Paese ingessato, le riforme liberali hanno valenza di sinistra
Intervista a Piero Fassino di Fabio Martini - La Stampa.
Tra le personalità un tempo comuniste che hanno traghettato il Pci verso il Pd, Piero Fassino ha sempre avuto un tratto liberal: nel passato ha espresso giudizi anticonformisti sulla storia della sinistra e più di recente si è affiancato a Matteo Renzi, prima che lo facessero in tanti. Un profilo che consente al sindaco di Torino di esprimere una volta ancora valutazioni fuori dal coro. In un Paese ingessato come l'Italia riforme liberali come quelle incardinate da Renzi paradossalmente assumono un connotato di sinistra?
«Certamente. Purtroppo l'Italia non ha mai avuto grandi riforme liberali, che nella storia hanno sempre avuto un segno progressista e anti-aristocratico. Liberale è chi libera risorse, chi cambia il sangue al sistema».
La tentazione di scissione che circola nella sinistra del Pd, magari nella testa di qualche ex leader?
«Il pensiero può esserci, non è vietato, ma non mi sembra che un nuovo partito possa avere un mercato. Fare scissioni e nuovi partiti è cosa che appartiene al passato, oggi sarebbe operazione poco realistica e in ogni caso venata di nostalgia».
Che differenza c'è tra il Pd al governo e quello all'opposizione?
«La sinistra ha sempre il dovere di cambiare, non di conservare lo status quo».
In oltre cento anni dì vita organizzata della sinistra mai si era determinato un conflitto così aspro tra Cgil e principale partito della sinistra. Che segnale è? Un unicum anche in Europa...
«Non è così. Nella storia del movimento operaio italiano ed europeo non sono mancati momenti di divaricazione. In Germania, per esempio, tra governo Schroeder e Ig Metal ma anche in Italia. Per definizione il sindacato ha la rappresentanza di una parte, i lavoratori dipendenti, mentre chi governa ha il dovere di assumere decisioni che corrispondano ad un interesse generale, anche esponendosi ad impopolarità e rischi, che nel caso più recente, in ogni caso non sono il riflesso di una deliberata scelta di conflitto».
Perché sarebbe di sinistra abolire la possibilità di intervento della magistratura nei licenziamenti?
«Le argomentazioni di chi è contro, non tengono conto del contesto passato e attuale. Lo Statuto dei lavoratori risale al 1970 e allora erano vicini gli anni nei quali tanti lavoratori erano stati discriminati e licenziati per la loro appartenenza politica e sindacale. Dunque l`articolo 18 fu concepito proprio per impedire che si riproducessero quelle discriminazioni. Se quell`articolo fosse stato immaginato, come qualcuno sostiene oggi, per tutelare, genericamente i lavoratori dal rischio di perdere il posto di lavoro, allora la giusta causa avrebbe dovuto essere applicata ai lavoratori delle aziende al di sotto dei 15 dipendenti. Perché è lì che si rischia di più».
Ma in 44 anni la tutela si è allargata quasi a prescindere dai legislatori: perché oggi il reintegro via tribunale sarebbe diventato controproducente?
«Oggi siamo in un contesto radicalmente diverso da quello del 1970. Lo Statuto fu concepito prima della moneta unica, prima della globalizzazione, con un mercato del lavoro rigido, quando eravamo "difesi" da filtri protezionistici: ce lo ricordiamo o no, che allora le macchine giapponesi non si potevano vendere in Italia?»
Da allora cosa altro è cambiato da imporre una riforma a prima vista poco amichevole verso i lavoratori?
«E' cambiato tutto. E se vogliamo superare le troppe forme di precarietà, proliferate in questi anni, dobbiamo far sì che le aziende tornino ad assumere a tempo indeterminato, occorre superare le troppe barriere che hanno irrigidito il mercato del lavoro. Le modifiche all`articolo 18 proposte da Renzi, da una parte consentono di tutelare con il reintegro chi sia colpito da discriminazioni e dall`altra di accompagnare con l`indennizzo e con gli ammortizzatori sociali chi abbia perso il posto e sia alla ricerca di un nuovo lavoro».
Non è eccessivo bollare di conservatorismo la sinistra del Pd che difende l'attuale normativa?
«Rispetto le posizioni di ciascuno, non mi ergo a giudice. Dico che la sinistra, poiché è nata per cambiare, deve liberarsi dall`istinto di mettere le mani avanti ogni volta che è davanti alla necessità del cambiamento. La sinistra ha il dovere di innovare e non di conservare lo status quo, deve stare sempre un metro avanti, non dietro la domanda di cambiamento. Che oggi è forte ed è intercettata da Matteo Renzi».
Nella minoranza del Pd fanno notare che Renzi è a palazzo Chigi grazie al 25% conquistato da Bersani...
«Non dimentichiamo che in dodici mesi il Pd è passato dal 25% al 40: quel 15% in più dimostra che Renzi ha una grande capacità di interpretare aspettative di cambiamento che oramai sono molto diffuse nel Paese».