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Una legge che aiuta a far ripartire la Giustizia e dà forza alla lotta alle mafie

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli Intervento in Senato di Franco Mirabelli in dichiarazione di voto della Conversione in legge del decreto Giustizia (video).

Voteremo, ovviamente, la fiducia al Governo su questo provvedimento. Quello che stiamo per votare è un provvedimento positivo ed importante, che aiuterà a far ripartire la macchina della giustizia dopo la lunga pausa imposta dalla pandemia, darà più forza alla lotta contro le mafie e consentirà, con una norma primaria, di sostenere uno strumento importante per combattere il Covid-19 come l'APP Immuni.
Voglio dire subito, come già riconosciuto anche da diversi interventi delle opposizioni, che la legge di conversione che stiamo per votare è frutto del contributo di tutti.
Sono state votate decine di emendamenti che hanno migliorato e arricchito il testo del decreto. Molti di questi sono stati presentati dalle opposizioni e dalle minoranze e ciò va a merito dello spirito costruttivo che ha guidato il lavoro in Commissione Giustizia, ma anche della disponibilità del Governo a valorizzare i contributi del Parlamento.
Voglio sottolineare questo lavoro comune perché lo considero importante ma anche per evidenziare come siano sbagliati i toni di contrapposizione propagandistica che abbiamo ascoltato durante la discussione in Senato. Sul merito del decreto, voglio innanzitutto sottolineare brevemente le scelte fatte per far ripartire nel migliore dei modi le attività della giustizia.
La stessa proroga del termine per l'entrata in vigore della legge sulle intercettazioni è figlia della richiesta venuta da molte procure di lasciare loro il tempo necessario per attrezzarsi alla corretta gestione degli archivi.
Dopo i mesi di stop che hanno impedito di portare avanti questo lavoro, era giusta e lecita una richiesta di questo tipo.
Ho sentito alcuni colleghi dire che avevano previsto la necessità di un rinvio già durante l’approvazione del Decreto Intercettazioni, in realtà senza la pandemia non c’è ne sarebbe stato bisogno e ulteriori rinvii paventati per il futuro non sarebbero accettabili per il PD.
In secondo luogo, penso che sia importante la scelta di anticipare al primo luglio l’apertura dei tribunali e delle udienze, così come ci avevano sollecitato a fare tanti operatori della giustizia; così come è importante aver fatto questo passaggio salvaguardando programmi e scadenze già fissate. Aggiungo che il tema dei processi civili e penali da remoto e l’utilizzo della trasmissione telematica degli atti e delle comunicazioni trovano in questo decreto limiti chiari di utilizzo, soprattutto nel processo penale. È evidente, però, che dopo questi mesi il tema è di grande interesse: è evidente che l’utilizzo della rete può diventare una straordinaria opportunità per velocizzare le procedure e ridurre i costi. Il lavoro sulle riforme del processo penale e civile dovrà, quindi, tenerne conto e la discussione e l’esperienza di questi mesi dovranno essere un riferimento per questa discussione.
Questo provvedimento serve anche a dare più forza e più strumenti allo Stato per la lotta alle mafie.
La lotta alle mafie non si è mai interrotta, nonostante ciò che dicono tanti professionisti della propaganda: basta vedere quante inchieste solo in queste settimane hanno portato a centinaia di arresti da Trapani, a Palermo, dalla Calabria e la Campania fino in Veneto, per dire senza dubbio che lo Stato c’è ed è in grado di assestare colpi durissimi alle mafie. Non aiuta raccontare una cosa diversa, come si fa troppo spesso per pura propaganda; raccontando di cedimenti e passi indietro nella lotta alle mafie fa danni e alimenta quella sfiducia e quelle divisioni che aiutano la criminalità organizzata.
Certamente la messa agli arresti domiciliari - insisto sul fatto che si è trattato di arresti domiciliari, nessuna liberazione, nessuna umiliazione dell’attività di magistrati e forze dell’ordine come ho sentito raccontare - di troppi condannati per reati di mafia è stata grave e ha fatto emergere la necessità di ulteriori norme per garantire che i mafiosi non possano tornare nei propri territori, ricostruendo i rapporti con le proprie organizzazioni.
Questo è il senso di una parte importante dei decreti che stiamo approvando.
All'inizio della pandemia, come giustamente hanno fatto tutti i Paesi d'Europa, ci siamo posti il problema di preservare la salute dei detenuti e di chi opera i carcere, sapendo che il sovraffollamento e l'istituzione chiusa rendono difficile il distanziamento sociale e le altre misure applicate all'esterno.
Preservare la salute anche dei detenuti - di tutti i detenuti - è un dovere e una responsabilità a cui non potevamo e non possiamo sottrarci. Infatti, il punto non è stato questo, come non è l’articolo 123 del Decreto Cura Italia, che prevedeva gli arresti domiciliari con il braccialetto per chi doveva scontare ancora fino a 18 mesi di pena ma escludeva esplicitamente i reclusi al 41bis o per reati di mafia. Neanche l’ormai famosa circolare del DAP che segnalava la necessità di salvaguardare i soggetti a rischio di fronte al pericolo covid, è all'origine del problema.
Il punto è stato che il rapporto quotidiano tra il DAP e le Procure Antimafia, con cui si aggiornava la situazione dei detenuti per reati associativi, si è interrotto e la Procura non ha potuto far valere il proprio diritto di segnalare i rischi di reiterazione dei rapporti con le organizzazioni criminali e impedire gli arresti domiciliari.
In secondo luogo - fermo restando che il diritto alla salute va garantito anche ai peggiori criminali (e spero che su questo siamo tutti d’accordo) - non si sono reperite strutture alternative agli arresti domiciliari in grado di garantire insieme la sicurezza e la salute del detenuto e questo spettava al DAP farlo.
Oggi, con questi due provvedimenti - quello che obbliga la magistratura di sorveglianza a chiedere e ottenere il parere delle Procure Antimafia in merito ai collegamenti tutt'ora esistenti con le organizzazioni criminali e alla pericolosità del detenuto e quello che chiede alla Sorveglianza di rivalutare ogni 30 giorni i provvedimenti assunti a fronte di ipotesi alternative di reclusione, compatibili con lo stato di salute del detenuto - interveniamo per impedire il ripetersi di vicende come quella della scarcerazione dei boss.
Prima di concludere, vorrei evidenziare altri due interventi fatti sul testo del decreto-legge attraverso emendamenti approvati insieme alla senatrice Piarulli, in qualità di Relatori.
Il primo provvedimento è quello che, dopo molti anni, stabilisce regole certe rispetto alla possibilità di ingresso e di intervento di un Garante nell'ambito del regime carcerario ai sensi del 41-bis, su cui c'era incertezza. L'unica cosa certa, che abbiamo ribadito, era che il Garante nazionale può incontrare i detenuti, in nome di una serie di Trattati internazionali, anche senza videoregistrazione. Non era normato, invece, ciò che potevano fare i Garanti regionali e i Garanti locali, ma oggi con il provvedimento in via di approvazione lo è.
Abbiamo, quindi, messo in sicurezza anche questo punto, perché i Garanti locali che incontravano e parlavano con detenuti in regime di 41-bis era una cosa inaccettabile.
Nella discussione fatta è prevalsa la ricerca di sostenere la necessità di tenere in carcere le persone.
Personalmente, penso che la condizione carceraria sia una cosa importante, rispetto alla quale dobbiamo stare attenti.
Siccome il lockdown ha bloccato i colloqui e ha dimostrato che per i detenuti si può usare tranquillamente e in sicurezza lo strumento del telefono e dell'incontro da remoto con i familiari, con questo provvedimento si stabilisce che i detenuti con figli minori o con figli disabili possano telefonare una volta al giorno ai propri congiunti (si parla di genitori o conviventi o coniugi). Credo che questo sia un atto di civiltà e di umanità, una misura di cui il Parlamento deve essere fiero, visto che su questo emendamento la Commissione Giustizia ha votato a favore quasi all'unanimità.
Concludo riconoscendo al Governo e ai Ministri di averci ascoltati.
Nel dibattito sulle mozioni di sfiducia al Ministro della Giustizia, chiedemmo a Bonafede di riconoscere la coalizione che lo sostiene, di non fare le cose da solo, di condividere le scelte con la maggioranza. Su questi decreti-legge è stato così e ne siamo soddisfatti. Ci attendono provvedimenti e riforme importanti, a partire da quella del Consiglio Superiore della Magistratura nonché le riforme del processo penale e di quello civile.
Questo passaggio dimostra che, se la maggioranza lavora così, su un terreno così difficile e spesso divisivo, possiamo fare molto e bene per questo Paese.

Per seguire l'attività del senatore Franco Mirabelli: sito web - pagina facebook

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