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Lo Stato è attrezzato per combattere le mafie

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco MirabelliIntervento di Franco Mirabelli a Radio Lombardia.

L’inchiesta di oggi è la conclusione di un lavoro importante fatto dalla Guardia di Finanza e dalla Procura di Palermo che ha svelato quello che molte volte abbiamo detto, cioè che la criminalità organizzata – in questo caso la mafia – si sono insediate a Milano e in Lombardia e si sono insediate dentro all’economia legale: hanno acquisito imprese, ristoranti, luoghi commerciali, riciclando denaro proveniente da reati, come droga, usura o pizzo.
Questa vicenda mostra anche che la mafia è in grado di fornire servizi alle aziende, come il recupero crediti.
Oggi, quindi, si capisce di più l’allarme che hanno lanciato i Procuratori antimafia in questi giorni: il rischio che la criminalità organizzata, avendo tante risorse, possa approfittare in diversi modi della crisi economica prodotta dalla pandemia è un dato di realtà.
O lo Stato riesce ad aiutare le persone e le imprese, garantendo finanziamenti anche a fondo perduto, come stiamo cercando di fare anche con il Decreto che dovrebbe avere luce in questi giorni, o altrimenti le mafie possono trovare grandi spazi. Per evitare questo bisogna alzare le barriere, stare attenti, fare i controlli sulle aziende e sui flussi finanziari.

Da molto tempo stiamo dando colpi molto forti alla mafia. Lo Stato sta combattendo le mafie e i 90 arresti di questa mattina lo testimoniano. Lo Stato è attrezzato per combattere e rispondere alle mafie colpo su colpo.
Dobbiamo continuare ad attrezzarci sapendo che le mafie cambiano continuamente il loro modo di agire, facendo attenzione ai flussi finanziari e al rispetto delle norme per impedire che le mafie si insedino nell’economia legale.
Questa è la sfida di oggi.

Nelle scorse settimane avevamo fatto dei provvedimenti per ridurre la presenza di detenuti nelle carceri, che sono già in una condizione di sovraffollamento e, con il coronavirus, si rischiava di creare una situazione interna esplosiva. Il provvedimento consentiva di mandare agli arresti domiciliari e con i braccialetti elettronici i detenuti che avevano ancora da scontare 18 mesi ma era scritto esplicitamente che quelle misure non si potevano applicare ai condannati per mafia e ai detenuti in regime di 41 bis o alta sicurezza.
In molte parti d’Italia, però molti mafiosi hanno chiesto di avere gli arresti domiciliari per ragioni di salute e, come si è visto, qualcosa non ha funzionato.
I magistrati di sorveglianza hanno fatto il loro lavoro ma i dirigenti del DAP, che governano il sistema carcerario, no perché avrebbero dovuto offrire soluzioni che garantissero la salute e contemporaneamente la detenzione in alta sicurezza, inoltre non era stata informata la Procura Nazionale Antimafia, che è quella preposta a verificare se le persone che chiedono benefici abbiano mantenuto o meno i collegamenti con la criminalità organizzata e, dove ci fossero impedisce, gli arresti domiciliari.
Oggi, con gli ultimi provvedimenti, abbiamo reintrodotto questi percorsi: con il decreto precedente c’è l’obbligo per i magistrati di sorveglianza di informare la Direzione Nazionale Antimafia delle richieste di benefici da parte dei detenuti e, con il nuovo decreto, abbiamo dato mandato ai magistrati di sorveglianza di riaprire queste vicende per verificare se le ragioni di salute permangono e, in quel caso, verificare con il DAP la possibilità di soluzioni alternative agli arresti domiciliari che comunque garantiscono la salute.

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