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L'impegno sull'Alzheimer

Scritto da Emilia De Biasi.

Emilia De BiasiIntervento in Senato: Signora Presidente, mi permetta di ringraziare innanzitutto la Commissione igiene e sanità, che all'unanimità ha presentato questa mozione, di cui come Presidente sono prima firmataria, e che ha raccolto, ripeto, il consenso dell'intera Commissione.
Mi consenta altresì di ringraziare anche quelle colleghe e quei colleghi che hanno chiesto di sottoscrivere la mozione. È un dato molto positivo che, a mio avviso, ha il significato di segnalare l'urgenza che riguarda questa patologia.
Da un'indagine mondiale risulta che le malattie legate alla demenza e all'Alzheimer fanno più paura del cancro.
Le persone sono particolarmente spaventate, e in modo generalizzato (lo si capisce), da una patologia che nei prossimi anni vedrà un raddoppio dei casi in tutto il mondo, e non soltanto a causa dell'invecchiamento della popolazione, tratto che riguarda molto da vicino il nostro Paese: sappiamo infatti che l'Alzheimer colpisce anche persone al di sotto dei cinquant'anni.
È quindi particolarmente urgente un intervento tempestivo, per quel che riguarda il nostro Paese, da parte del Governo. Sappiamo che sono già in discussione ad un tavolo tecnico le linee guida sull'Alzheimer, e ci auguriamo che vengano emanate prima possibile. Ci permettiamo di sollevare alcuni elementi di discussione che possano poi trovare soddisfazione in tali linee guida.
La prima cosa che credo vada detta di contesto è che per curare l'Alzheimer bisogna innanzitutto occuparsi di una diagnosi precoce, che non sempre viene effettuata dalle strutture del nostro Servizio sanitario nazionale.
Come stavo dicendo, l'Alzheimer è una malattia da cui allo stato attuale non si guarisce, anche se sappiamo che la ricerca scientifica sta individuando farmaci progressivamente più appropriati. Allo stato attuale è una delle classiche malattie neurodegenerative per cui pian piano si perde la memoria, pian piano si perde la facoltà del linguaggio, pian piano si perde il senso di sé, e forse è per questa mancanza di consapevolezza di sé che è una malattia che spaventa in modo molto particolare.
I dati mondiali sono sconvolgenti. Secondo uno studio del Centro mondiale sull'Alzheimer, l'Alzheimer's disease international, pubblicato dalla rivista scientifica «The Lancet», sono 24,3 milioni le persone con demenza oggi nel mondo: 4,6 milioni di nuovi malati all'anno, un caso ogni 7 secondi, ed il dato è destinato a raddoppiare nei prossimi vent'anni fino ad arrivare, nel 2040, ad 81,1 milioni di persone affette dal morbo di Alzheimer.
Nei Paesi industrializzati si prevede che la malattia crescerà del 100 per cento, mentre in alcuni Paesi del Sud-Est asiatico e del Pacifico occidentale la crescita sarà addirittura del 200 per cento. Secondo dati del 2011 i malati di Alzheimer in Italia sarebbero un milione, con un aumento annuale quantificabile in circa 150.000 nuovi casi. Sulla base di queste cifre allarmanti credo che il nostro richiamo a Governi, al mondo scientifico e medico ed all'opinione pubblica di prendere consapevolezza ed agire conseguentemente non sia vano.
Il nostro Paese ha un tasso di invecchiamento molto veloce, con un tratto demografico davvero allarmante, ma vorrei che fosse chiaro che la risposta non può essere una risposta di contenzione: noi abbiamo problemi molto seri che riguardano anzitutto il sostegno alle famiglie e la formazione dei medici e del personale sanitario, in modo da costruire attorno al malato di Alzheimer un ambiente che sia favorevole alla persona affetta da Alzheimer. Per un lungo periodo si è pensato che fosse sufficiente che il malato rimanesse in casa, in famiglia, nell'ambito dei legami familiari. Oggi non è più così: sappiamo che vi sono miglioramenti, naturalmente temporanei, ma quanto meno non vi sono regressioni, quanto più la persona affetta da Alzheimer è inserita in un contesto sociale. È dunque molto importante che l'intervento non sia esclusivamente all'interno della famiglia, nel nucleo familiare, nella propria abitazione, ma anche che la persona affetta da Alzheimer stia in un centro diurno, in un centro socio-sanitario, in una casa della salute, ossia in un luogo territoriale in cui possa ricevere dall'esterno stimoli che aiutano: non vi è alcun dubbio su questo.
In secondo luogo, noi chiediamo, una diagnosi precoce e tempestiva; un uso farmacologico e non farmacologico, quindi un intervento che si muova su una tastiera più ampia; l'affidamento a team territoriali che siano in grado di lavorare con specifiche competenze; la disponibilità di strutture sociosanitarie di accoglienza temporanea, anche come forma di sollievo, come è del tutto evidente, per le famiglie. Chiediamo inoltre di innovare, se possibile - capisco che è molto difficile in questo Paese, peraltro anche in quest'Aula - la modalità di rapporto con malati neurodegenerativi. Lo vediamo in tante altre patologie, ma il problema dell'Alzheimer è che apparentemente è tutto normale, solo che non lo è. Dunque, sarebbe opportuno prevedere anche luoghi residenziali appositamente dedicati a queste persone. Vi sono già buone, ottime pratiche nel nostro Paese. Credo però si possa migliorare, tanto è vero che chiediamo in modo definitivo che l'Alzheimer sia concentrato nei LEA, cioè vi sia la possibilità di intervento da parte del Servizio sanitario nazionale in modo specifico.
Infine chiediamo di promuovere un'educazione sanitaria rivolta alla popolazione per migliorarne la consapevolezza e le corrette modalità per rapportarsi alle strutture del Servizio sanitario nazionale e ai suoi operatori.
Ultime due considerazioni. Il mondo della ricerca usa una terminologia molto appropriata per il cervello. L'espressione inglese è: «use it or lose it» (o lo usi o lo perdi), che in realtà si potrebbe estendere a molti altri casi, ma in particolare stiamo parlando dell'Alzheimer. Dunque ritengo che lo stimolo continuo sia una delle modalità di cura e di sostegno più importanti che vi siano oggi, ancora più importante di una farmacologia piuttosto arretrata.
Infine, l'ultima considerazione la voglio mutuare da un libro molto bello che ha scritto Giulio Scarpati, uomo di teatro che abbiamo avuto il piacere di avere in quest'Aula nella Giornata mondiale del teatro, nel quale c'è una lunga lettera a sua madre, affetta da Alzheimer. Scarpati, nelle sue considerazioni, a lato, dice una cosa molto importante, che non dobbiamo dimenticare. È vero che queste persone a un certo punto non riconoscono più; noi però le riconosciamo e attraverso i ricordi lontani che con uno sforzo incredibile per far funzionare la parte remota della loro memoria queste persone fanno affiorare portano anche noi a rievocare un passato lontano che avevamo ormai messo in un angolo. In questo credo stia il legame tra il lato scientifico, medico e affettivo, che noi dobbiamo assolutamente diffondere nella popolazione. Noi si deve avere vergogna; non si deve avere paura di parlarne. È una questione che dovrebbe entrare a pieno titolo nel dibattito pubblico. È un tema sensibile, ma solo perché attraversa la vita delle persone, non per l'imbarazzo sociale che può portare. Pertanto, ogni sforzo economico, progettuale, di sostegno, di solidarietà e d'intervento attivo forse può aiutare anche noi a superare la paura dell'altro, nel quale vediamo le miserie più grandi che temiamo.
Credo, infine, che si debba dire di voler bene a queste persone affette da Alzheimer, perché attraverso loro possiamo anche capire fino in fondo la sofferenza, e capire la sofferenza è il primo passo per poterla curare.
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