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La politica antimafia

Scritto da Franco Mirabelli.

La prossima settimana voteremo la prima relazione della Commissione Antimafia di questa legislatura, che invieremo alle Camere e in cui sono sottolineati alcuni fenomeni e alcune proposte riguardanti la questione dei beni confiscati.
Tutta la riflessione parte dal fatto che la situazione della criminalità organizzata nel nostro Paese è cambiata in questi anni. La mafia, anche grazie all’azione straordinaria della magistratura e il diffondersi del pentitismo, ha subito colpi molto significativi, però – e questo ci riguarda direttamente – si sono diffuse molte criminalità organizzate sia italiane che straniere.
Sempre di più, stiamo verificando che la ‘ndrangheta ha assunto un ruolo molto forte, è molto potente e ha più facilità di altri ad accedere ai rapporti con i cartelli del traffico di droga sudamericani o di altri Paesi. La ‘ndrangheta ha ottenuto sempre di più ingentissimi guadagni derivati dal traffico della droga o da altri traffici illeciti e, oggi, ha scelto una strategia molto invasiva. Infatti, oggi, il problema della ‘ndrangheta è riciclare il denaro. Questo, ovviamente, vale anche per le altre organizzazioni ma oggi, se guardiamo alle inchieste in corso e, in particolare, quelle che riguardano il Nord, troviamo la ‘ndrangheta che, tra l’altro, è un’organizzazione criminale che ha una struttura molto solida. C’è una “locale” (sezione) lombarda e poi ci sono molte “locali” sui territori; ciascuna ha una propria autonomia ma poi risponde all’organizzazione centrale in Calabria.
La ‘ndrangheta, quindi, è molto forte e molto strutturata e, almeno per ora, ha fatto una scelta molto netta che è quella di mimetizzarsi, sparando poco e usando poco la violenza per rendersi invisibile e per non suscitare reazioni soprattutto sociali. Per questo, oggi, la ‘ndrangheta ha avuto anche la capacità di non avere fenomeni di pentitismo e questo ha reso più difficile il contrasto.
La ‘ndrangheta si sta infiltrando nel tessuto economico, sociale e politico al Nord. Ovviamente, al Nord è più facile riciclare denaro.
Le inchieste dicono che ci troviamo in situazioni con fenomeni di infiltrazioni della ‘ndrangheta molto significative, molto pervasive e anche molto pericolose.
I magistrati della DIA di Milano dicono che la crisi ha facilitato le infiltrazioni criminali perché, in una fase in cui per le imprese è venuto meno il credito e trovando, invece, dall’altra parte la ‘ndrangheta con una grande massa di denaro disponibile da riciclare, si è creato un meccanismo per cui, in alcuni casi, sono le aziende a cercare la ‘ndrangheta (non sempre avendo consapevolezza di quali conseguenze può portare) e la possibilità di avere accesso a capitali e a finanziamenti illegali. Questo ha consentito alla ‘ndrangheta di penetrare profondamente nel mondo delle imprese e del commercio. Si parla di miliardi di euro che provengono da attività criminali che inquinano l’economia e questo significa inquinare la democrazia di un Paese. Su questo, quindi, il contrasto deve essere molto forte.
L’infiltrazione non è solo economica: c’è un pezzo che riguarda i colletti bianchi e il mondo delle professioni che, dovrebbe alzare delle barriere un po’ più significative per contrastare l’inquinamento mafioso perché sono troppo (soprattutto nel Mezzogiorno ma anche al Nord) i commercialisti e gli avvocati che vengono coinvolti in inchieste ed emerge che hanno dei ruoli importanti in vicende di criminalità.
Rosy Bindi sta facendo una battaglia in questi giorni che porteremo avanti anche con delle proposte normative sul tema di come gli ordini professionali reagiscono e creano delle barriere.
La polemica di questi giorni di Rosy Bindi con gli avvocati siciliani è nata dal fatto che un avvocato è stato condannato per associazione mafiosa e espulso dall’Ordine degli Avvocati di Caltanissetta e poi è stato registrato nuovamente in quello di Messina e, questo dimostra che c’è un problema anche da parte degli ordini professionali e occorre che si trovino contromisure come potrebbe essere l’estendere la certificazione antimafia in atto per le imprese anche ai professionisti. Sarebbe utile che la Pubblica Amministrazione avesse un white list di professionisti per garantirsi dal punto di vista della legalità.
Tuttavia - lo vediamo con quello che sta avvenendo in alcuni Comuni della Lombardia - nella ‘ndrangheta c’è anche l’idea di usare la politica e le Pubbliche Amministrazioni anche per costruire consenso sociale. Il tema dell’inquinamento rispetto alla decisione dell’attribuzione dei fondi degli assessorati ai servizi sociali o alla povertà (i sussidi), in alcuni Comuni, ha rischiato di diventare una modalità di costruzione del consenso sociale.
Infine, c’è un tema che riguarda la politica, lo dimostrano le vicende di questi giorni dei Comuni del mantovano e del lecchese. È evidente che c’è il tentativo da parte della ‘ndrangheta, capace ancora di minacciare e corrompere ma in maniera diversa dal passato, di condizionare la politica e di mettere propri uomini. La strategia, infatti, non è stata più quella di corrompere qualcuno ma di mettere nella politica e nei Comuni dei propri uomini.
Su questo la politica deve riflettere e trovare una strada per contrastare questi fenomeni. Anche nei prossimi giorni, in vista della formazione delle liste per le elezioni amministrative del 25 di maggio dei Comuni della provincia, anche come Partito Democratico dovremo alzare un po’ di più la soglia dell’attenzione e il livello del controllo e del contrasto ma anche della trasparenza rispetto alle scelte sulle candidature.
Non si tratta di criminalizzare la politica - anche perché si tratta ancora di fenomeni marginali - però, indicano un rischio reale e, se non si alza il livello di attenzione, in poco tempo ci possiamo trovare di fronte a un fenomeno pericoloso.
In Italia la mafia è molto forte ma, negli anni, si costruita anche un’antimafia molto forte, anche dal punto di vista legislativo. Il nostro codice antimafia viene preso a modello da quasi tutti i Paesi stranieri per affrontare le questioni della lotta alla criminalità organizzata.
La legislazione sui beni confiscati è una legislazione recente ma siamo già in grado di vederne i limiti e di costruire alcune modifiche.
L’idea che c’era alla base di quella legislazione è che, per colpire la criminalità organizzata, bisogna colpire il patrimonio, per questo viene disposto il sequestro e la confisca dei beni anche in assenza di una condanna definitiva. Poi viene la questione del riutilizzo e della rimessa a disposizione della società del bene per dare anche un segnale che la legalità è più forte e che è capace di restituire ai cittadini ciò che l’illegalità aveva ottenuto.
Questo è un principio giusto, sul quale stiamo lavorando.
La presidenza italiana al semestre europeo dovrà lavorare anche su questo tema perché occorre che questo principio venga riconosciuto e adottato in tutti i Paesi d’Europa, per evitare che chi ha il patrimonio in un Paese europeo in cui non vige questa legislazione non sia punibile e favorisca il tentativo della criminalità organizzata di esportare i propri patrimoni.
Ci sono poi una serie di altre questioni che andranno affrontate, come ad esempio il fatto che bisogna modificare radicalmente l’Agenzia a cui era affidata la gestione dei beni sequestrati e confiscati perché così com’è non ha funzionato, neanche nel compito di seguire i custodi giudiziari a cui erano affidati i beni. È necessario che le aziende o gli altri beni sequestrati vengano immediatamente messi nel circuito della legalità, cioè utilizzati perché altrimenti falliscono e ce ne sono troppi che non sono stati messi a disposizione dei cittadini, alcuni sono anche stati abbandonati al degrado. A Milano ci sono esperienze abbastanza positive su questo fronte, nel resto d’Italia decisamente meno. La vicenda del Castello di Miasino, nel novarese, è diventata un simbolo dei malfunzionamenti dell’Agenzia: per mantenere quel bene è stato dato in gestione ad una società e nessuno ha controllato che, con il tempo, quella società è stata ricomprata dalla famiglia del criminale a cui stato sequestrato il bene.
Ci sono, quindi, degli aspetti da cambiare; è necessario dare maggiori poteri ai magistrati che fanno il sequestro e dare a loro il compito di decidere subito che cosa fare di quel bene e poi bisogna ridefinire la situazione dei custodi giudiziari e, soprattutto, bisogna fare in modo che le aziende che vengono sequestrate continuino a funzionare.
Ovviamente, tutti questi interventi sui beni sequestrati vanno finanziati perché spesso servono soldi per pagare le ipoteche che vi sono o per sistemare le strutture. Attualmente, tutti i soldi che vengono sequestrati finiscono nel F.U.G. (Fondo Unico della Giustizia) che viene ripartito dal Ministero degli Interni e dal Ministro della Giustizia; noi, invece, proporremo che una parte di questi soldi vengano messi in un fondo dedicato solo ai beni sequestrati.
Queste sono le cose maturare in questi mesi in Commissione Antimafia e dall’idea che ci siamo fatti guardando molto alle questioni del Nord, che è ancora poco studiato.
C’è un punto decisivo per contrastare il fenomeno della criminalità organizzata al Nord ed è che bisogna cominciare a far capire che, anche se non ci sono persone che sparano, la ‘ndrangheta c’è.
Personalmente, ho trovato negativa e controproducente la fiction sulla ‘ndrangheta andata in onda su Canale 5 perché se spieghiamo, come viene fatto lì, che la ‘ndrangheta è gente che va in giro a sparare in mezzo alle strade, diamo un messaggio tranquillizzante perché da noi in strada non si spara mentre, invece, è necessario alzare la guardia a prescindere dai fatti di sangue e di violenza.

Il tema di alzare la guardia - soprattutto al Nord - riguarda tutti: l’opinione pubblica, la politica, l’economia, le istituzioni.
La vicenda di Viadana fa capire che qualche problema c’è. Abbiamo chiamato in audizione in Commissione Antimafia sia il Prefetto che il Procuratore della Repubblica perché devono spiegare le ragioni per cui un’azienda di movimentazione terra di proprietà di una persona che risulta essere coinvolta in un’intercettazione in cui si dice che è una persona che contribuisce a garantire che Viadana sia in mano alla ‘ndrangheta non sia stata interdetta dagli appalti per la ricostruzione post-terremoto ma addirittura sia stata messa nella white list. Ci dovranno spiegare anche perché quella stessa persona era stata coinvolta in una sparatoria avvenuta a Viadana tre anni fa e su cui è stata aperta un’inchiesta soltanto adesso. Probabilmente ci sono state delle sottovalutazioni su quel personaggio ma emerge il tema della necessità di alzare il livello di attenzione.
In merito alla legge elettorale penso che possa dare solo alcuni principi, probabilmente si può fare di più rispetto alla trasparenza ad esempio sui redditi e le situazioni patrimoniali dei candidati.v C’è, però, anche una responsabilità dei partiti. Ci sono cose su cui bisogna lavorare al fine di garantire sempre di più che nelle nostre liste non abbiano accesso persone che hanno storie che possono richiamare la ‘ndrangheta, per la credibilità dei partiti e delle istituzioni.
Nel nostro ordinamento, si sta definendo ora il reato per il voto di scambio ed è una questione molto seria e va approvato prima delle elezioni perché, dalle inchieste anche al Nord, abbiamo verificato che il voto di scambio è uno degli strumenti con cui le organizzazioni criminali si infiltrano dentro la politica in modo significativo.
Il tema della legalità e del rispetto di tutte le regole, tuttavia, sta a monte. Non tutto è ‘ndrangheta o criminalità organizzata però l’illegalità porta a una connivenza, a un’idea di regole vaghe che di fronte ad una convenienza si possono anche superare.
I cedimenti sulle regole creano discredito delle istituzioni, allontanano i cittadini dalla democrazia, danno un cattivo esempio e questo finisce per aiutare le organizzazioni criminali.

La confisca dei patrimoni è una procedura decisiva per contrastare la criminalità: togliere i soldi è una cosa importante, ci sono centomila beni confiscati da quando è entrata in vigore la legge ma il problema più grande, tra questi beni, lo hanno le aziende. È necessario mettere subito al lavoro le aziende perché, a fermarle anche solo per un breve periodo, si creano una serie di problemi difficili da superare poi, compreso il problema dei lavoratori.
A Roma, ad esempio, hanno sequestrato 35 pizzerie per una vicenda di camorra, ma quei locali non hanno mai chiuso, tutti i lavoratori non in regola sono stati regolarizzati e, oggi, uno dei principali sponsor di questi ristoranti è il magistrato che ne ha disposto il sequestro perché adesso è importante che il bilancio di quei locali rientrati nel circuito della legalità sia in positivo.
C’è un sistema di forniture e di accesso a denari riciclati che consentono alle aziende di funzionare e, nel momento in cui vengono tolti, rischiano di mettere in crisi l’azienda ed è su questo che occorre intervenire.
Uno dei fronti su cui bisogna intervenire è quello del credito: le banche non possono fingere di essere state altrove. Alcuni tribunali stanno preparando dei protocolli ma abbiamo assistito ad alcune vicende in cui, nel momento in cui è stata sequestrata l’azienda, la banca ha bloccato il mutuo e i finanziamenti a quell’azienda e questo non deve succedere.
Tra le proposte vi è quella di creare un pool di consulenti esperti aziendali in grado di far funzionare le aziende a cui i magistrati possono attingere e poi c’è il problema di costruire una rete alternativa fatta magari da altre aziende che si trovano nella stessa condizione per sopperire al fatto che i fornitori precedenti legati alla criminalità non garantiscano più.
Far fallire un’azienda è la sconfitta più grande. Se lo Stato, raffrontato alla mafia che garantiva lavoratori e il funzionamento dell’impresa, porta alla perdita del posto di lavoro e al fallimento dell’azienda, è evidente che è una sconfitta seria.
Oggi, di fronte queste aziende, spesso la situazione viene affrontata allo stesso modo in cui si apre una procedura fallimentare e, siccome ci sono i creditori, il primo problema, anziché essere quello di far funzionare l’azienda, diventa quello di garantirli.
C’è un problema normativo anche sull’autoriciclaggio: una persona che, con i suoi proventi derivati da traffici illeciti, apre un’azienda e la finanzia non è punibile per l’aver riciclato i soldi in un’attività sua.

Come Commissione Antimafia stiamo monitorando molto il lavoro che stiamo facendo su Expo per mettere gli appalti in sicurezza. È stato fatto un lavoro molto serio, sono stati costruiti dei protocolli e un corpo di coordinamento di tutte le forze di polizia, c’è un ruolo attivo di coordinamento da parte della Prefettura di Milano rispetto alla concessione del certificato antimafia fatto in tempi rapidissimi grazie ad un sistema informatizzato che finalmente si sta facendo e non riguarda più solo l’area milanese ma coinvolge tutte le prefetture. Questo lavoro viene fatto soprattutto sui subappalti e ha già portato ad oltre 40 aziende interdette, soprattutto sui cantieri esterni al polo espositivo (Pedemontana, TEM, metropolitane) perché le aziende legate alla ‘ndrangheta hanno una sorta di monopolio sul settore della movimentazione terra.
Queste regole sono estese anche alle commesse private che faranno i singoli Stati.
In Expo, ogni Stato costruisce il proprio padiglione e, nel contratto stipulato, è previsto che tutti si impegnino a rispettare le stesse regole e a garantire l’accesso delle forze dell’ordine ai cantieri per verificare quali mezzi vi siano, a chi appartengono e quale personale ci sia e se è in regola.
Si sta facendo molto, insomma, e questi protocolli stanno diventando esemplari per molte grandi opere; verranno utilizzati anche per la ricostruzione post-terremoto a L’Aquila e in Emilia e alcune di queste norme verranno applicate anche all’ortomercato.
È buon lavoro ma che purtroppo ha subito un brutto colpo di immagine a causa della vicenda di Infrastrutture Lombarde che riguarda l’assegnazione degli incarichi ai consulenti che avrebbero dovuto stilare contratti, appalti e progetti.
Una parte di questo lavoro sui protocolli è stato fatto dal Ministero degli Interni quando Maroni era Ministro, però, in Lombardia c’è un grande problema che riguarda la trasparenza e, su questo, c’è stata anche una sottovalutazione da parte del PD.
Se consentiamo di organizzare aziende pubbliche della dimensione di Infrastrutture Lombarde, Arpa, Lombardia Informatica, Fimlombarda e ora anche ALER, consentendo che siano svuotati di qualunque potere i consigli di amministrazione e consentendo un meccanismo in cui il Presidente della Regione designa un direttore, il quale accentra su di sé tutti i poteri dell’azienda, è evidente che questo crea un sistema che è permeabile alla corruzione e anche alla corruzione seriale perché viene a mancare quel controllo che una pluralità di organi può, invece, garantire.
La grande responsabilità di Maroni è quella, non solo di non aver smontato quel sistema, ma di averlo esteso anche all’ALER. Su questo va aperta una riflessione, lo impongono le decine di inchieste dal San Raffaele ad Arpa a Infrastrutture Lombarde, che questa è un’organizzazione poco trasparente ed è un’organizzazione che rischia di produrre danni significativi rispetto alla permeabilità e all’illegalità.
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