Stampa

Libania Grenot in corsa per l’Italia

Scritto da Stefano Pasta.

Stefano PastaArticolo di Stefano Pasta pubblicato da Il Corriere della Sera.
«Avevo paura di me stessa per quanto ero sicura e convinta che quell’oro dovesse essere mio!».
Questa è la grinta della Panterita, la donna italiana più veloce di sempre nei 400 metri (la prima a scendere sotto il muro dei 51 secondi) e la campionessa europea in carica. Sì, a Ferragosto, agli Europei di atletica a Zurigo, scattando in corsia 3, ha vinto una delle tre medaglie azzurre della spedizione (le altre arrivano dalla maratona, oro per Daniele Meucci e argento per Daniela Straneo). Veniamo al nodo del contendere: è giusto che corra per l’Italia una donna che ha un nome russo (Libania), un cognome cubano (Grenot), la pelle più scura della maggior parte degli italiani, è nata e cresciuta a Cuba, ha la cittadinanza cubana dalla nascita e solo dal 2008 quella italiana, ha corso fino al 2005 per la Nazionale cubana? Libania, che molti chiamano Panterita con il soprannome datole dal fratello, ci risponde dalla sua casa di Ostia dopo una “giornata tipo”: allenamento al mattino dalle 10 alle 12, al pomeriggio dalle 15 alle 18.

 

Le chiediamo di raccontarci la sua storia. È nata nel 1983 a Santiago, dove in una scuola di atletica le fanno fare un test sui 400 metri. Tempo: 1 minuto e 12 secondi, a 9 anni! «Si sono meravigliati e da lì è iniziata la mia avventura sportiva», racconta. Tappe successive: «La convocazione a 14 anni nella Nazionale cubana per i Mondiali Allievi e quella ai Mondiali di Helsinki nel 2005, sempre con Cuba». Arriva però la svolta azzurra: nel 2004 conosce un italiano, Silvio, che sposa nel 2005, ottenendo la doppia cittadinanza nel 2008. Da Santiago a Casal Palocco, Roma: «Occorre adattarsi ad un nuovo modo di pensare e di vivere, ai cubani basta poco per essere sorridenti…».
La scelta della Nazionale non è stata difficile: «È stata naturale, perché ormai vivevo in Italia ed era normale vestire la maglia azzurra». Nel 2008 fa il record italiano, che poi migliorerà, e, con le Olimpiadi di Pechino alle porte, si pone il problema della sua partecipazione alla selezione azzurra: la Iaaf, la federatletica mondiale, accetta poiché la Carta Olimpica consente agli atleti che abbiano cambiato cittadinanza di vestire la maglia del nuovo Paese qualora siano passati più di tre anni dall’ultimo impegno con la vecchia Nazionale. «Una notizia clamorosa, di segno totalmente positivo», commenta il Coni, e Libania a Pechino batte per due volte il record italiano. Nel 2009 vince un concorso pubblico e diventa finanziere: passa così alle Fiamme Gialle. In accordo con la squadra della Guardia di Finanza, negli ultimi tre anni è seguita dal coach Loren Seagrave in Florida: «Mi alleno duramente – racconta la Panterita – con un gruppo di atleti molto motivante; il cambiamento più grande è stato l’impatto con una nuova cultura totalmente diversa da quella italiana e cubana ed adattarsi a una nuova alimentazione». I sacrifici sono stati ripagati al Letzigrund Stadium di Zurigo con la medaglia d’oro. Libania, che era la favorita, riesce a dire che «vincere è stata una passeggiata talmente ero pronta e mi sentivo forte dentro sia fisicamente che psicologicamente». Quando ha tagliato il traguardo, mentre spuntava addirittura un arcobaleno, «l’emozione – dice – è stata talmente grande che in quel momento non ho capito e pensato a niente. Mi sentivo sulle nuvole…». All’inno sono arrivate le lacrime: «Ascoltare Mameli sul podio mi ha commosso e lo ricorderò per sempre!».
Ma torniamo al nodo: si sente italiana? «Certo, io ci tengo a questo Paese perché mi ha dato tanto e mi ha aperto le braccia». Ma allora – le chiedo – se ipoteticamente succedesse che il suo matrimonio finisse (ovviamente non ce lo auguriamo!), lei si sentirebbe ancora una nostra concittadina? E qui mi spiazza: «Sono divorziata, ma ormai mi sento italiana a tutti gli effetti. È normale che continuerò a correre per l’Italia». Nello sport, quelle che potremmo definire le “italiane per amore”, o “atlete in maglia azzurra per scelta”, sono da alcuni anni la normalità. In principio fu Josefa Idem, la canoista che aveva corso le prime due Olimpiadi della vita per la Germania Ovest, diventata orgoglio dell’atletica azzurra dopo aver sposato l’allenatore. Negli stessi anni, anche qui dopo il matrimonio con l’allenatore, l’Italia esultava per Fiona May, nata nel Regno Unito da genitori giamaicani, la saltatrice in lungo, ora nominata dal neopresidente Figc Tavecchio consigliera per combattere il razzismo nello sport. Per la nera May, ci fu qualche perplessità in più rispetto alla bianca Idem, schema che si ripeté quando, dopo il passaggio in politica, l’ex canoista divenne ministro (propose l’acquisizione della cittadinanza per meriti sportivi): nessuna polemica per la sua origine non italiana, non proprio lo stesso trattamento riservato alla collega di governo nera Cécile Kyenge.
Ma tornando alle “italiane per amore” del 2014, le italocubane sono particolarmente numerose. Agli Europei di Zurigo, ha gareggiato nei 400 metri ostacoli anche Yadisleidy Pedroso, in forza all’aeronautica militare, ultima corsa con la Nazionale cubana nel 2009, azzurra dal 2013 dopo il matrimonio (con l’allenatore), giusto in tempo per stabilire il record italiano. Ma la conferma arriva dalla biografia di Libania: a Cuba il suo cognome completo era Grenot Martinez, ma qui ha dovuto accorciarlo in Grenot perché rischiava di confondersi con Magdelin Martinez, primatista italiana nel salto triplo, anche lei cubana diventata italiana nel 2001 per matrimonio (Indovinate con chi? L’allenatore). Alle ultime Olimpiadi di Londra, dei 281 atleti della nostra delegazione 24 erano di origine non italiana; nel 2016 a Rio de Janeiro il numero sarà molto più alto. Tra di loro, ci sono certo le “italiane per amore” e gli oriundi (discendenti di italiani), ma anche la “Generazione Balotelli”, i figli degli immigrati.
Ecco, tra le seconde generazioni, va considerata anche un’assenza. Quella dei giovani sportivi promettenti che, cresciuti (spesso anche nati) in Italia, sono esclusi dalla Nazionale azzurra per l’arretratezza della nostra legge sulla cittadinanza che li considera “stranieri”. Alle Olimpiadi 2012, per esempio, non c’era Eusebio Haliti, venuto in Italia da bambino nel 1991, escluso nonostante nei 400 metri ostacoli fosse il detentore di ben sette titoli italiani e quattro record italiani. Come lui, tanti altri. Decisamente molto più facile diventare “italiani per amore”: si può chiedere la cittadinanza due anni dopo il matrimonio.

 

Pin It