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Da Milano un esempio per la Giustizia e la Legalità

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli Intervento di Franco Mirabelli svolto al tavolo Giustizia e Legalità dell'evento Milano Italia del PD Milano.

Credo che lo spirito dell’iniziativa dei tavoli di “Milano Italia” sia quello di individuare il contributo che Milano può dare rispetto ad alcune questioni.
Farò, quindi, alcune osservazioni.
Il coronavirus è stato un fattore totalmente inedito e ha prodotto molte cose.
Su tutto il tema della Giustizia, che è una materia sensibile, ci siamo trovati a dover fronteggiare l’emergenza e a intervenire da subito con diversi decreti.
In questa situazione emergenziale, la nostra attenzione è stata quella di cercare di evitare il più possibile di modificare l’ordinamento con decreti e abbiamo anche resistito su questo ma abbiamo introdotto comunque norme nuove e anche modalità di funzionamento che, una volta finita l’emergenza, dovranno essere approfondite.
Si continua a spiegare che la ripartenza deve essere veloce e si deve fare in fretta, quindi, sicuramente c’è il tema della rapidità da coniugare con i ritmi dei cittadini e questo riguarda anche la Giustizia.
Già prima del coronavirus avevamo ragionato sulla necessità delle riforme della Giustizia penale e civile proprio per assicurare ai cittadini tempi rapidi di definizione delle diverse cause e dei diversi procedimenti e oggi è ancora più necessario. Anche per l’economia, infatti, avremo bisogno di garantire una Giustizia che funzioni meglio, che sia più rapida, in grado di dare risposte più velocemente, altrimenti rischia di diventare uno di quei capitoli che rientrano nelle definizione vaga e larga della “burocrazia” che condiziona molto la nostra economia, oltre che la nostra vita civile e sociale.
Su questo aspetto, il Tribunale di Milano può e deve recuperare. Tutti i Procuratori che sono stati in audizione nelle Commissioni al Senato, hanno raccontato che al Tribunale di Milano erano riusciti a mettere in pratica dei protocolli che, sostanzialmente, avevano eliminato lavori arretrati e, quindi, coerentemente con i tempi stabiliti dalle normative europee, tutto il residuo si era azzerato.
La sospensione dell’attività dovuta al coronavirus riporta di nuovo la necessità di recuperare.
Dovremo affrontare anche il tema del lavoro da remoto: sicuramente, infatti, l’uso della tecnologia con il lavoro da remoto, l’utilizzo della PEC, il deposito dei documenti per via telematica possono essere una parte della risposta alla necessità di velocizzare i processi.
Dentro alla riforma del processo penale e anche in quella del processo civile avevamo già dato queste possibilità, prevedendo un utilizzo molto maggiore della rete e delle comunicazioni telematiche.
Su questo a Milano è stato siglato un Protocollo da magistrati, avvocati e amministrativi, che sta funzionando, secondo quanto hanno raccontato i Procuratori che sono stati in audizione nelle Commissioni al Senato.
Su questo tema, quindi, probabilmente si può portare un contributo.
Il PD pensa che in questa fase i magistrati di sorveglianza abbiano fatto un lavoro straordinario e il risultato di avere 9mila persone in meno nelle carceri italiane lo si è ottenuto in parte con il blocco dell’esecuzione della pena ma soprattutto con l’assunzione di responsabilità da parte dei tribunali di sorveglianza che hanno usato gli strumenti che avevano. Noi abbiamo fornito strumenti in più con le ultime normative.
Credo, quindi, che la magistratura di sorveglianza abbia fatto un grande lavoro.
Sulla vicenda delle scarcerazioni di detenuti in regime di alta sicurezza e in carcere per reati di mafia, i magistrati di sorveglianza hanno fatto il loro lavoro, cercando di salvaguardare la salute delle persone ma il DAP e, in particolare, la Direzione del DAP non ha fatto il lavoro che avrebbe dovuto su questo.
Il DAP avrebbe dovuto tenere i collegamenti con le Procure Distrettuali Antimafia e con la Procura Nazionale Antimafia, come era sempre avvenuto, e avrebbe dovuto proporre soluzioni alternative al carcere che conciliassero la sicurezza della detenzione, affinché non si ricostruissero i legami con la criminalità, e il diritto alla salute.
Il DAP ha mancato in questo e penso che fosse necessario intervenire, come abbiamo fatto, perché - al di là del racconto strumentale che può esserci stato da parte dei media e delle forze politiche di opposizione - siamo in una fase in cui abbiamo bisogno di avere una fortissima credibilità dello Stato nella lotta alla mafia, perché adesso la criminalità può di approfittare della crisi. La vicenda delle scarcerazioni dei boss non poteva essere lasciata passare senza gli interventi che abbiamo fatto, quindi, perché bisognava dare ai cittadini l’idea di uno Stato che su questo tema non demorde, che non rinuncia a fare la lotta alla mafia ma, anzi, si attrezza di più. È evidente anche che a Milano e in Lombardia saremo più esposti al rischio di infiltrazioni mafiose nell’economia legale, come siamo stati più esposti in questi anni, come dimostrano anche le ultime inchieste. Questo è il vero problema che abbiamo di fronte con la ripartenza.
Arriveranno, infatti, molti finanziamenti; ci saranno molti appalti ed è evidente che tutto ciò diventa appetibile per la criminalità organizzata e noi dobbiamo alzare dei muri di legalità, costruire delle prassi.
Il Ministro Lamorgese ha messo in campo in ogni Prefettura tavoli che vedono coinvolte tutte le parti sociali, le associazioni di categoria, i commercianti e gli imprenditori per monitorare la situazione sui territori.
Dobbiamo impedire che la criminalità organizzata si appropri delle risorse che stiamo mettendo in campo.
Questo si fa, innanzitutto, facendo in modo che il credito e la liquidità vengano garantiti dallo Stato e non ci sia bisogno di rivolgersi alla criminalità per questi servizi, ma si fa anche mettendo in campo una serie di misure su cui penso che Milano possa fare da esempio, perché abbiamo esperienze da raccontare.
I protocolli di sicurezza contro le penetrazioni della criminalità organizzata che erano stati fatti per Expo restano validi: quel tipo di controlli, quel tipo di coordinamento dei dati e delle forze dell’ordine per impedire la penetrazione della criminalità organizzata negli appalti di Expo è poi stato usato anche per altri grandi eventi.
C’è poi l’esperienza che sta facendo il Comune di Milano con una serie di misure e di buone pratiche che può fare da modello per altri Comuni per alzare ulteriormente le difese rispetto alle mafie.
Sempre dentro la logica della ripartenza, che deve essere meno burocratica e più veloce, avremo di fronte il tema di tenere un equilibrio tra la difesa delle regole che garantiscono la legalità e la velocità.
C’è chi, a partire dalla Lega ma non solo a destra, sostiene che per fare le cose in fretta bisogna ridurre le regole (Salvini dice che bisogna sospendere il Codice degli Appalti, sospendere il Codice Antimafia, sospendere il Codice di tutela ambientale).
Personalmente, penso che non possiamo seguire questa strada ma dobbiamo, invece, garantire la tenuta delle regole e delle barriere contro le mafie e contro la corruzione e, allo stesso tempo, dobbiamo essere capaci di fare presto.
Milano è un esempio su questo per gli appalti, in quanto ha due centrali appaltanti (una per ciò che si costruisce e l’altra per i servizi), centralizza, ha professionalità e i tempi si abbreviamo di molto rispetto a tutto il percorso per arrivare a definire le opere.
Anche su questo, quindi, penso che possiamo essere di esempio, sapendo che questo fronte sarà decisivo ma rischia di andare in cortocircuito. Il cortocircuito sta nel fatto che da una parte abbiamo tutti la consapevolezza che le mafie possono cogliere questa occasione per rafforzarsi e entrare nell’economia legale e prendersi le aziende, come è accaduto con la crisi del 2008, e dall’altra parte però, in nome della velocità, si può pensare di decidere di dismettere una serie di prassi e cautele che sono state messe in campo proprio per contrastare le mafie.

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