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Il padrino dell’antimafia

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco Mirabelli
Intervento alla presentazione del libro di Attilio Bolzoni “Il padrino dell’antimafia. Una cronaca italiana sul potere infetto” (video).

Ad Attilio Bolzoni va il ringraziamento per aver fatto un libro che obbliga a riflettere su una cosa reale di cui si è parlato troppo poco e che invece va approfondita, soprattutto da parte di chi si occupa di antimafia perché c’è bisogno di mettere in campo anticorpi rispetto ad un uso spregiudicato e criminale dell’antimafia, non solo in Sicilia.
Un altro ringraziamento va anche a Rosy Bindi perché ha un grande merito nell’aver voluto che la Commissione Parlamentare Antimafia facesse quell’approfondimento e non era contento nessuno che ci occupassimo di questo e che ascoltassimo in audizione molti di coloro che sono considerati i rappresentanti più autorevoli dell’antimafia in Italia per costringerli a riflettere su alcune vicende.
Il libro “Il padrino dell’antimafia. Una cronaca italiana sul potere infetto” è molto esplicito: racconta un clima, un ambiente culturale, reati che si trovano negli atti giudiziari ma anche comportamenti diffusi nelle classi dirigenti della Sicilia. Si parla di politica, di impresa e, purtroppo, anche di ambienti della magistratura.
Di vicende come quella raccontata nel libro, purtroppo, ne stiamo vedendo tante.
Lì c’è un tema che riguarda la trasparenza e una sorta di invulnerabilità delle classi dirigenti. La vicenda di Montante in Sicilia, raccontata nel libro di Bolzoni, è stata un colpo pesante per la vera antimafia.
La rivoluzione della Confindustria siciliana sta nel fatto che, ad un certo punto, ha scelto di dare dei messaggi alle imprese di tutta Italia, dicendo che gli imprenditori dovevano fare la loro parte contro la mafia e dovevano espellere dal proprio ambito tutti coloro che in qualche modo commettevano illegalità.
Questo non va dimenticato perché fu un passaggio importante ma rende ancora più grave l’evoluzione che ha portato a Montante e al suo utilizzo della Confindustria siciliana, facendone il centro di una rete di condizionamento e di affari legali o meno ma che comunque non guardavano al bene comune.
Questa vicenda, però, è più grave perché vanifica e butta fango su quella che era stata un’iniziativa importante, che ha fatto da modello anche per altre associazioni di industriali. Da allora, Assolombarda ha una persona che si occupa della legalità, lavora sulla trasparenza e sulle regole.
La vicenda di Montante aggrava la questione ma non deve inficiare il senso di una svolta che fece Lo Bello in Confindustria Sicilia.
Penso che quell’iniziativa non vada buttata via.
Non bisogna rischiare che ciò che è successo con Montante, che purtroppo getta fango su quell’esperienza, cancelli l’intento positivo del tentativo di Lo Bello.
Nell’inchiesta fatta dalla Commissione Parlamentare Antimafia non si è parlato solo della Sicilia perché in questi anni non c’è stato solo il caso di Montante.
Abbiamo avuto anche un parlamentare casertano simbolo dell’antimafia che è stato arrestato per mafia; ci sono state le vicende di Ostia, dove abbiamo scoperto che c’erano alcune associazioni antimafia che erano governate dai mafiosi e utilizzate per gettare fango su Federica Angeli o per avere finanziamenti.
Questo problema, quindi, non possiamo solo registrarlo ma dobbiamo capirlo.
Perché oggi l’antimafia può essere usata da persone che mirano all’arricchimento personale, ad alimentare illegalità o altro? Questa è la domanda che dobbiamo farci.
Forse il problema è che l’antimafia sociale non c’è più, è in crisi, indebolita.
Al Nord finalmente siamo riusciti a dirci che le mafie e in particolare la ‘ndrangheta sono insediate; ci sono moltissime organizzazioni antimafia, c’è un largo uso dei beni confiscati ma non c’è l’antimafia sociale come l’abbiamo conosciuta in una fase della storia del nostro Paese, cioè un moto di ribellione sociale per contrastare le mafie.
Questo è il tema che abbiamo di fronte.
Abbiamo fatto tante buone leggi ma ci siamo accorti che le mafie sono capaci di cambiare per superarle, però, questo avviene nell’assoluta inconsapevolezza dell’opinione pubblica.
Siamo in una fase in cui le mafie non sparano, non mettono le bombe e, quindi, non c’è nessun allarme sociale. Le mafie qui al Nord si stanno rafforzando molto ma non suscitano allarme.
Nel momento in cui l’antimafia sociale, con i movimenti come li abbiamo conosciuti dopo le stragi, è indebolita, diventa più facile che chi si occupa di antimafia non necessariamente lo faccia sulla base di una spinta sociale o valoriale ma pensi di sfruttare un marchio e un’idea.
Su questo dobbiamo creare gli anticorpi, dobbiamo fare più attenzione ad alcuni passaggi come quelli che riguardano i finanziamenti delle attività antimafia o l’assegnazione dei beni confiscati alle mafie.
Non possiamo tollerare vicende come quella raccontata nel libro di Bolzoni perché ognuna butta fango sull’antimafia vera e fa festeggiare i mafiosi.

Oggi, abbiamo un grande problema che è costituito dalla scelta della ‘ndrangheta e delle mafie in generale di fare altro, di occuparsi di affari, di penetrare nell’economia legale, quindi, l’allarme sociale è bassissimo.
Il fatto che non esista un allarme sociale è un problema che spinge a non riconoscere la mafia come una priorità da parte dell’opinione pubblica.
Poi c’è il ruolo della politica.
Nella scorsa Legislatura abbiamo fatto molto per dare il messaggio che occorreva agire: abbiamo fatto la riforma del Codice Antimafia, abbiamo modificato le norme per punire il voto di scambio, abbiamo fatto la legge anti-corruzione e abbiamo fatto un lavoro importante per far concedere le borse di studio alle Università che approfondiscono lo studio delle mafie.
Nel momento in cui alle persone non viene in mente che la lotta alle mafie deve essere una priorità, abbiamo cercato di far capire la pericolosità delle mafie e quanto ci riguardi; quanto un’economia penetrata in maniera massiccia dalla criminalità organizzata possa essere un pericolo per la nostra democrazia.
C’è, quindi, un tema che riguarda la politica.
Noi abbiamo ancora una grandissima capacità di contrasto delle mafie perché abbiamo un apparato con una capacità di investigazione e di lavoro straordinario. Non è un caso se abbiamo affidato alla Direzione Nazionale Antimafia anche la lotta al terrorismo.
In quest’ultimo anno e mezzo, però, la politica ha derubricato completamente la questione della lotta alla mafia. Abbiamo avuto un Ministro degli Interni che ha fatto due Decreti Sicurezza in cui si spiegava ai cittadini che i problemi di sicurezza erano dati da immigrati, da chi va a salvare le persone in mare, dai parcheggiatori abusivi, dai questuanti.
Nel primo Decreto Sicurezza si parla di mafia solo per dire che i beni confiscati non vanno tenuti troppo in attesa di capire come utilizzarli a fini sociali ma è meglio cercare di venderli in fretta.
Questo è il messaggio che è stato dato.
Dopo è stato dato un altro messaggio: non solo che le mafie non sono importanti ma che addirittura sono una sorta di pubblicità.
Il Ministro degli Interni del Governo giallo-verde ogni mattina faceva un tweet trionfalistico per gli arresti di spacciatori ma non diceva neanche una parola quando usciva la notizia che in Lombardia c’era la ‘ndrangheta in Regione o ha legami con la politica, come ha mostrato l’inchiesta sul varesotto.
C’era un Sottosegretario del Governo giallo-verde che si era dovuto dimettere ed è tutt’ora coinvolto in un’inchiesta in cui c’entra la mafia e l’allora Ministro degli Interni lo aveva portato al tavolo con i sindacati.
Dietro a tutto questo c’era il messaggio che i problemi di sicurezza sono legati a ciò che si vede: lo spacciatore, la prostituta sotto casa, il questuante mentre la mafia non esiste e, quindi, non è una priorità da combattere.
Salvini non è neanche mai voluto venire in Commissione Parlamentare Antimafia e anche questo atteggiamento dava il messaggio che di quel tema non se ne voleva occupare e non gli interessava.
Si è abbassata l’attenzione sul tema delle mafie e penso che il nuovo Governo adesso debba ripartire da dove abbiamo lasciato alla fine della scorsa Legislatura, con quell’attenzione per contrastare le mafie, anche dal punto di vista normativo.

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