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Sulla riforma del Senato

Scritto da Franco Mirabelli.

Franco MirabelliAl Senato stiamo discutendo da qualche settimana di come fare la riforma.
Vorrei fare alcune rapide riflessioni.
La prima è questa: sono stato uno dei primi a intervenire alla prima assemblea dei senatori a cui ha partecipato Matteo Renzi per spiegare la riforma del Senato. Nel mio primo intervento ho detto di essere d’accordo ma ho chiesto di non partire dalla questione dei costi della politica. Oggi, però, mi domando se senza quell’approccio sui costi della politica e la diminuzione del numero dei parlamentari, staremmo discutendo della riforma del Senato con concretezza e con la fiducia incassata. Perché, dobbiamo constatare che,oggi, grazie a questo approccio, si è costruito un consenso nell’opinione pubblica con cui tutti devono fare i conti.
È vero che questo è un tema che non c’entra con le questioni serie e gli equilibri istituzionali, però, a fronte della storia che hanno avuto i diversi tentativi di riforma istituzionale in questo Paese dobbiamo prendere atto dell’evidenza della situazione.
L’ultimo è stato il tentativo che aveva fatto il Governo Letta, per cui avevamo votato due volte al Senato e una volta alla Camera la modifica dell’art. 138 per accelerare le modalità di realizzare le riforme costituzionali ma poi ci siamo dovuti fermare perché non c’erano le condizioni, perché quel tipo di discussione era molto distante dalla percezione dei cittadini.
Siccome la riforma delle istituzioni è una questione fondamentale se vogliamo ridare credibilità alla politica e alle istituzioni stesse, il tema del consenso dell’opinione pubblica su questo tentativo è fondamentale, per costringere tutti a sapere che questa volta si paga un prezzo se si bloccano i lavori.
Noi senatori discutiamo molto del tema. Stiamo facendo una discussione seria che tiene conto delle diverse opinioni. Tuttavia, è evidente che questi ultimi passaggi sono molto legati tra loro e, purtroppo, sono stati molto condizionati dalla campagna elettorale. Probabilmente anche tutta la discussione intorno all’Ordine del Giorno di Calderoli, se non ci fosse stata la campagna elettorale e, quindi, l’obiettivo di dare un colpo alla credibilità del Presidente del Consiglio, non ci sarebbe stata e si sarebbe partiti prima con una discussione seria. Io sono convinto che comunque una discussione seria ci sarà e sarà sui temi veri che sono stati posti perché c’è la consapevolezza che il Senato non può essere un dopo-lavoro ma non può essere neanche la Conferenza Stato-Regioni a cui aumentano i poteri perché altrimenti è sufficiente quella che già c’è con l’aggiunta di poteri spingendo poi per fare il monocameralismo.
La discussione sulle funzioni del nuovo Senato deve, quindi, andare un po’ oltre al rapporto con le realtà territoriali e forse deve andare un po’ al di là anche della questione dei trattati europei; forse si possono definire funzioni sulla questione dei diritti.
Una volta stabilite le funzioni, si deve definire meglio la composizione. Sicuramente ci saranno le Regioni (bisogna vedere in quale forma e come eleggerne i membri) e i sindaci ma non è sbagliata la discussione sulle personalità nominate dal Presidente della Repubblica (magari non 21).
Non si sta parlando dei senatori a vita, si sta parlando di un tema che riguarda la rappresentanza di un pezzo della società e non può essere escluso dalla discussione. Poi bisogna vedere come verrà definita la composizione.
Penso, però, che l’elezione diretta dei membri di un Senato così concepito non sia una cosa sensata perché altrimenti si avrebbero due parlamentari in due rami diversi con la stessa legittimazione ma che nei fatti avrebbero funzioni diverse per cui uno potrebbe votare la fiducia al Governo e la legge di bilancio e un altro no.
Inoltre, se il Senato diventa il luogo delle rappresentanze degli enti locali non ha senso che vi sia un’elezione diretta, in quanto si tratta già di persone elette dai cittadini.
Penso che alla fine della discussione sul Senato ma anche nella definizione del Titolo V, ci sarà da ripensare anche la legge elettorale perché bisognerà trovare un equilibrio istituzionale.
A seconda di ciò che definiremo, anche la riforma della legge elettorale andrà, quindi, rivista per garantire maggiormente un equilibrio tra i poteri.
L’ultima questione che voglio affrontare riguarda il Titolo V: dobbiamo riflettere sull’esperienza che abbiamo fatto. Non credo che il tema sia solo che ha generato troppi conflitti istituzionali e, quindi, risolviamo la questione cancellando le materie concorrenti.
Dobbiamo fare il punto anche rispetto a come le Regioni hanno gestito temi fondamentali (come quello della sanità e come quello della casa e dell’abitare) che attengono a diritti fondamentali dei cittadini in maniera completamente diversa, spesso con poche risorse ma anche definendo livelli diversi di soddisfazione e quindi di cittadinanza nel Paese.

Tratto dall'intervento all'incontro "Riforma del Senato e divisione dei poteri"»
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