Quell’aria pesante sull’Autorità anticorruzione

La notizia della decisione di Raffaele Cantone di presentare al CSM la richiesta di essere designato ad altro incarico, impone una seria riflessione su come questo governo si sta comportando sulla legalità e sulla lotta alla corruzione. L’Anac è stata voluta e rilanciata dallo scorso Parlamento, ad essa sono stati attribuiti poteri concreti e significativi di intervento, in particolare la possibilità di verificare preventivamente i capitolati di appalto per garantirne trasparenza e correttezza. Anac è diventata un punto di riferimento insostituibile per gli amministratori e i cittadini che vogliono prevenire la corruzione. L’annuncio, poi rientrato, del prossimo abbandono da parte di chi quella agenzia ha rilanciato (ed è stato punto di riferimento per la lotta alle illegalità), è un pessimo segnale: dimostra un disagio e non può essere sottovalutato.
In realtà questa vicenda si inserisce in un clima generale che certamente non favorisce la lotta alla corruzione. Gran parte degli interventi fatti e annunciati in questi mesi da 5Stelle e Lega, al di là dei proclami, vanno nella direzione opposta, come lo stesso Cantone e molti magistrati hanno spiegato nella indifferenza dei nostri governanti. Nella ossessione di cancellare acriticamente tutto ciò che è stato fatto dallo scorso governo e dallo scorso Parlamento si stanno facendo enormi danni.
Innanzitutto la scelta di riportare da 40 mila a 150mila la soglia al di sotto della quale si possono affidare gli appalti senza gara è un arretramento evidente. Il 90% degli appalti saranno assegnati cosi, ci sarà più discrezionalità, meno trasparenza e più spazio per la corruzione, per scambiare voti in cambio di favori che alimentano le mafie. Con la scusa di accelerare la costruzione di opere si abbassano le barriere contro il malaffare e si preannuncia, nella stessa direzione, una modifica del codice degli appalti per limitare i controlli e le norme che oggi devono garantire trasparenza. In questo clima, in cui in nome della semplificazione e velocizzazione delle procedure di appalto, si sceglie di rinunciare a norme che tutelano legalità e un uso onesto dei soldi pubblici, è evidente che chi ha lavorato sul secondo fronte si senta a disagio e percepisca una inversione di tendenza che aumenta gli spazi per la corruzione.
In questo contesto il decreto Spazzacorrotti appare per quello che è: un manifesto di propaganda che nasconde interventi, come quelli che ho citato, che vanno in senso opposto. Lo stesso decreto aumenta le pene, inventa il daspo per i corrotti, introduce la figura dell’agente provocatore: tutte cose, ovviamente inutili, se si facilita il compito a chi vuole ‘aggiustare’ gli appalti. In più, invece che spazzare via i corrotti, quel provvedimento rende più difficile il lavoro dei magistrati. Quale imprenditore sapendo che non potrà comunque patteggiare, che non potrà avere comunque alcun beneficio o pena alternativa e che non potrà lavorare mai più, sarà disposto a collaborare per denunciare fenomeni di corruzione?
Ecco, la notizia di un possibille abbandono di Cantone si inserisce in questo contesto e, al di là di tutto, è difficile pensare che questa situazione, in cui si è ostili solo a parole alla corruzione, ma nei fatti si abbassano le barriere in essere che la contrastano, non abbia pesato sulla sua decisione. Forse è ora che, anche per il forte rapporto tra corruzione e mafie, si lanci l’allarme per una situazione che, al di là dei proclami, rischia di farci tornare indietro anni luce nella lotta alla criminalità organizzata.
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