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Il percorso delle riforme

Scritto da Lorenzo Gaiani.

Lorenzo Gaiani E’ stata dunque presentata la proposta di una nuova legge elettorale che, all’indomani dell’uscita della sentenza della Corte costituzionale che dichiarava illegittimi alcuni aspetti decisivi della legge elettorale del 2005, dovrebbe finalmente consentire un accordo largo su questa componente essenziale dei meccanismi della politica, e che a sua volta dovrebbe accompagnarsi a un percorso di revisione di alcuni aspetti della parte ordinativa (non dei principi fondamentali) della Costituzione repubblicana.
Il progetto di legge, che nasce da un accordo fra due dei principali partiti italiani, il Partito Democratico e Forza Italia, si articola su di un mix non immediatamente armonico fra il sistema proporzionale e quello maggioritario, come a dire fra il principio di rappresentanza e quello di governabilità, che la sentenza della Consulta ha dichiarato essere ambedue meritevoli di tutela se posti nel giusto equilibrio.
In sostanza i parlamentari verranno eletti in circoscrizioni su base provinciale o sub – provinciale che non potranno esprimere più di cinque/sei eletti, i quali verranno selezionati in base a liste di partito rigide (cioè senza la possibilità di esprimere preferenze, come già nella legge del 2005) per quanto più brevi, e quindi con una maggiore possibilità di conoscenza dei candidati da parte degli elettori. Viene previsto per la lista o per le liste collegate che otterranno il maggior numero dei voti un premio di maggioranza pari al 18% dei seggi a condizione che abbiano ottenuto almeno il 35% dei voti validi espressi. In caso contrario, si andrà ad un ballottaggio fra le prime due liste o coalizioni concorrenti. Vi sarà poi una soglia di accesso alla ripartizione dei seggi pari al 5% per le liste coalizzate e all’8% per quelle non coalizzate.
Rispetta questo sistema le indicazioni della Corte costituzionale? Innanzitutto occorre ribadire che la Consulta non ha inteso in alcun modo legare ad un sistema di voto particolare la conformità ai dettati costituzionali, indicando semplicemente la necessità di equilibrio fra rappresentanza e governabilità. Il testo di legge che per semplificazione potremmo chiamare Renzi-Berlusconi è di impianto proporzionalistico, ossia consente in prima istanza di votare per il partito in cui più ci si riconosce: nello stesso tempo, la previsione di un premio di maggioranza garantito a chi supera una certa soglia di consenso ovvero vince il ballottaggio (e l’inesistenza di tale soglia o del ballottaggio è una delle ragioni per cui il premio di maggioranza della legge Calderoli venne bocciato) pare sufficiente a garantire un margine necessario alla costituzione e al mantenimento di un governo stabile e (si spera) operativo.
Naturalmente alcuni rilievi possono e debbono essere fatti, fermo restando che l’apprezzamento sull’equilibrio fra i due principi di fondo è prima di tutto di natura politica, e mai come ora appare necessario che le istituzioni siano in primo luogo autorevoli ed efficienti, anche se ciò comporta una parziale compressione della rappresentanza (che spesso, se lasciata a se stessa, sconfina nella paralisi del sistema).
Appare critico soprattutto il problema della selezione dei candidati, dopo la giusta eliminazione delle lunghe liste rigide della legge Calderoli: sconforta alquanto il fatto che l’alternativa alle liste brevi sia da alcuni individuata nella rivisitazione dell’istituto delle preferenze che, lo si ricordi, sono un unicum italiano visto che negli altri Paesi europei le elezioni parlamentari, ma anche quelle regionali o locali, sono imperniate sul sistema dei collegi uninominali o, appunto, sulle liste rigide.
Il politologo Roberto D’Alimonte, che è fra gli elaboratori del progetto di legge, ha ricordato come alle ultime elezioni regionali lombarde solo il 14% degli elettori abbia espresso preferenze contro il 90% di quelli calabresi. È un dato che evidentemente dimostra un livello di pressione di interessi illeciti, spesso collegati alla criminalità organizzata, che ha tutto l’interesse a moltiplicare l’utilizzo delle preferenze come metodo di controllo e di influenza sulle istituzioni, interesse condiviso con lobbies di varia natura. In un articolo comparso su “Repubblica” del 22 gennaio l’avv. Gianluigi Pellegrino – uno degli autori del ricorso che ha portato alla sentenza della Corte costituzionale- ha affermato che, scartate le liste rigide e le preferenze, rimarrebbe la strada dei collegi uninominali a base proporzionale sul modello delle elezioni del Senato prima del 1993 e di quelle delle Province fino al 2011. Su questo deciderà il Parlamento, con ogni evidenza.
Ciò che sconcerta è l’atteggiamento di alcuni settori politici, ad esempio della componente di minoranza del PD che si era raccolta attorno alla candidatura di Gianni Cuperlo e che sembra essere incapace di metabolizzare la pesante sconfitta subita l’8 dicembre, approfittando di ogni questione – si direbbe di ogni pretesto- per cercare di ostacolare il lavoro della nuova segreteria guidata da Matteo Renzi.
Si possono avanzare tutte le riserve sul Sindaco di Firenze e sul suo stile, ma è innegabile che la sua iniziativa di incontrare Berlusconi – e non è colpa di Renzi se ancora una significativa parte dell’elettorato italiano si riconosce nel Cavaliere- ha sbloccato una situazione complessa, dando la sensazione all’opinione pubblica che finalmente nel PD vi è un leader autorevole che decide ed agisce.
Viene poi da sorridere leggendo la letterina alquanto patetica con cui Cuperlo si è dimesso dalla presidenza del partito laddove egli rifiuta il “pensiero unico “ all’interno del PD: quale tipo di “pensiero plurimo” vigeva allorché lui, Fassina, D’Attorre ed altri erano in maggioranza - a Roma come a Milano - e non perdevano occasione per rimarcare più o meno esplicitamente che il Partito Democratico era la nuova forma organizzativa della tradizione politica da cui venivano loro, e che tutti gli altri erano ospiti più o meno tollerati, e ogni critica veniva accolta non – è vero- con battute toscaneggianti, ma con il plumbeo silenzio che si riserva a chi si giudica irrilevante.
Forse ora comincia una storia nuova, nella sinistra e nel Paese.
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