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Una società per azioni per non lasciare la nostra civiltà in balìa del vento

Scritto da Giuseppe Sala.

Giuseppe SalaArticolo di Giuseppe Sala pubblicato da Repubblica.

Nel corso della vita mi sono trovato a svolgere diverse azioni di governo. In azienda, nell'ambito pubblico, nel Comune di Milano. Esperienze entusiasmanti, che hanno messo a dura prova volontà, determinazione, conoscenza, coscienza, limiti, pregi, non solo di me stesso, ma delle funzioni e delle regole di governo nel loro complesso.
Per quanto mi prodigassi a interpretare al meglio i ruoli che ero chiamato a ricoprire, accanto all'ovvio orgoglio ho sempre sentito il disagio, l'imbarazzo, la sensazione sottile di essere limitato e inadeguato. Ho scoperto, con l'esperienza, che quelle sensazioni non pervadevano solo me, ma tante persone che occupavano cariche analoghe.
Qualcuno mi ha suggerito che i limiti che ciascuno di noi avverte per se stesso, in verità, sono limiti del sistema. Qualcun altro, al contrario, ha ipotizzato che il sistema è sempre limitato perché non è altro che l'insieme dei nostri singolari limiti. Tra i due estremi ho maturato la convinzione che entrambe le posizioni avessero senso, ma che il senso profondo potesse definirsi nella sintesi di quei differenti pensieri.
Considerando cioè che i nostri limiti dipendono dai limiti di sistema, così come i limiti di sistema dipendono dai nostri singolari limiti. In fin dei conti, se vogliamo produrre un cambiamento positivo e progressivo nell'attività che svolgiamo, dobbiamo tenere presente sia i nostri limiti sia i limiti del sistema e partire da questa consapevolezza per agire concretamente e tentare di superarli. Il limite è l'asta che utilizziamo per saltare oltre l'ostacolo.
La conferma di questo ragionamento sta nelle evidenze che la storia presente ci fornisce. Le dottrine politiche sono in crisi, le metodologie di governo sembrano incapaci di affrontare i salti epocali in corso, le ricette sembrano più confuse di un tempo e chi svolge attività di governo, a qualunque livello e in qualunque Paese del mondo, esita, ha serie difficoltà. Per quanto mi sia sforzato di studiare, di ascoltare, di verificare se le idee presenti nell'ambito politico fossero in grado di affrontare adeguatamente i problemi, ho riscontrato un senso di inadeguatezza. Inadeguatezza alla quale mi sono sforzato di dare una definizione. Non è inadeguatezza solo di questo o di quell'attore politico, di questa o di quella dottrina politica, ma inadeguatezza ben più radicale. Quella dovuta al fatto che manca un'idea di mondo per il mondo presente e futuro. Senza quest'idea di mondo, continueremo ad agire trasportati dal vento in ogni direzione. Più che abili a governare, diverremo sempre più governati dalle occasioni, da una storia che ci trascina dietro di sé perché non abbiamo le idee per essere alla sua altezza. Più che timonieri di una barca a vela che si vuole portare in una direzione precisa, diverremmo passeggeri di un'imbarcazione spinta qua e là da un vento capriccioso.
Conscio di questa inadeguatezza, ho pensato che prima di tutto occorresse chiedersi: per fare che cosa, per fare come? Cosa si può pensare, come si può pensare?
Ne ho parlato con amici e con persone che lavorano con me e ho speso qualche ora serale per discutere via Skype con colleghi sindaci stranieri. E con tutti si è tornati su questa domanda: se ciascuno di noi è insufficiente, se le idee maturate finora sono parimenti insufficienti, quali idee è possibile formulare per compiere un salto di cultura politica e proporlo alla discussione?
Non si tratta di elaborare tesi politiche per un programma di governo fantasma e non è importante che siano le mie idee o le nostre idee. Non è questo il punto. L'importante è che siano idee su cui valga la pena di ragionare. Di ragionare e dibattere rispetto a una diversa idea della politica, del governo, del mondo, degli affetti e delle azioni necessarie per pensare a una società più equa. Questo libro non ha una ragione strumentale, ma un intento passionale.

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