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E' successo e s deve sapere

Scritto da Chiara Braga.

Chiara Braga"Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e i visi amici
considerate se questo è un uomo"
Questi primi versi della poesia di Primo Levi risuonano insistentemente nella mia mente al ritorno da questi due giorni di visita al campo della morte di Auschwitz-Birkenau. Insieme a dei colleghi parlamentari e a una rappresentanza dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane sono tornata ad Auschwitz, dopo il mio primo viaggio di alcuni anni fa con il Treno della Memoria.
Stavolta insieme a noi c’erano due sopravvissuti di quella immane tragedia, Sami Modiano e Tati Bucci che ci hanno accompagnato in questa esperienza terribile e straordinaria, raccontandoci le loro storie di separazione, sofferenza, disperazione e dolore. La loro testimonianza è qualcosa che rimarrà per sempre nella testa e nel cuore di ciascuno di noi.
Tornare a casa e ripensare continuamente alle loro parole, rivedere negli occhi le immagini del Museo di Auschwitz, dove sono custodite fotografie, pezzi di vita dei deportati, prove dello sterminio compiuto soltanto poco più di 70 anni. Rendersi conto dell’immensità della tragedia che ha segnato la storia dell’umanità, troppo spesso dimenticata, rimossa, se non rinnegata da parte di rigurgiti nazionalisti e razzisti che tornano ad attraversare l’Europa e anche l’Italia.
Pensare alla tragedia di due sorelline ebree di 6 e 4 anni – Tati Bucci e la piccola Andra – separate dalla loro famiglia, scampate ad una morte immediata nelle camere a gas solo perché scambiate per gemelline e quindi destinate, nella mente folle dei loro aguzzini, ad essere cavie umane. Ascoltare il racconto di Sami Modiano, unico sopravvissuto della sua grande famiglia ebrea di Rodi, un ragazzino di solo 13 anni sottoposto a fame, violenza, lavoro disumano; costretto a separarsi dalla sua sorella adorata Lucia morta ad Auschwitz e da un papà protettivo e lacerato dalla pena per i suoi figli, che negli ultimi attimi della sua vita ha lasciato a Sami le parole che l’hanno accompagnato per tutta la vita: “Tieni duro Sami, tu ce la devi fare”.
Camminare in una surreale giornata di sole di fine ottobre nei luoghi dove invece tutto è grigio e parla di morte, dove sono stati sterminati milioni di ebrei, omosessuali, rom e sinti, dissidenti politici; intere famiglie e generazioni spazzate via dalla follia di un piano di morte studiato nei minimi dettagli dai carnefici nazisti, iniziato con la vergogna delle leggi razziali e consumato per troppo tempo nell’indifferenza delle nazioni e dei popoli. Ripercorrere quei passi, ascoltare le parole strazianti di Sami e Tati che indicano i luoghi fisici della loro prigionia, descrivono quanto hanno visto e vissuto con i loro occhi di bambini innocenti, colpevoli solo di essere nati ebrei. Si prova uno smarrimento interiore e un senso di impotenza sconosciuto di fronte a tutto questo dolore, pensando a quello che è stato e che potrebbe ripetersi di nuovo, così come allora.
Oggi, mentre scrivo questa Newsletter, si celebra il 4 novembre: 100 anni fa finiva la Prima Guerra mondiale, con il suo carico di morte, distruzione, dolore. Sembrava impossibile e invece dopo solo qualche decennio l’Europa e il mondo precipitavano in una nuova e immane tragedia: le dittature del fascismo e del nazismo, la Seconda Guerra mondiale, le deportazioni, la Shoaha, la vergogna delle bombe atomiche. Tutto questo è accaduto, di nuovo, perché qualcuno ha soffiato sulle paure e sulle sofferenze dei popoli, anziché battersi per sconfiggerle. Come si fa a non rendersi conto che quel che oggi attraversa il mondo e anche la nostra Europa assomiglia in maniera inquietante a quel che è accaduto meno di un secolo fa? Come si fa a non indignarsi e reagire di fronte a chi impunemente indossa una maglietta con la scritta “AuschwitzLand”, calpestando la memoria di chi in quel luogo ha visto morire figli, fratelli, intere generazioni di uomini e donne innocenti? E tuttavia sono le ultime parole della straziante testimonianza di Sami Modiano pronunciate nel LagerA di Birkenau, di fronte al filo spinato e ai resti delle baracche dove ha vissuto l’orrore, ad indicarci la strada: “La nuova generazione ha bisogno di sapere, la storia deve sentirsi dire. Io so molto bene che qualche cosa rimane, e questo qualcosa che rimane per me è importantissimo. Lo farò, mi sono giurato che fin quando Dio mi darà la forza di farlo, io non mi fermerò mai, mai e poi mai.
Voi che siete qui oggi presenti, raccontatelo, ditelo ai vostri figli, fate in modo che questo non si dimentichi. È successo e si deve sapere.”
Conservare e tramandare la memoria di quel che è stato, perché non si ripeta più. Questo è il nostro dovere, in ogni luogo e in ogni tempo.

Per seguire l'attività di Chiara Braga: sito web - pagina facebook

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