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Ciò che il PD dovrà fare

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli Intervento del senatore Franco Mirabelli alla tavola rotonda conclusiva degli Incontri Riformisti in Val Tartano.
Vorrei provare a fare alcune riflessioni su ciò che dovremo fare nei prossimi mesi.
Prenderei come punto di partenza il risultato di questi mesi, di cui fa parte sicuramente l’esito elettorale delle elezioni europee ma che comprende anche i risultati che ha prodotto il Governo Renzi sulla politica italiana attraverso l’innovazione, la modernità, il cambiamento che ha riguardato tutta l’azione di governo e con cui lo stesso Presidente del Consiglio si è mosso nel momento in cui si è cominciata questa esperienza alla guida del Paese.
Credo che questi risultati mostrino alcune cose straordinarie che, però, sono tutte ancora incompiute e, per questo, insisto sul fatto che dobbiamo pensare a come agire da qui in avanti per concretizzarle.
Innanzitutto si è dimostrato che è possibile vincere quella scommessa su cui Matteo Renzi ha giocato il congresso e lo ha vinto e su cui ha impostato la sua scelta di diventare Presidente del Consiglio.
Quest’ultima è stata una scelta anche molto discussa al nostro interno ma che aveva in sé la scommessa di dire che questo Paese ce la fa solo se, in tempi brevi, la politica e le istituzioni riescono a recuperare credibilità, andando a diminuire la distanza che c’è tra i cittadini e la politica. Non riuscire a fare questo implicava la messa in discussione della nostra democrazia e il futuro del nostro Paese, non solo del PD.
Questi mesi e il risultato elettorale delle europee mostrano che è possibile ricostruire la credibilità della politica in una prospettiva di cambiamento. È possibile ridare credibilità all’idea che il cambiamento possa essere raccolto da forze riformiste che stanno al governo e non più soltanto consegnato a risposte che fanno del populismo e dell’antipolitica la cifra principale del loro essere, come è stato fino ad un anno e mezzo fa. Questo è testimoniato anche dal fatto che solo in Italia con il PD gli elettori hanno dato fiducia ad una forza di governo e lo hanno fatto perché ritengono che abbia saputo raccogliere una domanda di riforme, rappresentare la possibilità di rompere con la vecchia politica e di rompere con il passato, di mettere in discussione i tempi e i riti della politica. E questo non è un tema metodologico ma sostanziale: Renzi ha dimostrato che è possibile cambiare davvero.
Questo, a mio avviso, ha già prodotto uno sconvolgimento del sistema politico.
Oggi, infatti, interpretare quello che sta avvenendo e il futuro della politica italiana stando dentro a modelli interpretativi del passato è molto difficile perché è già cambiato molto in questi pochi mesi.
Sottolineo che sono alcuni mesi che discutiamo mettendo al centro le riforme e ciò che serve al Paese e abbiamo archiviato in gran parte l’argomento Berlusconi, il berlusconismo e l’antiberlusconismo che per quindici anni ha condizionato tutto il dibattito politico italiano. Abbiamo finalmente superato questa fase - credo definitivamente - e questo cambia anche i modelli interpretativi e gli schemi su cui ragioniamo. La discussione si è spostata sulle cose e sulle riforme da fare e non penso che si possa tornare indietro perché altrimenti si perderebbe quel consenso e quella credibilità che si sta ricominciando a costruire.
Un altro elemento importante è che è stato mandato un segnale in maniera evidente che il rapporto con le burocrazie può essere modificato, così come il rapporto con le rappresentanze economiche e con le rappresentanze sindacali può essere cambiato radicalmente rispetto a come è stato nel passato.
Renzi ha mandato alcuni messaggi chiari: le riforme si discutono con tutti ma si fanno guardano all’interesse dei cittadini. Questa è la cifra della riforma della Pubblica Amministrazione e di una serie di interventi che, per la prima volta in Italia, hanno messo in discussione in maniera netta privilegi che si erano consolidati e che sembravano inamovibili e rendite di posizione. Sono state messe in discussione le Prefetture, le Camere di Commercio… Tutto questo sembrava una cosa impossibile da fare in Italia, invece, oggi il tema è stato posto con grande forza.
Inoltre, oggi emerge con maggiore chiarezza che la crisi di rappresentanza che ha vissuto la politica in questo Paese non riguarda esclusivamente questo ambito ma c’è una crisi di rappresentanza che hanno vissuto tutti i corpi intermedi, da Confindustria alle organizzazioni sindacali. Questo è un tema serio che si sta ponendo.
Il PD lo ha posto anche ai sindacati discutendo della riforma del lavoro: non è pensabile che il mondo cambi, cambi la politica, cambino le istituzioni e gli organismi di rappresentanza intermedi, quali i sindacati, restino sempre uguali a se stessi. C’è bisogno di un cambiamento profondo anche lì e da queste cose non credo che si tornerà indietro: chi pensa di uscire da questa situazione o di ricostruire un sistema politico di relazione tra istituzioni e Paese che guarda al passato non fa i conti con il consenso grande e con le ragioni del consenso che abbiamo ottenuto alle ultime elezioni.
L’altra cosa che ci dice l’esito del voto delle europee è che oggi è possibile fare il PD e costruire quell’idea di partito che avevamo in testa al momento della fondazione, quando abbiamo parlato di vocazione maggioritaria. La vocazione maggioritaria, infatti, è proprio quello che emerge come possibile da questo voto, cioè la possibilità per il Partito Democratico di mettere in campo un progetto che non parla a questa o a quell’altra parte della società ma che mette in campo un’idea di Paese, un’idea di futuro e sulla base di questa parla a tutto il Paese.
Il tema non è solo riuscire portare a casa i voti di chi ha votato Forza Italia. Tutti i flussi elettorali mostrano che abbiamo messo in campo un progetto che, dopo un anno e mezzo, ci ha fatto tornare ad essere il primo partito tra i giovani (ed eravamo il terzo) e ci ha fatto diventare il primo partito tra tutte le categorie sociali.
Questo vuol dire che abbiamo fatto ciò che volevamo fare quando abbiamo fondato il PD e che, quindi, è possibile farlo.
Un altro motivo per cui dico che abbiamo fatto il PD è che oggi, nonostante le resistenze, c’è un Partito Democratico che non è più un partito rivolto indietro, in cui una parte è più preoccupata di non perdere o di perpetrare le storie che ci sono alle nostre spalle piuttosto che di costruire quel progetto che guarda al futuro e che guarda al Paese. Anche l’aver rotto quel meccanismo penso che sia stato uno dei risultati del Congresso.
Insisto sul fatto che tutte queste siano delle possibilità ma nulla è certo e definito per sempre. L’esito del voto delle europee, infatti, ci dà una grande responsabilità.
Dobbiamo sicuramente gioire per l’ottimo risultato perché dimostra che sono possibili tutte queste cose che ho elencato ma dobbiamo sapere che non ci è stata firmata alcuna cambiale in bianco. Pur avendo vinto le elezioni europee ottenendo il 40,8% dei consensi, infatti, non abbiamo un voto di più al Senato e, soprattutto, abbiamo l’obbligo di confermare le promesse fatte agli elettori, che non sono solo quelle materiali ma sono di continuare su questo percorso politico di cambiamento. Abbiamo, dunque, la responsabilità di non perdere quella potenzialità manifestata dal voto e di non perdere un’occasione perché in tanti, già dalle primarie dello scorso 8 dicembre, ci avevano detto che sarebbe stata l’ultima occasione.
Questa volta è davvero l’ultima occasione ma non solo per il PD: per il Paese. Dobbiamo, quindi, essere capaci di fare presto e bene, di non chiuderci dentro a questo risultato elettorale, di non pensare di poter essere autosufficienti, di non avere il problema di continuare a dialogare con pezzi della società italiana e culture politiche che possano condividere il nostro progetto.
Insisto sul fatto che dobbiamo essere capaci di fare presto e bene, di non perdere questa occasione positiva, sapendo che questo voto obbliga tutti (maggioranza e minoranza) in Parlamento - per questo abbiamo una grande spinta - a fare i conti con il risultato elettorale ottenuto.
C’è, infatti, un largo consenso dimostrato dagli elettori sulle riforme. Si può stare in minoranza o all’opposizione in Parlamento ma difficilmente si può trascurare il messaggio che è venuto dalle ultime elezioni.
A mio avviso, sarebbe imperdonabile e sarebbe un danno per il Paese e non solo per il PD perdere questa occasione.
Il consenso che abbiamo ottenuto è, infatti, legato alla prospettiva di riforme che abbiamo indicato, ai tempi con cui ci siamo impegnati a farle e che Renzi, in questi tre mesi, ha dimostrato essere possibili.
Per questo, ritengo che sia giusto rilanciare sui “mille giorni”: bisogna avere la consapevolezza che o facciamo le riforme (in modo che abbiano riflessi anche sugli aspetti economici) e siamo capaci di dare segnali oppure credo che non solo possa diminuire in maniera significativa il consenso verso il PD ma anche la credibilità di questa nuova stagione che abbiamo avviato.
Per questo penso che ora la priorità debba essere quella di dire che si devono fare presto le e i prossimi mesi saranno decisivi.
Già nei prossimi giorni ci sarà un Consiglio dei Ministri che ha come oggetto di discussione i decreti attuativi per applicare molte riforme che dal Governo Monti ad oggi sono state fatte e che sono rimaste lettera morta. Questo passaggio è stato totalmente trascurato ma in realtà già quei provvedimenti potrebbero smuovere molto.
Ci sarà, poi, in campo la Delega Fiscale, per cui i decreti attuativi saranno fatti nei prossimi mesi e lì ci sarà un’altra svolta significativa su molte questioni; c’è la riforma della Pubblica Amministrazione, in queste ore alla Camera dei Deputati c’è il Decreto sulla Crescita e sull’Ambiente, c’è in discussione la Legge Delega su Lavoro, nei prossimi giorni cominceremo a votare al Senato la riforma costituzionale…
Credo, quindi, che alla fine di questi passaggi potremmo fare il punto sulla.
Sul disegno di legge per le riforme costituzionali, penso che la proposta che uscirà dalla Commissione Affari Costituzionali alla fine sarà molto più garantista dal punto di vista degli equilibri dei poteri: gli emendamenti proposti dai relatori terranno conto di gran parte della discussione che c’è stata non solo all’interno della Commissione stessa e non solo tra Renzi e le altre forze politiche ma anche all’interno del gruppo del PD.
Personalmente, ritengo che la proposta in campo che arriverà presto in Aula al Senato sia valida. È giusto che si manifestino opinioni diverse, però, abbiamo fatto quindici assemblee di gruppo su questo argomento, abbiamo fatto delle scelte chiare in Direzione Nazionale, non si è blindato un disegno di legge ma abbiamo definito quattro punti irrinunciabili e a partire da questo si è lavorato ascoltando tutti. Per questo penso che ciò che non possiamo fare è restituire fuori dal Parlamento l’idea dell’ennesimo blocco che impedisce le riforme. Renzi e la maggioranza fanno bene ad andare avanti perché l’idea che “è giusto cambiare il bicameralismo ma non in questo modo” è alla base del fatto che in questo Paese si sono bloccate per decenni tantissime riforme.
Le riforme vanno fatte perché servono.
Dopo il primo passaggio in Aula al Senato, per il disegno di legge sulle riforme costituzionali ci saranno altre tre letture e poi ci sarà il referendum confermativo, quindi, ci sarà modo di discutere ancora ma quello che non possiamo fare è riconoscere ad alcuni il potere di veto e questa è stata la forza di Renzi di questi mesi di governo. Il segnale che abbiamo dato in modo chiaro è che nel Paese a nessuno viene riconosciuto il potere di veto.
Per questo sono convinto che la riforma del Senato sarà votata presto: l’idea di non riconoscere a nessuno il potere di veto è un messaggio importante fuori da noi, indica che abbiamo scelto una strada, che abbiamo preso impegni con gli elettori e che andiamo avanti in quella direzione. Sono certo che a sostenere quella strada, su cui siamo stati votati e abbiamo ottenuto un largo consenso alle europee, ci debba essere tutto il partito: il PD deve essere protagonista della costruzione e del consolidamento di quella linea.
A proposito delle polemiche di queste ore, penso che l’espressione “segreteria unitaria” sia da abbandonare per il significato che ha avuto in questi anni. Personalmente auspico che ci sia una segreteria composta dalla maggioranza e da tutte le culture e le sensibilità che non hanno sostenuto Renzi ma che condividono il progetto politico, la linea politica, le scelte su cui la segreteria oggi deve dirigere il partito. C’è poi la Direzione che garantisce la rappresentanza di tutte le posizioni, però, credo che siano incompatibili alcune posizioni critiche, legittimamente espresse in questi giorni, con la responsabilità di portare avanti un progetto che non si condivide e che legittimamente si vuole cambiare (per cui ci sono comunque gli spazi e i modi all’interno di tutti i gruppi dirigenti). Tengo molto all’unità del partito e al pluralismo, però, tengo anche molto al fatto che ci sia un organismo - che si chiama segreteria - che diriga in un senso chiaro e che non diventi invece la sede della ricerca di una sintesi tra posizioni diverse che se facciamo la scelta per cui nessuno può mettere veti diventano troppo spesso incompatibili.
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