro a distanza; necessita di un impegno umano corale e di presenze consapevoli e anticipatrici (immaginare e processare l’attività con cura, come faceva il mitico Ayrton Senna). Meritano una fiscalità di vantaggio gli accordi che facciano maturare insieme la Democrazia industriale e la Gestione dei rischi. O no?
Cresca allora il Lavoro imprenditivo: farà produttività e sicurezza – Safety – attive, capaci di reggere grandi rischi (e prevenire i disastri), non passive – Security – spente, assistite.
Caro Ichino, caro lettore e cara impresa, la morale è semplice, mi pare: la nostra forza – la democrazia, l’Europa – è il dialogo delle idee, degli approcci, dei poteri, degli interessi e delle Istituzioni. Diciamolo a noi stessi, oltre che a Viktor Orbàn, il leader populista che in Ungheria vuole aiuti e non rispetta i diritti: vuole comandare e distribuire risorse. Questo dialogo saldo e plurale consentirà di uscire dal tunnel e rischiarare (rischiare) il contesto.
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