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Un nuovo soggetto politico d’ispirazione cristiana?

Scritto da Vincenzo Ortolina.

Vincenzo OrtolinaArticolo di Vincenzo Ortolina, Già Sindaco di Carugate (Milano) e Presidente del Consiglio Provinciale di Milano.

Avevo sottoscritto il Manifesto Zamagni (che ipotizza la creazione di un «soggetto politico “nuovo” d’ispirazione cristiana e popolare») un po’ affrettatamente, senza averlo cioè debitamente approfondito. E per questo mi scuso. L’ho “studiato” in questi giorni, leggendo anche le tante, diverse opinioni che sul tema sono state espresse. E sono arrivato alla conclusione (o quasi) che l’idea, oggi, di un “partito cattolico”, pur aperto a credenti e non, non mi convince. Certo, condivido in partenza una visione personalista dell’economia, della società, e dello Stato ‒ uno Stato in ogni caso radicato nella prospettiva europea, e nel quale la “cosa pubblica” funzioni al meglio ‒, la piena valorizzazione delle formazioni sociali e dei corpi intermedi (come si conviene a un ben inteso principio di sussidiarietà), la difesa della persona, della sua dignità in tutti gli stadi di vita, e della famiglia.
Però ho perplessità non da poco ad utilizzare oggi, in politica, il termine “cattolico” legato a un partito. Tanto più considerando quanto sta accadendo nel «mondo cattolico» negli ultimi anni.
In particolare, dall’arrivo di papa Francesco. Oggi, lo sappiamo, la Chiesa sta vivendo un momento assai difficile, e Colui che dovrebbe essere garante della sua unità ‒ cioè il papa ‒ è sotto un attacco fortissimo, anche, o forse soprattutto, all’interno. Vale a dire, da una pur minoritaria parte della gerarchia.
Ecco il punto: Francesco è sotto attacco perché ci sta dando quotidiane lezioni di che cosa significhi essere cristiani nella società post-moderna. Si rifà, così, alle definizioni “pastorali”, e non solo, dell’ultimo Concilio, definizioni che hanno provocato anche un ripensamento della concezione intellettualistica, manualistica, “scolastica” della teologia. Promuovendo così una nuova teologia che, coniugando “trascendenza” e “immanenza”, tenga conto della “storia” e del suo evolversi, senza dimenticare affatto, naturalmente, il “fondamento” del cristianesimo stesso. Una teologia, nella debita misura, finalmente attenta anche alla cifra “antropologica”.
Il problema è che la posizione di Francesco, che finisce con avere significativi riflessi sulla stessa politica, è invisa a consistenti gruppi di cristiano/cattolici (conservatori e integralisti). Negli Usa, ma anche in Italia.
Personalmente, sul piano dei valori cristiani da tradurre in politica, non ho nulla da spartire con questi ambienti. Perché in politica (nella Dc, nel Ppi, nella Margherita, nel Pd) io mi sono sempre dichiarato «cattolico» sì, ma anche, insieme, «democratico», non scindendo mai i due termini. Certo, la Dc si definiva partito «di centro», però da De Gasperi e da Moro il “centro” non è mai stato considerato come un’idea statica, immobile nella sua fissità, bensì come un’idea in continuo movimento. In realtà, un “centro” che ha voluto sempre guardare verso le istanze della sinistra. Anche in ragione di ciò, e proprio in conseguenza della mia visione del mondo e della mia cultura politica, io, nonostante qualche problema, mi trovo più a mio agio in un partito dichiaratamente di “centrosinistra”, non di “centro”. Consapevole e memore che i partiti che ho frequentato nella mia esperienza politica hanno contribuito, insieme ad “altri”, alla tenuta democratica del paese, provando a realizzare un’economia mista, una società meno crudele di altre sul welfare, con un ancoraggio istituzionale fortemente europeo.
«Insieme ad “altri”», dicevo. Sarà anche in ragione di ciò che, prescindendo dalla questione tecnica della legge elettorale più opportuna, oggi io non disdegno la prospettiva del «bipolarismo». Non parlo di «bipartitismo» modello anglosassone, che, di fatto, mortifica la tradizione pluralista. E non mi piacciono neppure leaderismo e presidenzialismo, che deprezzano il pluralismo sociale e istituzionale.
Detto questo, sul tema in esame, avendoci bene riflettuto, sto registrando con una certa simpatia i pensieri apparsi su «Appunti» 2/2020, a firma, rispettivamente, di Franco Monaco e Filippo Pizzolato, in dialogo con la proposta Zamagni. Assai perplessi entrambi sul partito cattolico di “centro”, o come lo si voglia chiamare.
Dell’intervento di Monaco, apprezzo in particolare questi passaggi: nella situazione data ‒ egli osserva ‒, «occorrono scelte di valore e ricette che sanno di radicalità, non di centro moderato». Chi ha provato nel passato a interpretare il centro moderato non ha «brillato per qualità, quantità e persino durata». Il profondo «disagio materiale e spirituale che affligge la società» concorre «a premiare le proposte radicali, non quelle moderate di centro». Il problema ‒ prosegue ‒ non è quello di una nuova offerta politica, ma della «razionalizzazione di un sistema politico già decisamente frammentato». Serve semmai una «rigenerazione dei partiti attuali». In definitiva, occorre concorrere a organizzare «un fronte largo e unitario che positivamente rappresenti un’alternativa politica alla egemonia manifesta e insidiosa di una destra illiberale, nazionalista e sovranista». «Non ci possiamo permettere posizioni ambiguamente terziste».
Pizzolato, per parte sua, è perplesso sull’idea di fare dei cattolici il «baluardo della tenuta sistemica [...] a guardia di un ordine di cui in teoria continuano a contestare le ingiustizie», che in pratica permangono. Avverte pertanto: «Attenzione cioè che l’oasi si presti, al di là delle stesse intenzioni, a diventare roccaforte dell’esistente, votata alla moderazione, che immediatamente viene scambiata per conservazione». E ricorda che il posizionamento politico dei cattolici «è sempre stato plurale, nonostante le forzature e le convenzioni storiche». Oggi, questo posizionamento è inafferrabile e indefinibile. Una volta, il cattolicesimo «costituiva le basi della cultura popolare, dettava le scansioni stesse della vita e permeava gli orizzonti della vita sociale», ma attualmente non è più così. Con riferimento, poi, allo slogan dell’ipotizzato nuovo partito: «Antagonisti alla destra, alternativi alla sinistra» ‒ una definizione che tenta, a mio avviso, con difficoltà di non mettere sullo stesso piano il tipo di diffidenza verso i due gruppi ‒, Pizzolato obietta, ed io condivido, che non si può paragonare il Partito democratico alla destra di oggi, «autoritaria e rozza». E segnala altresì che non si possono rigettare tutti i partiti, alla cui storia i cattolici hanno ampiamente contribuito. Il rischio, conclude, è quello di uno svuotamento delle componenti più ragionevoli dei due poli, contribuendo, di fatto, a una più marcata polarizzazione del paese.
Sono convinto che una delle ragioni (pur non espressamente dichiarata) dell’avversione dei fautori del nuovo partito al Pd abbia a che fare in qualche misura con la questione dei cosiddetti «valori non negoziabili». Irrita cioè il “laicismo” di una parte degli esponenti del Pd. Sul tema, da anzianetto, oso allora fare le seguenti considerazioni: ho vissuto i tempi dei referendum del 1974 sul divorzio e di quello sull’aborto del 1981. Allora giovane militante Dc “al fronte”, votai (ovviamente?) contro entrambi gli istituti, impegnandomi anche di persona nell’agone elettorale. E fui sorpreso, come buona parte dei cattolici, credo, dall’esito di dette consultazioni: nella “cattolicissima” Italia di allora, con una Chiesa ancora forte nella società, e il partito «d’ispirazione cristiana» con grandi posizioni di potere, il divorzio fu approvato da circa il 60% dei votanti, e, sette anni più tardi, l’aborto (argomento ovviamente ben più delicato e problematico del divorzio) ottenne il favore del 70% dei partecipanti. Il fatto è che è la secolarizzazione era avanzata già allora, ma la gerarchia cattolica e gli esponenti di peso della Dc (come dimenticare le battaglie di Amintore Fanfani?) non se n’erano sufficientemente accorti. Negli ultimi anni sono poi arrivate le «unioni civili» (anche per le coppie omosessuali). Oggi tiene banco la questione del Gender e c’è in ballo la proposta di legge sull’omotransfobia...
Mia impressione è che per certi cattolici, che magari auspicano un illusorio e impossibile ritorno al passato, questi profondi e diffusi cambiamenti di costume e di sensibilità etica siano attribuibili in gran parte proprio alla responsabilità di una cultura di sinistra, rispetto alla quale molto ha inciso anche l’area ex Pc confluita nel Partito democratico. Ecco un’altra ragione, oltre a quelle più squisitamente politiche, per ritenersi, ci dicono, «alternativi» alla sinistra. Io, invece, ho quest’opinione: i comunisti (passati e... i pochi rimasti) c’entrano poco. E non lo dico soltanto perché, avendo fatto (provenendo da una famiglia “proletaria”) il sindaco Dc per anni, decenni orsono, con i comunisti all’opposizione, ho sempre registrato che su non pochi valori, diciamo, “cattolici” non c’erano grandi differenze tra democristiani e «compagni» di allora.
Mia convinzione, piuttosto, è che la situazione attuale, in Italia e nel mondo occidentale in genere, è figlia della cultura che via via negli ultimi decenni è stata inoculata in particolare dai media e da certi “poteri” fautori di una visione economico-finanziaria di neo-liberismo spinto, quindi con predominio incontrollato della finanza sull’economia reale. C’è bisogno allora di un profondo ripensamento del “sistema” che abbiamo costruito, caratterizzato tra l’altro da iper-consumismo. Un “sistema” che ha aggravato non poco le differenze sociali. Occorre, dunque, un ripensamento che ci consenta di riparare almeno in parte i guasti sopra accennati. E, in questa impegnativa operazione, i cattolici sufficientemente sensibili, possono avere, certo, un ruolo significativo, pur militando in raggruppamenti politici diversi.
Per parte mia, confermo di non trovarmi, nonostante tutto, particolarmente a disagio nel Pd, cioè nel partito più rappresentativo dell’area di centrosinistra, la cui visione in merito a diseguaglianze, povertà, immigrazione, giustizia, libertà, lavoro, sussidiarietà è in buona parte alternativa a quella del centrodestra. Resta da vedere se effettivamente quest’area, al suo interno composita, riesce a trovare le necessarie convergenze per proporsi in modo convincente come forza di governo distante da populismi e sovranismi.
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